Fedra. Variazioni sul mito
A cura di Maria Grazia Ciani
Venezia, Marsilio, 2003, pp. 325, euro 7,50
ISBN 88-347-8195-2
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Variazioni sul mito è il sottotitolo che accompagna una serie di volumi pubblicati dalla casa editrice Marsilio di Venezia, ed inseriti nella collana Grandi Classici Tascabili. I libri propongono un confronto tra drammaturgia antica e drammaturgia moderna attraverso opere teatrali che condividono la rielaborazione dello stesso mito e dimostrano l'evoluzione della sostanza narrativa nel percorso storico delle tante operazioni di riscrittura che si sono susseguite nei secoli. Il progetto editoriale è stato inaugurato nel 1999 con Euripide-Grillparzer-Alvaro, Medea a cura di Maria Grazia Ciani (pp. 222, € 5,16), è proseguito nel 2000 con Sofocle-Anouilh-Brecht, Antigone, con introduzione della stessa Ciani (pp. 186, € 5,16), e quindi nel 2002 con Sofocle et al. (Euripide, Hofmannsthal, Yourcenar), Elettra, a cura di Guido Avezzu (pp. 249, € 6,00). Ultima pubblicazione della serie è Fedra, a cura della Ciani, con i testi di Euripide, Seneca, Racine, d'Annunzio.
Nella versione del tragico greco il titolo è Ippolito, nome del figliastro di Fedra, del quale la matrigna si è innamorata. La donna non riesce a mantenere segreta la passione, confessa la sua pena alla nutrice, che diventa mezzana e riferisce tutto all'interessato. La reazione del giovane rompe gli equilibri. Fedra teme lo scandalo perciò si impicca. Dal linguaggio del non-detto si passa al linguaggio del detto. Fedra, uccidendosi, ha legato alla sua mano uno scritto in cui accusa Ippolito di aver tentato di usarle violenza. Il groviglio di divieti e di menzogne è sciolto dalla violenza. La maledizione di re Teseo condanna il giovane alla morte. In questa tragedia è evidente lo stacco tra il mondo degli dei e quello degli uomini. La vita dei protagonisti è segnata e sono gli dei a decidere le sorti terrene.
Completamente diversa è la Fedra di Seneca. Il cambiamento del titolo accorda alla donna il ruolo di protagonista, e tale rimarrà per secoli, e trasforma la sua passione proibita in diritto naturale piuttosto che come 'errore' dei sensi. Seneca umanizza i personaggi, li arricchisce di psicologia. Dallo scenario scompaiono gli dei. Da subito Fedra rivela la sua passione, è decisa a morire piuttosto che rinunciare ad Ippolito, perciò accetta la mediazione della nutrice, ma, bruciata dall'impazienza, irrompe in scena, sviene tra le braccia del figliastro e poi si abbandona ad una sorta di delirio. Dopo il rifiuto di Ippolito, l'azione passa nelle mani della nutrice che organizza la falsa accusa di stupro, che poi Fedra dichiara a re Teseo. Al cospetto del corpo morto del giovane, la donna confessa la menzogna, scagiona il figliastro e si uccide. Si tratta della nobile fine di un'eroina che si responsabilizza per l'adulterio e la sua folle passione drammaticamente umana.
La Fedra di Racine riprende molti spunti euripidei, ma l'impianto drammaturgico deriva da Seneca. Lo scrittore francese interviene con notevoli cambiamenti nella struttura dell'opera e nel comportamento dei personaggi che riflettono religione ed ideologie del suo tempo. La rielaborazione è di altissimo livello poetico e ricca di introspezione psicologica. Racine punta molto sul gioco ambiguo delle coppie con i loro amori difficili. Fedra ama Ippolito, mentre il figliastro pensa alla giovane Aricia. Così nella vendetta, prodotta dal rifiuto di Ippolito, la matrigna aggiunge la gelosia verso la rivale e il desiderio di ucciderla. Per giustificare l'eros trasgressivo della moglie di re Teseo, Racine recupera la componente ereditaria della protagonista, riabilitando lo scandaloso passato della sua famiglia.
E questa la strada seguita anche da d'Annunzio nella sua Fedra, scritta nel 1909 in netta contrapposizione al neoclassicismo francese. "La mia eroina – dichiara lo scrittore pescarese – è veramente la Cretese [...], nata nella terra insanguinata da sacrifici umani". Fedra diventa un personaggio tipicamente dannunziano, è una superdonna nella sua vocazione alla morte, nelle sue palpitazioni amorose, che trasformano la gelosia in forme violente e selvagge. Ippolito non rispecchia le caratteristiche del superuomo, è debole ed insicuro, sogna l'amore per Ipponoe e vagheggia per Elena promessa. Ormai lontani dagli archetipi antichi, anche i protagonisti dannunziani assimilano i segni del tempo storico, di decadenza e di morte.
di Massimo Bertoldi
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