Aleksej K. Tolstoj
Don Giovanni
Poema drammatico
A cura di Paola Ferretti (con testo a fronte)
Roma, Bulzoni, 2003, pp. 291, euro 20,00
ISBN 88-8319-800-X
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Non vorrei servirmi di ben meschini e facili mezzi per formulare l'invito a leggere questo splendido "poema drammatico" e non vorrei neppure proditoriamente anticiparne il finale ma temo sia proprio ciò che mi accingo a fare: Don Giovanni alla fine si fa monaco [di Don Giovanni semplicemente ravveduti già ne avevamo]. E questa conclusione (presente nella prima edizione del 1862 ma successivamente espunta), per dirla alla Holden Caulfield, «killed» - in un primo momento - chi scrive. Anche se, più che altro, suppongo le sia stata di conforto (a chi scrive) la micro-borghese idea di sapere in convento l'Archetipo dongiovannesco. Tuttavia, in questo poema, dell'archetipo rimangono solo le azioni e non le intenzioni, ciò che fa e non ciò che è.
Al contrario del Don Giovanni animato da una travolgente ed entusiasta joie de vivre di Mozart-Da Ponte, quello creato dal drammaturgo russo Aleksej K. Tolstoj (1817-1875) è un venticinquenne tormentato, malinconico, nervoso, inquieto, perpetuamente insoddisfatto e condannato – da un Satana che, promettente quindicenne, l'ha faustianamente strappato agli Angeli – a cercare in ogni donna l'assoluto e a venire puntualmente deluso. La vita di Don Giovanni si tramuta così in una tanto più solitaria quanto più affollata corsa verso il nulla cui riesce a porre termine solo l'incontro con Donna Anna: l'eccezione, colei che (sebbene lo conosca più di chiunque altro/a) si ostina tanto ad esserne innamorata quanto a volerlo salvare. E potrebbe farlo perché – come ammette Satana stesso - è «spiccicata al suo ideale». L'incontro però avviene troppo tardi. Avviene quando è ormai impossibile per Don Giovanni rinunciare alla propria consolidata, anarchica, rabbiosa orgogliosa maschera di seduttore e quando ormai, divenuto inutile l'influsso di qualsiasi forza celeste o infernale, «sorte lo mena, e la legge inesorabile dell'ineluttabile!».
Al nichilismo suicida, romantico, scettico e auto-compiaciuto («Si inebri la mia mente dei delitti, / nell'ansia di passioni scorderò il lieto balenio della speranza! / […] Mi resta / solo la notte salvifica del nulla!») segue, nel protagonista, un istante – subito sconfessato – di smarrimento e consapevolezza («Chi mi dirà il motivo per cui vivo? / Chi svelerà il senso dell'enigma? / Quel senso non cercar con anima inquieta, / ma come un sasso da una fionda sibilante / continua a volare avanti, senza voltarti! / Non posso riposarmi! La quiete è intollerabile!») e un tardivo riconoscimento dell'amore "vero" che, strappandogli via la maschera, gli apre le porte "della via, della verità e della vita" («Oh, se non vaneggiassi! Se davvero la stessi amando di un amore vero! […] cos'è se non amore questo? Quale / agitazione sperimenta la mia anima! / I dubbi sono svaniti senza traccia… / credo di nuovo come ai giorni andati… / oh, impazzisco di felicità! Io… / o Dio, o Dio! Io l'amo!»). Non appena riconosce in sé l'amore, a Don Giovanni – l'ex Grande Attore che incantava tutte le donne in virtù del proprio ingannevole e infallibile repertorio fisso da "innamorato" [straordinariamente / odiosamente finto-sincero] – mancano le parole.
Quanto a certi inediti sviluppi della trama, non vorrei servirmi di ben meschini e facili mezzi per formulare l'invito a leggere questo splendido “poema drammatico” ma verrebbe voglia a chi scrive di sapere come ieri sarebbero stati trattati cinematograficamente da Sergio Leone e come oggi verrebbero trattati da Pedro Almodóvar.
Oscurata dall'intramontabile fortuna del Convitato di pietra (1830) di Puškin, quest'opera – sublimazione del Romanticismo - intende ispirarsi soprattutto al racconto fantastico Don Giovanni. Favolosa avventura accaduta a un Viaggiatore Entusiasta (1813) di Hoffmann che «per primo – secondo Tolstoj - ha visto nel Don Giovanni un cercatore dell'ideale e non un semplice sfaccendato». Come (e qui ci prendiamo la libertà di dare alla frase una conclusione velenosa ma pertinente) l'aereo e fanciullesco spadaccino puškiniano.
E' la prima volta che il testo viene tradotto - oltre che ottimamente introdotto da Paola Ferretti - in italiano.
Giulia Tellini
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