Quanto
mai ambiziosa, se non azzardata, la scelta di aprire lultimo Festival di
Cannes con il sesto lungometraggio di Leos Carax, il suo primo in lingua
inglese in quasi quarantanni di carriera. Col senno di poi, considerando anche
il premio per la Miglior regia (consegnatogli da Valeria Golino), i
programmatori ci hanno visto giusto. Libridazione è alla base della lettura di
Annette, musical dalle tinte punk e dal retrogusto melodrammatico
che, nel bene o nel male, è destinato a far parlare di sé, inserito a pieno
diritto nellalveo di quella cinematografia europea che negli ultimi anni osa
nella ricerca stilistica, senza timore di perire sotto gli infuocati strali
della critica. Se il precedente Holy Motors (2012) era unopera più cupa
e stratificata, qui la storia narrata è sì più temeraria ma anche più convenzionale
se letta come una fiaba noir contemporanea (o come unopera lirica
tragica). In essa pullulano orchi su moto rombanti, regine fantasmatiche che
addentano mele rosse, principesse collodiane dalla voce soave e cavalieri armati
di bacchetta davanti un esercito di orchestrali.
Una scena del film
Nella
città di Los Angeles Carax in persona, deus ex machina in uno studio di
registrazione, dà il la agli Sparks, autori della colonna musicale (e della sceneggiatura)
che spazia dal pop-rock al synth-pop. In un suggestivo piano sequenza – solo
lontanamente simile a quello iniziale in La La Land (2016) di Chazelle
– fanno il loro ingresso i protagonisti della storia, che da attori diventano
improvvisamente personaggi. Sin da subito è chiara la contraddittoria “connessione
cardiaca” tra Henry (Adam Driver) e Ann (Marion Cotillard):
lui cabarettista che fa del black humor la sua cifra stilistica
preponderante; lei leggiadro soprano di successo. Oggetto prediletto della
cronaca rosa televisiva, la coppia concepisce lenfant prodige Annette,
bambina-burattino dallaspetto (inizialmente) straniante e rivoltante, forse
simbolo di un rifiuto della paternità come quello lynchano in Eraserhead (1977).
In balia delle aspirazioni dei genitori, sarà proprio lei a scompaginare
larmonia tra i due, persi e danzanti in una tempesta nelloceano, preludio del
nietzschiano, irreversibile sguardo dentro labisso.
Una scena del film
Impossibile
non riconoscere a Driver la sua interpretazione più memorabile, allinterno di
una filmografia che lo vede lavorare sin da giovanissimo con autori del calibro
di Clint Eastwood, Spielberg, Baumbach, i Coen, Jarmush,
Soderbergh, Gilliam, Spike Lee e Ridley Scott. Se
nel 2014 già si intravedeva un grande talento, confermato tra laltro dalla
Coppa Volpi per Hungry Hearts del “nostro” Saverio Costanzo –
seguito da due nomination agli Oscar per BlacKkKlansman (2018) e per Marriage
Story (2019) –, sarebbe un delitto non consacrarlo agli Academy in
programma a marzo 2022. Notevole il lavoro che questo attore conduce per
sottrazione, a
ricercare caratteristiche e gesti antidivistici che ben si accordano con la sua
stazza imponente, tesa a riempire lo spazio scenico relegando nellombra tutto
il resto. Discorso a parte per Cotillard, ingabbiata in una serie di ruoli
graziosi e incantevoli ma eterei, pallidi e purtroppo facilmente dimenticabili.
Una scena del film
Annette
è
unoperazione strabordante aperta a decine di chiavi di lettura: da quella
iconologica a quella semiotica, da quella sociologica a quella filosofica. Dal
punto di vista cromatico – reso ottimamente dalla fotografia di Caroline
Champetier, già collaboratrice di Rivette, Godard e von
Trotta – si nota laccostamento “shakespeariano” al protagonista dei colori
verde – simbolo di quella invidia e di quel livore degni dello Iago
interpretato da Totò nellepisodio pasoliniano Che cosa sono le
nuvole? (1968) – e rosso, incarnato da una macchia vermiglia sulla guancia di
Driver (come quella sulle mani di Macbeth) che, in maniera direttamente
proporzionale allabiezione, si allarga. Tuttavia, dal punto di vista tematico,
il racconto delluniverso dello showbiz non convince per via di sequenze
ed elementi superflui e ridondanti, così come leccessiva durata della
pellicola, destinata senzaltro a dividere il pubblico. Più interessante,
invece, la resa antitetica del folgorante divismo californiano, restituito nel
suo rovescio della medaglia fatto di sovraesposizione mediatica, esibizionismo
e vacuità.
I
confini della tragedia e della farsa si assottigliano verso il finale, con una
catarsi conseguita fuori tempo massimo. Seppur con qualche perplessità, ci
troviamo di fronte unopera darte degna di essere chiamata tale, che disturba
e irrita ma ammalia. Altrimenti che opera darte sarebbe?
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