Quale
esempio darte della finzione, eppure vera azione liturgica di momenti vitali,
per caso, per grazia, dolore o sorriso, tipici appunto della parola “amore”,
lultima prova di Pippo Delbono
prosegue con successo la sua tournée
iniziata nel 2021. Lo spettacolo, composto di “a
solo” calibrati e incisivi, reca una costante misura corale che unisce la
diversità artistica degli attori. Una compagnia di personalità spiccate di
varie provenienze, che sollecita il pubblico internazionale a uno scambio di
piacere estetico. La partecipazione produttiva coinvolge tanti enti e teatri,
nel dedicare la rappresentazione a mondi anche lontani, ravvicinati dalla
bellezza invocata, amata e pure sofferta. Ed è subito amore per la natura, che
risuona in questultimo incontro “sentimentale” con una realtà che ci nutre e
ci possiede, buona ad alleviare la morte con una fede che lamicizia umana
incarna.
Lo stupore
viene da dentro, deborda a sorpresa per cose note, riudite o rivissute. Accenti
da riascoltare, poiché non sondabili fino in fondo. È semplice e chiaro, il
messaggio: «Il nostro destino: amore senza limiti. / Amare la nostra stessa
carenza damore», confessa Carlos D. De
Andrade. Sincontrano genitori che patiscono la perdita duna figlia per
violenza nemica, in Belina di Artur Nunes, vissuta in luminosa severità
dalla cantautrice angolana Aline Frazão.
Rivivono le persecuzioni portoghesi in reazioni di lotte libertarie, estese a
Capo Verde. Necessità di preghiera esprime in Fado minore, Mario Rahino:
«Dicono che il fado è una preghiera / quindi io prego».
Parola e
musica vibrano allunisono o, “a cappella”, lintimità della voce induce
emozioni e moniti in cantanti dalle mille sfumature, eppure potenti, come Miguel Ramos. Le chitarre possono
imitare gli impulsi del cuore e in quella di Pedro Jóia il fado è gioco
fatale di note, dialogo con la sostanza ritmica canora che sfugge o rincorre la
vita, diretta al proprio destino. Fino a tacere, a diluirsi nel vuoto
silenzioso o nella densità dei colori, qual è il rosso ossessivo sulle tre
pareti dello spazio scenico disegnato da Joana
Villaverde, allusivo al magma eruttivo dun vulcano. La presenza di Delbono,
in quinta o in sala, avvia il racconto con enfasi sillabata, non tanto
perfezione quanto piuttosto un idioma familiare alla tribù che lo attornia
mentre lo rappresenta, apprendista e creatore in un viaggio in sodalizio che
dura da decenni condivisi.
Un momento dello spettacolo © Luca Del Pia Lo sguardo
è attratto soprattutto dal simbolico albero stecchito, già caro a Beckett. Ora, la pianta è protagonista
della parabola in cui un monaco la annaffia per anni per saggiare il potere
della fiducia, fino a meritare la prodigiosa rinascita, quando sbocciano fiori
argentei sui rami, pervasi da linfa nuova. Le digressioni poetiche – dove
lansia damore sfiora erotismo e sensualità metafisicamente protesi, o bisogno
disperato come nei versi di Florbela
Espanca – attraversano un immaginario Mediterraneo che sfocia in Africa,
frugata oscenamente e sfruttata, violata dalluomo in guerra perpetua. La cifra
dichiarata, se non fosse palese nella fusione dimmagine-movimento-suono, sorge
dalla sacralità riconosciuta alla natura. Imperativa, esigente, talvolta
struggente, fino ad assopire la passione, che poi si riaccende
nellimplorazione, nel “grido”, come quello del titolo del film autobiografico
di Delbono (2006), o simmerge nel “buio feroce” dun altro suo poema teatrale,
famoso e premiato. La gamma espressiva riecheggia e condensa tanti stilemi del
regista, dallespressionismo contrastato allelegia di certe movenze decadenti,
capace di ironizzare su sé stesso e sui compagni di ventura.
Un momento dello spettacolo © Luca Del Pia
Ogni figura, senza nome, è un attore fattosi allegoria duna persona innamorata e ogni cantante o danzatore, uno stato, mutevole ed espressivo, del sentimento rivelato. Il senso del rituale – dallabbraccio gratuito affettuoso duna coppia dolente, ma pacificata (figlio e madre?), allomaggio di collane doro sul seno generoso e ricettivo duna donna, lo svuotamento dun sacco-cornucopia colmo di semi che si spargono a terra – torna a segnare introspezione canora e dizione fuori campo di versi e di canzoni, riemersi di nuovo dallalveo del fado. Oppure lamenti, grida risate o strida duccelli che interagiscono con effetti luminosi e in sintonia con passi danzanti, ora lenti ora in crescendo frenetico. Lautore,
in disparte, sale in scena nel finale, accolto come dormiente (o morente
rasserenato) sotto lalbero, apparso ormai strumento sacrificale di rigenerazione
e di resurrezione.
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