Di allestimento
alquanto raro, lopera di Bellini è proposta questanno dal Teatro Carlo Felice
di Genova. Le arti rappresentative sono mobilitate per un effetto deleganza
stilistica, un recupero di qualità musicali dalto livello, anche per la
coproduzione con il Teatro La Fenice. A ciò saggiunge la scelta delledizione
ripristinata da Franco Piperno sulloriginale, collaudata al San Carlo di
Napoli nel 2023 (argomentazione di Paolo Petazzi, nel Programma di sala)
e mentre è appena scorso lallestimento parigino allOpéra Bastille (con regia
di Peter Sellars) che ne addita le tematiche potenti – la giustizia e
laspirazione alla libertà – espresse nella linea musicale “limpida e lirica”
della partitura.
Il libretto della “tragedia lirica
in due atti” era tratto dallomonima tragedia
storica di Carlo Tedaldi Fores (1825). Il debutto programmato subì un ritardo
(per malintesi e contrasti fra compositore e librettista) e la prima segnò un
insuccesso, ben superato in seguito. Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli
Largomento nasce da fatti reali
del Quattrocento (riguardanti le terre di Liguria, Piemonte e Lombardia)
rielaborati in una vicenda che serba ambiguità, sia storiche sia compositive.
Pure i personaggi vivono equivoci, per condizionamenti politici e disparità
sociali e sentimentali. Le quattro figure principali tessono relazioni drammatiche
comunque esistenzialmente rilevanti. Il giovane Filippo Maria Visconti, sposata
la vedova di Facino Cane, la contessa Beatrice Lascari, ne assume la dote
cospicua e i privilegi. Ma non la ama, è insofferente al prestigio della sua
maturità e frequenta unamante più giovane, Agnese del Maino. Questa,
innamorata di Orombello – il fedele seguace di Facino, ora devoto a Beatrice
dun amore silenzioso – trama per gelosia contro la rivale e ne denuncia
ladulterio. Filippo intenta processo contro i giudicati amanti, condannandoli
a morte, in circostanze scaturite da volontà personale prevaricatrice più che
da fatalità ineluttabile.
Un pregio riconoscibile è la
sintonia fra musica e libretto (non specialmente poetico, offre funzionalità
defficace comunicazione emotiva) per cui esecuzione in forma di concerto e
rappresentazione possono assumere ciascuna valore autonomo. Rassomigliata ad Anna
Bolena di Donizetti, rispetto a Norma la composizione fu giudicata
inferiore. Le prove recenti (come quelle date al Festival della Valle dItria e
al Teatro San Carlo) ne mostrano loriginalità anticipatrice per ingredienti e
strutture, quali lintreccio di elaborati, pregevoli trii e quartetti e luso
del coro; esso non respira soltanto secondo i bisogni di un popolo e ne
commenta sventure e speranze, ma è fraterno agli eroi. Alle spalle dei
contendenti o a fianco delle vittime, ama, parteggia nella buona o nella ria
sorte. Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli
Lambientazione è ora rapportata,
nei costumi, a fine Ottocento, ma con il recupero di materiali depoca. La
scenografia, semplice e sobriamente austera, dispone luso dello spazio fra uno
sfondo murario a settori e tre pedane unite da gradinate. Emanuele Sinisi
elabora reperti architettonici in rovina e corrosi dal tempo, segni della
decadenza del potere (ricordano scene di Peduzzi per Chéreau), con inserti di
rielaborazioni fotografiche del finlandese Ola Kolehmainen. Risaltano quindi i
nefasti politici e sociali, come nellallestimento parigino che, nella cinta
muraria dacciaio, evocava la violenza duno stato repressivo. Anche il
giardino alluso partecipa dun estremo isolamento e si fa misura dun non-luogo
suggestivo, da cui provengono le voci di patetiche invocazioni umane.
La regia di Italo Nunziata trova
suggestioni in Calvino, nellidea per cui linizio dogni «racconto si
riferisca a qualcosa che è già accaduto fuori dal libro» e di Saint-Exupéry
considera come verità «non è ciò che è dimostrabile, ma ciò che è ineluttabile»
(Programma di sala). Dal principio, la sensazione resa claustrofobica
dagli spazi, dal gusto “gotico”, è causa di suspense tesa alla
catastrofe, che promana soprattutto dal clima oppressivo e conflittuale
instaurato dal sovrano. Nel primo atto si hanno rivelazioni e sospetti sul
passato, quali il dissidio sul trattamento dei sudditi e lincomprensione di
coppia, aggravanti del dramma. Il secondo si concentra sul processo
pretestuoso, macchiato dingiustizia e prepotenza palesi e gratuite, che
sancirà la tragedia. Accanto a personaggi traversati da contrasti e incertezze,
Beatrice sola mostra coerenza e volontà integrali, forza morale incrollabile.
Rispetto ai caratteri e alle vocazioni personali, parrebbe prevalere la bella complessità
della partitura, del canto in particolare. Così le contraddizioni saccentuano
in Filippo – secondo il libretto, «giovane, dissoluto, simulatore, ambizioso, e
mal sofferente dei ricevuti benefizii» – accusatore drastico, pregiudiziale e
scrupoloso per rimorso e nella condanna spietato.
Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli
Linterpretazione di Beatrice trova
fulgida resa in Angela Meade, sicura e appassionata titolare di ruoli
belcantistici esemplari, sostenuti con superba e misurata dinamica di registri
ed autorevolezza espressiva. I mezzi canori, sfruttati con abilità e malizia,
qui esaltano la “libertà” di tessitura concessa da linee melodiche raffinate;
recitativi di scaltra e immediata sincera effusione, volute e legati
virtuosistici. Momenti alti variegano la continuità della prestazione, da “Fra queste ombrose piante...”, e “Oh! Mio rossor...”
(Sc. IV), fino al crescendo finale, partecipato con pathos sincero, sia
inteso quale ascesi cristiana, sia di esemplare condotta civile e morale: come
nello scontro con Filippo e i Giudici (Gran scena e Quintetto) e il confronto
con Agnese, per il perdono, quasi esteso a un voto di benedizione universale. E
laddio “Ah! Se unurna è a me concessa...”, accettazione della morte
sublimata. Le risponde con rudezza scenica e vocale il baritono Mattia Olivieri
(basso, nella designazione originale), un Filippo sentito dal regista
polivalente, «al di là della figura violenta ombroso e mutevole, crudele ma
umano».
Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli
Mostra varietà di gamma,
modulazione sicura e tenuta penetrante e ferma, come nel denunciare il peccato
della moglie, mediante lo scritto carpito e le testimonianze non verificate (atto II). Limpido ed energico il soprano Carmela
Remigio in Agnese. La bellezza sensuale e volitiva saffina man mano, dolente
di pentimento. Protagonista in apertura con la romanza “Ah Non pensar che
pieno...”, e in duetto con Orombello (Francesco Demuro), per “Silenzio. È notte
intorno...”. Lamico fedele delleroina volge accorati appelli negli acuti
(rare e veniali le sbavature timbriche del tenore) e chiude con elegante
dolcezza in “Angiol di pace allanima...” (Sc. X), quando dal giardino la sua
voce entra allunisono con quelle delle due donne. Di composta, precisa
presenza, Manuel Pierattelli (tenore), in Anichino, amico di Orombello e Giuliano
Petouchoff, in Rizzardo del Maino (basso), fratello di Agnese. Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli
Lorchestrazione di Riccardo
Minasi, tanto attenta allaggiornamento critico quanto allistinto, mira a un
apporto romantico senza indulgenze (legittimato dalla genetica del lavoro) in
unanalisi dei rapporti strumentali, dagli ottimi risultati per lautonomia
degli interpreti e nel dosaggio dei reciproci volumi. La “banda” in scena,
prevista nel finale, non compare. La bella fusione dei cori è regolata da Claudio
Marino Moretti con sensibile continuità e omogeneità nel rispettare le numerose
esigenze di intime variazioni emotive e drammatiche. Incontro molto
apprezzabile e gradito, con applausi a scena aperta e nelle chiamate ripetute.
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