Dopo
tre anni dal facilmente dimenticabile Šarlatán (2020), la veterana Agnieszka
Holland torna allattenzione della critica mondiale dirigendo e
co-sceneggiando il dirompente Green Border (Zielona granica),
presentato alla 80ª Mostra internazionale darte cinematografica di Venezia
durante la quale si è aggiudicato il Premio speciale della giuria nonché, ex
aequo con Io Capitano di Matteo Garrone (2023), il Green Drop
Award. La natura di questo secondo riconoscimento la dice lunga sullultima
fatica dellautrice di Varsavia, riservato ogni anno allopera che «meglio
abbia interpretato i valori dellecologia e dello sviluppo sostenibile, con
particolare attenzione alla conservazione del Pianeta e dei suoi ecosistemi per
le generazioni future, agli stili di vita e alla cooperazione fra i popoli».
Proprio su questultimo punto ruota il veemente atto daccusa di Holland,
ambientato in uno dei punti nevralgici dellEuropa, al centro di intricate questioni
geopolitiche. Attraverso cinque storie destinate a legarsi, a intrecciarsi, a
perdersi, la regista classe 1948 realizza unopera essenziale ma anche scomoda,
per molti, a partire dallo stesso governo polacco e dalla commissione
giudicatrice nazionale che ha deciso di estromettere illogicamente il film
dalla corsa ai prossimi premi Oscar.
Una scena del film
Una
suggestiva ripresa aerea sorvola un bosco paludoso, glaciale, ostile, solcato
da un filo spinato a sancire uninvalicabile linea di demarcazione – non solo
fisica ma anche politica ed etica – tra Polonia e Bielorussia. Attraverso una
scansione in capitoli – funzionale per isolare ciascuna storia conferendole il
giusto spazio – vengono presentate le pedine di unatroce scacchiera, ognuna a
proprio modo destinata a confrontarsi con tale confine e con i concetti di
individualità e umanità. Il primo nucleo è formato da una famiglia di rifugiati
proveniente dalla Siria e da una donna di mezza età di origine afghana, tutti
intendi ad atterrare a Minsk per poi varcare la frontiera, raggiungere la
Polonia e, da lì, la Svezia. A difesa della frontiera polacca cè una giovane
guardia in procinto di diventare padre per la prima volta. A difesa, invece,
delle tribolate figure respinte brutalmente al confine, vi è un gruppo di
giovani attivisti che si avvarrà dellaiuto di una psicoterapeuta, comune
cittadina, decisa a non girarsi dallaltra parte e a fronteggiare il proprio
governo nonostante le aspre pene riservate a chi favorisce limmigrazione
clandestina. I migranti diventano come palle da tennis, percosse, scaraventate
da una parte e poi dallaltra dalle sadiche guardie di frontiera e
dallesercito sia polacco sia bielorusso, accumulando ferite e perdite
indicibili.
Una scena del film
Il
senso di ingiustizia, di indifferenza collettiva e di bailamme –
favorito anche dalla babele linguistica nella quale svettano il polacco, larabo,
il francese e linglese – rappresenta forse il punto di forza di Green
Border, ambientato nel 2021 con unappendice finale nel 2023. Holland non
si tira indietro nel rendere pubblici i tentativi del governo di Lukashenko
di promulgare false promesse di un passaggio indolore verso lUnione Europea,
che si rivela in realtà una tappa infernale in una terra di nessuno. Il
coraggio della regista sta anche nel mostrare le sfumature xenofobe dei propri
connazionali, adducendo motivazioni tristemente diffuse come,
appunto, lutilizzo dei migranti come “armi” di Lukashenko per colpire la
Polonia al cuore. Gli strali prendono di mira anche il governo polacco di Mateusz
Morawiecki (2017-2023), nazionalista di estrema destra.
Lassetto
drammaturgico ricercato, con pochi ma azzeccati momenti di puro e straziante pathos,
si regge su un impianto corale che rende giustizia a ciascuno dei personaggi
coinvolti, approfondendo in maniera adeguata le rispettive motivazioni e
direzioni. Lo stile documentaristico militante di Holland, sebbene in un film
di finzione, è valorizzato dal suggestivo e “gelido” bianco e nero del
direttore della fotografia Tomasz Naumiuk, con una tangibile delicatezza
e sensibilità anche nei momenti più truci, senza mai calcare troppo la mano e
lasciando sempre immensa dignità agli sventurati di turno. Dalla presenza di un
comparto attoriale composto da numerosi interpreti non professionisti emerge la
predilezione dei primi piani e della micro-gestualità, a riprova di uno sguardo
sapiente che rifiuta banali e didascalici moralismi.
Una scena del film
Al
di là del ricorso a tematiche facilmente fraintendibili come opportuniste e
furbesche quali la solidarietà tra popoli, la tolleranza e la presa di
coscienza davanti le ingiustizie che ci circondano, Green Border rappresenta
un richiamo al dovere civile e morale di conoscere, di guardare in faccia la
realtà di certe politiche e di certi atteggiamenti individuali, così comuni da
coinvolgerci quotidianamente. Assenti, dunque, tracce di pietismo ricercato
nonostante non si nasconda il fatto che da sempre esistono morti di serie A e
morti di serie B, rifugiati di serie A e rifugiati di serie B: si veda lamaro
riferimento alle più generose politiche di accoglienza dellUnione Europea
riservate ai milioni di ucraini in fuga dallinvasione russa. Nel film non
vengono suggerite soluzioni facili ma solo inviti a una necessaria presa di coscienza
cosicché noi spettatori siamo costretti a riflettere e a conoscere, condannati
allimpossibilità di estraniarci da responsabilità con la scusa di non sapere o di non aver mai saputo.
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