Dopo
una lunga chiusura forzata, il Teatro Cantiere Florida riapre le porte a un
pubblico numeroso con un evento programmatico. In scena Let me be di e
con Giuseppe Comuniello e Camilla Guarino, prodotto da
Fuori Equilibrio e Versiliadanza. Se lo spettacolo dal vivo è espressione non
solo dellestro dellartista ma anche delle sfaccettature socio-politiche contemporanee,
così la performance esprime mancanze collettive attraverso il vissuto personale
degli interpreti.
Comuniello,
privo della vista – senso apparentemente imprescindibile per la fruizione e
lesecuzione della danza contemporanea – non rinuncia né alla possibilità di
esibirsi né a sedersi tra il pubblico. Oltre a essere un danzatore
professionista, è assiduo spettatore: nasce proprio in platea la sua
collaborazione con Camilla Guarino. Negli anni questultima è andata alla
ricerca di un nuovo linguaggio atto a descrivere in tempo reale una performance
coreutica a un non vedente. Tale modalità descrittiva è il concetto posto alla
base della drammaturgia di Let me be. Tramite espressioni, gesti e passi
di danza si esprimono i corpi dei due danzatori: la loro forma, la loro
interazione, i limiti dello spazio in cui agiscono. © Federico Malvadi
Alle
spalle dellopera cè un evidente training sensoriale basato
sullascolto, sul tatto e sullolfatto, che insieme rendono la vista non più fondamentale.
Lazione dei danzatori è tripartita tra scoperta reciproca, esplorazione dei
confini scenici, cambio di ruolo. Il rapporto tra Guarino e Comuniello si fonda
su un dialogo continuo, sul dare e sul ricevere. La prima condivide ciò che
vede tramite parole e contatto fisico; il secondo, una volta compresi i limiti
spaziali entro i quali muoversi (e forte di un nuovo modo di osservare), traduce
la voce e il gesto della compagna in codice corporeo. Il timone, inizialmente
nelle mani nella danzatrice vedente, passa poi sotto il controllo del partner
che la accoglie tra le sue braccia. Come un puparo, Comuniello gestisce la sua
marionetta in carne e ossa ma inerme, in un passo a due ricco di pathos. Dopo
averla condotta nel proprio mondo, privo dei canonici punti di riferimento,
Giuseppe riporta Camilla alla vista con il gesto simbolico di liberarle il viso
dai capelli.
© Federico Malvadi
Let
me be è costruito
a partire da una coscienza storico-critica della danza contemporanea. Risultano
percepibili gli echi dellopera di Virgilio Sieni, maestro di entrambi
gli interpreti: si pensi per esempio a La natura delle cose, ispirato al
De rerum natura di Lucrezio, in cui Ramona Caia – rappresentante
Venere creatrice – appare come un fantoccio tra le braccia di quattro danzatori
nonostante sia responsabile del movimento corale. Si ricordino inoltre le
figure coreografiche ideate per Bach Duets, nonché una produzione più recente – Danza cieca – che
vede protagonisti gli stessi Sieni e Comuniello.
A
supportare la buona riuscita dello spettacolo il disegno luci di Pietro
Millosevich e Gabriele Termine: lilluminazione concorre a colmare
il vuoto della scena e scolpisce i corpi conferendo loro forme sempre nuove. La
colonna sonora è invece la voce di Camilla Guarino nellatto di descrivere una
performance: a cosa si riferisce? A uno spettacolo “altro”? Allo stesso Let
me be? Con il riaccendersi delle luci, la platea si risveglia da uno stato
emotivo a cui non è più abituata. Le tensioni si distendono e la risposta è più
che positiva. Il pubblico è grato, sia di essere tornato, sia di aver compreso
lintenzione, non sempre chiara, dei danzatori.
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