Elena Bucci e Marco Sgrosso tornano al
Teatro Metastasio di Prato per la prima nazionale di La casa dei Rosmer,
una rilettura di Rosmersholm, dramma del norvegese Henrik Ibsen datato
1886 e considerato uno dei suoi lavori più complessi e ambigui. Il progetto,
realizzato grazie allelaborazione drammaturgica e alla regia della stessa
Bucci con la collaborazione di Sgrosso, si avvale del testo di Ibsen per
«trarre le radici delle contraddizioni che viviamo nel nostro presente» (cfr. dal programma di sala).
Lopera infatti esplora la tensione tra passato e presente, tra convenzione e
cambiamento, tra gioia e dolore, tra luce e ombra, binomi che rendono immediata
lanalogia con lattualità, in quanto «scenari che si ripetono nella storia»,
come si legge nel programma di sala.
Lex pastore protestante Johannes
Rosmer, un anno dopo la perdita della moglie, morta suicida, sceglie di
affrancarsi dal passato, in favore di nuovi ideali riformisti. A Rebecca West,
un tempo governante nella signorile casa Rosmer e rimasta lì in seguito al
suicidio dellamica, viene imputato questo inspiegabile e radicale cambiamento.
Rosmer, osteggiato dal cognato Kroll, logorato dai rimorsi, perseguitato dai
“cavalli bianchi” (suggestiva personificazione dei morti del passato), inizia
la sua discesa verso le tenebre. Svelato il mistero del suicidio della moglie
Beata, istigato dalla stessa Rebecca, Rosmer le chiede di uccidersi nello
stesso modo, gettandosi nella gora del mulino. Lei accetta;
in fondo «non è più tempo di vita o di fughe». Lamore e la disperazione che li
uniscono portano Rosmer a una scelta definitiva: morire con lei, poiché «ormai
siamo un essere solo». Insieme, occhi fissi verso il niente guardano oltre un
futuro che non vivranno. Due nuovi cavalli bianchi si aggiungono ai fantasmi di
casa Rosmer. Il brano When the day is done di Nick Drake
accompagna il finale, mentre i cinque attori, spalle al pubblico, si avviano
verso il sentiero che conduce al ponte.
Un momento dello spettacolo
© Ilaria Costanzo
La scena, piuttosto essenziale, è
composta da sei sedie scure ai due lati del palcoscenico; un vaso ricco di
coloratissimi fiori è posizionato in proscenio. Significativa la presenza di
fondali, “screen” funzionali a sottolineare unastrazione simbolica, dietro cui
i personaggi agiscono consegnando al pubblico ombre talvolta statiche, talaltra
in movimento. Limpianto scenico, curato da Nomadea con lassistenza di Nicoletta
Fabbri, restituisce un interno ibseniano spogliato degli arredi borghesi.
Un ambiente essenziale, quasi asettico, a rappresentare una casa dove, come
dicono gli stessi personaggi, «i bambini non piangono mai e quando diventano
adulti non ridono mai», ma che pur ospita intense passioni, inquietanti
segreti, pesanti colpe passate, aneliti di un futuro che non si compirà. In
accordo con la scenografia, si sviluppa il progetto luci di Daria Grispino:
insieme determinano spazio e atmosfera, poveri di orpelli ma investiti di un
nuovo simbolismo.
Un momento dello spettacolo
© Ilaria Costanzo
A Raffaele Bassetti è
affidata la drammaturgia sonora. La musica svolge un ruolo di accompagnamento e
commento allintera messinscena, seguendo e sottolineando il progredire
dellazione e i mutamenti degli stati interiori dei personaggi. Il tappeto
sonoro si rivela fondamentale nella definizione di un ambiente oppressivo, dove
«si soffoca», come sostiene Rebecca. Voci registrate risuonano nei cambi di
scena, mentre gli attori volteggiano, imitano il gracchiare dei corvi, e la
Bucci, tra una giravolta e laltra, cambia soprabito. Abiti cangianti, curati
da Marta Solari con la collaborazione di Marta Benini e Manuela
Monti, vestono i personaggi del fosco dramma, che camminano accompagnati
dal fruscio delle stoffe.
Se Elena Bucci è Rebecca West e
Marco Sgrosso è Johannes Rosmer (sua controparte maschile), il resto del cast è
affidato a Emanuele Carucci Viterbi, che incarna il rettore Kroll con
grande rigore rispettandone lausterità; a Francesco Pennacchia, sdoppiato
nei due ruoli di Ulrik Brendel e Madama Helseth, rivestiti con creativa
efficacia; e a Valerio Pietrovita, interprete vivace del più ironico e
insidioso Peder Mortensgaard, simbolo del liberismo e del progresso.
Un momento dello spettacolo
© Ilaria Costanzo
La recitazione di Sgrosso,
misurata, in accordo con il contegno e lautocontrollo propri del personaggio,
è costellata da brevi ma significativi attacchi di rabbia, che scuotono il
personaggio, esprimendo le sotterranee passioni in un conflitto personale che
rimanda a quello sociale. La Rebecca West di Bucci siede e danza leggera, ride
e sorride cercando col volto la luce. Gesticola ossessivamente con le braccia
quando il confronto con il passato è dolorosamente insopportabile. La
recitazione dellattrice diviene intensa al culmine delle situazioni più
tormentate, esplicandosi in gesti ampi e drammatici ben riconoscibili, memoria
delle eroine tragiche. Si illumina quando ricorda la passionalità selvaggia da
cui è stata travolta, si prende il viso tra le mani nervosamente e spesso
chiude gli occhi.
In questo racconto, parabola
dellesistenza, «i protagonisti cercano di strapparsi al passato, con il suo
peso di obblighi, colpe, errori, per proiettarsi in un futuro dove possano
sentirsi utili, servire la verità, la libertà» (cfr. dal programma di sala).
Rosmer crolla quando vede quellideale svanito e afferma in scena: «Nobilitare
gli uomini è unutopia».
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