Sono gli anni Cinquanta quando Merce Cunningham dopo aver appreso meticolosamente i precetti della “nuova” danza moderna con Martha Graham e aver danzato con la maestra in pezzi di storia come Appalachian Spring (1944) inizia a interrogarsi sulla natura della danza, un po come a loro tempo avevano fatto le pioniere. Aylen Parolin propone a Cango, per La democrazia del corpo, una performance che sembra essere lesito di quelle riflessioni; lo spirito avanguardistico di Cunningham o di celebri colleghi come Alwin Nikolais è divenuto la norma sui palcoscenici ultra-contemporanei e, anzi, ha tutta laria di essere ormai un “classico”.
Sono ricorrenti luso del silenzio, lesplorazione di uno spazio quasi vuoto, luso degli oggetti e delle nuove tecnologie che nuove non sono più , prima di tutto della luce (Loïe Fuller docet). Coreografi e danzatori propongono forme di narrazione ed esprimono concetti sempre attuali e originali senza rinunciare, allo stesso tempo, a denunciare i loro punti di riferimento. Simple di Parolin vede in scena tre danzatori impegnati a sfidare le possibilità dei loro corpi: lelasticità facciale è portata agli estremi; la resistenza fisica è messa a dura prova, un po come in FOLK-S (Alessandro Sciarroni, 2012) o in Esercizi per un manifesto poetico (Collettivo MINE, 2019). Il risultato di Parolin è tuttavia estremamente diverso, mira a produrre il riso, punta come nelle più classiche commedie cinematografiche a sfidare la gravità o a interagire impropriamente con gli oggetti fino a risultare ridicoli e insieme estremamente tragici.
Un momento dello spettacolo © Anne Sophie Guillet
Anche stilisticamente il riferimento ai maestri della post-modern dance è evidente: se siamo ormai avvezzi a vedere i danzatori in pantaloni e camicie comode, appartenenti alla vita di tutti i giorni, i protagonisti di Simple indossano tute aderenti e colorate che rimandano ad alcuni prodotti “americani” di George Balanchine ma soprattutto a Points in Space (Cunningham, 1987). Il suono, pur distaccandosi da quello creato da John Cage per il coreografo americano, lo ricorda nelluso dei sospiri e dei sussurri dei performers in scena. Coreograficamente parlando non possiamo non pensare al mantra del maestro: anything can follow anything e alla sua “indeterminatezza”; anche in Simple molto sembra lasciato al caso ma, in realtà, un qualsiasi occhio attento potrà notare solide cellule coreografiche ripetute più volte e in maniera alternata dai danzatori.
Non a caso la coreografa e danzatrice Parolin gravita attorno allaria feconda di Bruxelles, dove sono transitati alcuni tra i più grandi protagonisti della scena di danza contemporanea. Basti pensare alla scuola Mudra, al Ballet du XXe Siècle di Maurice Bejart o alle esperienze della compagnia Rosas. Simple si inserisce in questa fucina di artisti capaci di padroneggiare i precetti della danza accademica e allo stesso tempo di negarli. Non mancano le cinque posizioni, il contraction-release della prima danza moderna, lo scarto tra pesantezza e leggiadria, il sentimento di inadeguatezza alla Veronique Doisneau (Jérτme Bel, 2004).
Un momento dello spettacolo © Anne Sophie Guillet
Simple intrattiene un pubblico potenzialmente ampio, portando la danza su un piano più puramente ludico. Eloquente la parte finale, caratterizzata dalla distruzione dei pochi elementi che compongono la scenografia e da una parata accompagnata da strumenti a percussione suonati dal vivo, altro elemento che ricorre non solo nella danza ma nella storia dello spettacolo tout court.
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