«Parlando
dellannacquamento dellultimo minuto della risoluzione sul carbone (“riduzione” e non più “eliminazione”),
Johnson pare tentennare, ma poi rivendica: “Possiamo fare pressioni,
possiamo blandire, possiamo incoraggiare ma non possiamo costringere le nazioni
sovrane a fare ciò che non desiderano”». Nazioni sovrane? «Sono le parole di Alok
Sharma [presidente della Cop26, ndr]
ad aprire una finestra su chi sono i cattivi e chi i buoni della storia, quando
spiega con gli occhi vicini alle lacrime dopo lexploit dellIndia: “Ho sentito
il peso del mondo sulle mie spalle”, dice, e “il motivo per cui ho chiesto
scusa non è stato perché pensavo che non avessimo avuto un risultato storico, è
perché il mondo pensava che la procedura fosse stata opaca”. Ecco, la procedura
opaca a cui si riferiva Sharma sono stati i negoziati “laterali” portati avanti
nellombra dalle grandi economie mondiali (i grandi inquinatori) a scapito dei
Paesi poveri – e del clima – che alla fine hanno spedito lIndia fare la parte
del “poliziotto cattivo”» (M. Perosino, Clima, il
“cattivo” è lIndia ma dietro il flop dellaccordo cè la regia dei Paesi
ricchi, in «La Stampa», 15 novembre 2021, pp. 14-15).
«Nessun economista, contrariamente a
quanto spesso si dice, pensa che lobiettivo della politica economica sia
massimizzare il Prodotto Interno Lordo: lobiettivo è massimizzare il benessere». «Le due differenze essenziali concernono le
ineguaglianze e le esternalità». «La mente va anzitutto alle esternalità
climatiche». «Passare da un obiettivo di PIL a uno di benessere implica perciò
eliminare il più possibile» e «“internalizzare” queste esternalità» aumentando il prezzo del carbone, migliorando la remunerazione dei
lavori disagevoli e tassando le importazioni dai paesi con insufficienti politiche
climatiche e debole protezione sociale («la spesa pubblica per sanità e
pensioni rappresenta il 16% del PIL nei paesi OCSE e il 7% in Cina») (P. Artus,
Comment passer du PIB au bien-être, in «Le Monde», 7-8 novembre 2021, on
line). Dal PIL al benessere, letà dei diritti.
Letà dei diritti (Torino, Einaudi, 1990) in quarantanni di scritti di Norberto
Bobbio. «Diritti delluomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari
dello stesso movimento storico: senza democrazia non ci sono le condizioni
minime per la soluzione pacifica dei conflitti. Con altre parole, la democrazia
è la società dei cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono loro
riconosciuti alcuni diritti fondamentali; ci sarà pace stabile, una pace che
non ha la guerra come alternativa, solo quando vi saranno cittadini non
soltanto di questo o quello stato, ma del mondo» (ivi, pp. VII-VIII). «Non cè
diritto senza obbligo, e non cè né diritto né obbligo senza una norma di
condotta» (ivi, p. XVIII). «Che si cominci dagli obblighi degli uni o dai
diritti degli altri è, rispetto alla sostanza del problema, assolutamente
indifferente. I posteri hanno dei diritti verso di noi perché noi abbiamo degli
obblighi verso di loro, o viceversa? Basta porre la domanda in questi termini
per rendersi conto che la logica del linguaggio mostra lassoluta inconsistenza
del problema» (ivi, pp. XIX-XX).
Ma «altro è proclamare questo diritto,
altro è goderne effettivamente. Il linguaggio dei diritti ha indubbiamente una
grande funzione pratica, che è quella di dare particolare forza alle
rivendicazioni di quei movimenti che richiedono per sé e per gli altri soddisfazione
di nuovi bisogni materiali e morali, ma diventa ingannevole se oscura o occulta
la differenza tra il diritto rivendicato e quello riconosciuto e protetto. Non
si spiegherebbe la contraddizione tra la letteratura inneggiante alletà dei
diritti, e quella denunciante la massa dei “senza diritti”. Ma i diritti di cui
parla la prima sono quelli soltanto preannunciati nelle assise internazionali e
nei congressi, i diritti di cui parla la seconda sono quelli che la stragrande
maggioranza dellumanità non possiede di fatto (anche se solennemente e
ripetutamente proclamati)» (ivi, pp. XX-XXI). «Il più forte argomento addotto
dai reazionari di tutti i paesi contro i diritti delluomo, in specie contro i
diritti sociali, non è già la loro mancanza di fondamento, ma la loro
inattuabilità. Quando si tratta di enunciarli, laccordo è ottenuto con
relativa facilità, indipendentemente dalla maggiore o minore convinzione del
loro fondamento assoluto: quando si tratta di passare allazione, fosse pure il
fondamento indiscutibile, cominciano le riserve e le opposizioni. Il problema
di fondo relativo ai diritti delluomo è oggi non tanto quello di giustificarli,
quanto quello di proteggerli. È un problema non filosofico ma politico» (ivi,
pp. 15-16).
«La Dichiarazione universale dei diritti
delluomo rappresenta la manifestazione dellunica prova con cui un sistema di
valori può essere considerato umanamente fondato e quindi riconosciuto: e
questa prova è il consenso generale circa la sua validità. I giusnaturalisti
avrebbero parlato di “consensus omnium gentium” o “humani generis”» (ivi, pp. 18-19). «Solo dopo la Dichiarazione possiamo
avere la certezza storica che lumanità, tutta lumanità, condivide alcuni
valori comuni e possiamo finalmente credere alluniversalità dei valori nel
solo senso in cui tale credenza è storicamente legittima, cioè nel senso che
universale significa non dato oggettivamente ma soggettivamente accolto
dalluniverso degli uomini. Questo universalismo è stato una lenta conquista.
Nella storia della formazione delle dichiarazioni dei diritti si possono
distinguere almeno tre fasi. Le dichiarazioni nascono come teorie filosofiche».
«Nel momento in cui queste teorie sono accolte per la prima volta da un
legislatore, e ciò accadde con le Dichiarazioni dei diritti degli Stati
americani e della Rivoluzione inglese (un secolo più tardi), e poste alla base
di una nuova concezione dello stato, che non è più assoluto ma limitato, non è
più fine a se stesso ma mezzo per il raggiungimento di fini che sono posti
prima e al di fuori della sua stessa esistenza, laffermazione dei diritti
delluomo non è più lespressione di una nobile esigenza, ma il punto di
partenza per listituzione di un vero e proprio sistema di diritti nel senso
stretto della parola, cioè come diritti positivi o effettivi». «I diritti sono
dora innanzi protetti, cioè sono veri e propri diritti positivi, ma valgono
solo nellambito dello stato che li riconosce. Per quanto venga mantenuta nelle
formule solenni la distinzione tra diritti delluomo e diritti del cittadino,
non sono più diritti delluomo ma del cittadino, o per lo meno sono diritti
delluomo solo in quanto sono diritti del cittadino di questo o di quello stato
particolare. Con la Dichiarazione del 1948 ha inizio una terza e ultima fase in
cui laffermazione dei diritti è insieme universale e positiva: universale
nel senso che i destinatari dei principî ivi contenuti non sono più soltanto i
cittadini di questo o quello stato ma di tutti gli uomini; positivo nel senso
che essa pone in moto un processo alla fine del quale i diritti delluomo
dovrebbero essere non più soltanto proclamati o soltanto idealmente
riconosciuti, ma effettivamente protetti anche contro lo stesso stato che li ha
violati. Alla fine di questo processo i diritti del cittadino si saranno
trasformati realmente, positivamente, nei diritti delluomo. O almeno saranno i
diritti del cittadino di quella città che non conosce confini, perché comprende
tutta lumanità, o in altre parole saranno diritti delluomo in quanto diritti
del cittadino del mondo» (ivi, pp. 23-24).
Entrambi globali, pandemia e riscaldamento
confermano che «leconomia europea, come ogni altra economia, non è
localizzabile e le politiche che lo dimenticano sono nocive» (F. Perroux, Leconomia del XX secolo, Milano, Etas
Kompass, 1967, p. 143). Del resto, economia è «“amministrazione della casa”» «dal lat. oeconomĭa, gr. οἰκονομία comp. di οἶκος
“dimora” e -ομία “-nomia”» (Treccani). Il “mondo-casa”, «tutto verde, poi a
distanza di pochi anni era completamente diverso. Una distruzione della foresta
dovuta alla creazione di nuovi spazi per ottenere nuovi appezzamenti di terreno
per la coltivazione e lallevamento», dice «Luca Parmitano, dellEsa,
protagonista di due missioni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale
(Iss) di cui lultima a cavallo tra il 2019 e il 2020» (Il pianeta visto
dallo spazio? Uno choc, una volta era tutto verde, in «Avvenire», 2 novembre
2021, p. 3). «Trasformare il progresso tecnico in sviluppo non va da sé. Nelleconomia
classica, in regime di concorrenza minori costi significano minori prezzi e
crescita produttiva, salvo peripezie a breve termine. Ma, come dimostra Mary
OSullivan, non basta che uninnovazione riduca i costi per essere gestita
al meglio socialmente, perché chiave di volta del suo uso resta la
profittabilità privata. Che dipende dalla capacità di un imprenditore di
costruire e controllare il mercato e i prezzi, in ogni modo» (P.C. Hautcoeur, La
rente contre linnovation, in «Le Monde», 18 novembre 2021, on line).
«Allavvicinarsi dellapertura
della COP26 il 31 ottobre a Glasgow sono stati numerosi i passi, come il
rapporto Dasgupta (Economics of Biodiversity, 2 febbraio) per contabilizzare
ambiente, clima, biodiversità – la “natura” – e fare capire agli attori
economici – imprese, consumatori, poteri pubblici – il valore finanziario delle
loro distruzioni. Non potremo evitare il collasso senza valutarne il costo,
senza “contabilità verde”: affermazione che pare la parola dordine dellattuale
economia e delle sue politiche. Fabian Muniesa, direttore di ricerca al
Centre de sociologie de linnovation (Ecole des Mines ParisTech) vi vede un
paradosso inquietante: “Per difendere
la natura dal capitalismo, bisognerà dunque trasformarla in capitale!”».
«Il capitale non è solo un oggetto di calcolo per gli economisti, che si preoccupano
della sua entità, inflazione o insufficienza o ancora formazione e allocazione.
È anche, dice Fabian Muniesa, una operazione semiotica e culturale di
trasformazione delle cose, una tecnologia politica – per dirla con Michel
Foucault – capace di consolidare la presa delle sue rappresentazioni sulla
società. Sta alla finanza “adottare le
disposizioni più importanti per la società” affermava Larry Summers
nel 2001, nel bicentenario della Borsa di Londra. Economista, segretario al
Tesoro americano, è stato il principale consigliere economico della amministrazione
nella crisi del 2008. Capacità “performativa” – vale
a dire trasformare un discorso in oggetto sociale reale – che si traduce ad
esempio nel trasformare le “spese pubbliche” in “investimenti pubblici”,
assimilando così ogni contribuente a un investitore che si aspetta dallo Stato
una rendita futura – in forma di servizi pubblici di qualità o di politiche di
salvaguardia dellambiente. Inconsapevolmente, se adotta questo tipo di
concettualizzazione, di fatto la società cede le chiavi politiche del suo
avvenire a chi ne domina meglio la retorica: ai professionisti della finanza» (A.
Reverchon, Le pouvoir de la métaphore financière, in «Le Monde», 29 ottobre
2021, on line). Quale avvenire?
Sulla
scia del lungo XX secolo, il metaverso, «vita elettronica autonoma» (Treccani),
«non arriverà da un giorno allaltro, non più di World Wide Web o Internet
mobile. Ma va preso sul serio» (The future of the internet. Dont mock the metaverse, in «The Economist», “Today”, 17 novembre
2021, on line). Già «“due generazioni di bimbi sono cresciute nel gioco
online”, dice Bronstein, responsabile di produzione di Roblox. “Navigare
in 3D. Uscire con gli amici in un mondo virtuale. Banalità, per loro”» (The future of the internet. The video-game industry has metaverse ambitions, too,
in «The
Economist», 20-26 novembre 2021, on line). La «raccomandazione ai responsabili politici è il
realismo. Poiché la tecnologia non può essere dis-inventata, linvito allAmerica
è di sviluppare e modellare le applicazioni militari dellIA, invece di cedere
il campo a paesi che non ne condividono i valori» (Henry Kissinger and Eric Schmidt take on AI, in «The
Economist», 20-26 novembre 2021, on line). È lincitamento
alla guerra tribale globale per tutti i talebani del mondo che, come quelli
afghani, non sono «per nulla bifolchi medievali ribelli», bensì «militanti di
estrema destra reazionari e settari al potere con la forza e il controllo» (J.
Follorou, Afghanistan, malheureuse terre de convoitise, in «Le
Monde», 30 novembre 2021, on line, recensione
a M. Barry, Le Cri afghan, Paris, LAsiathèque, 2021).
«Tra i primi a capire lapparente paradosso che le
scoperte più utili nascono dal lavoro motivato da curiosità senza fini
utilitaristici fu Abraham Flexner, fondatore dellInstitute for Advanced
Studies di Princeton nel 1939. Espose la sua filosofia di ricerca in un saggio
dal titolo esplicito: “Sullutilità dei saperi inutili” (1939). Leclatante
successo indusse a crearne altri in USA e Europa». «Nota Alain Supiot:
“È proprio della conversazione essere contagiosa quando punta non a atterrare
laltro, ma a pensare diversamente per riuscire a pensare insieme» (M. Nasi, Le
travail et léconomie demain, in «Le
Monde», 28 novembre 2021,
on line), perché «il rapporto tra vero,
falso e finto è la trama del nostro stare al mondo: dunque è qualcosa che
riguarda tutti, non solo gli studiosi» (C.
Ginzburg in dialogo con P. di Stefano, Carlo Ginzburg. Fa bene alla storia
affidarsi al caso, in «La lettura», 21 novembre 2021, p. 20). I diritti di
tutti in tutto il mondo sono letteralmente la nostra vita, personale e globale.
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