La pluralità
semantica del mozartiano Zauberflöte, la cui tensione etica e
trascendente origina dalla singolare mescolanza fra simbologie massoniche ed
elementi farseschi, ne definisce il carattere di indubbio capolavoro; una
creazione in cui densità di pensiero e naturalezza espositiva vivono in perfetto
equilibrio. Lallestimento presentato al Teatro dellOpera di Roma, pensato da Damiano
Michieletto alcuni anni or sono per la Fenice di Venezia, non rende pienamente
giustizia a tali caratteristiche. Se lidea dellaula scolastica, allegoria di
un percorso di formazione e di crescita, non è peregrina, la sua realizzazione
scenica mortifica le molteplici istanze del testo e della musica. Un momento dello spettacolo
©Fabrizio Sansoni
Sin dallouverture
una enorme lavagna domina lo spazio; molteplici proiezioni la animano, calcoli
matematici e modelli da laboratorio anatomico, fino al serpente che minaccia la
vita di Tamino. Le tre damigelle appaiono abbigliate come suore, a
simboleggiare il becero dogmatismo religioso, al quale si contrappone la
libertà di pensiero. Papageno abbandona le sue vesti piumate trasformandosi in
un bidello con tanto di scopa, il che sciupa il mistero del personaggio. Il
pannello scorrevole della lavagna mostra il mondo delloscurità, una camera da
letto nella quale la Regina della Notte coltiva la propria isteria.
Tamino e Pamina
appaiono come due scolaretti, mentre Monostatos è un bulletto seguito dalla sua
piccola gang. I tre genietti guidano i protagonisti nella foresta simbolica
come minatori nelle caverne, con il caschetto luminoso in testa. Gli incanti
dello strumento magico si esplicano in una sorta di festa scolastica, con i
palloncini e i mimi che indossano maschere dalle fattezze animalesche. Alla
fine del primo atto laula si apre in un bosco nebbioso, ed è forse il momento
di maggiore suggestione, popolato da unumanità smarrita. Lo spettacolo, nel
complesso, non è fra le migliori creazioni di Michieletto. Non si comprende, ad
esempio, perché gli alberi scompaiano proprio quando Papageno, afflitto dalla
solitudine, vorrebbe impiccarsi a un ramo. Un momento dello spettacolo
©Fabrizio Sansoni
In generale laula scolastica
è luogo fin troppo grigio e monotono per ospitare le molteplici implicazioni
della fiaba. Lestrema semplificazione avvilisce le dinamiche fra terreno e
ultraterreno, il contrato fra luce e tenebra, la “caleidoscopica varietà dei
quadri scenici”, per citare Paumgartner. Ciò non toglie che lallestimento sia
costruito e realizzato con maestria, grazie allapporto di Paolo Fantin
(scene), di Carla Teti (costumi) e di Alessandro Carletti (luci). Apprezzabili
anche i video curati da Rocafilm/Roland Horvath. La direzione di Michele Spotti
è piuttosto squilibrata, rigida e povera di sfumature. Ne risentono la
compiutezza dellarco narrativo e la commozione di alcuni momenti sublimi, come
laria di Pamina. Un momento dello spettacolo
©Fabrizio Sansoni
Le cose vanno
meglio dal punto di vista vocale. Su tutti il Sarastro profondo, ieratico e
autorevole di John Relyea, che già avevamo avuto occasione di lodare nel
recente Mefistofele, titolo che ha aperto la stagione. Gatell è un Tamino collaudato,
sensibile nellespressione e duttile nel fraseggio. Gli sta accanto la Pamina
ben cantata di Emöke Baráth, anche se nellaria “Ach, ich fühls” avrebbe
potuto attingere a esiti di più toccante malinconia. Scenicamente disinvolto e,
come di consueto, musicalmente ineccepibile Markus Werba nei panni di Papageno.
Efficace la Regina della Notte di Aleksandra Olczyk, anche se non impeccabile
nelle colorature. Attorialmente vivace ma vocalmente inconsistente il
Monostatos di Marcello Nardis, mentre Marian Suleiman si disimpegna
egregiamente nella breve apparizione di Papagena. Buono infine loratore di Zachary
Altman. Apprezzabile il resto del cast, ovvero le tre damigelle, i tre genietti
e gli armigeri. Recita comunque salutata da applausi piuttosto convinti.
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