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Profilo di Gigi Proietti

di Alessandro Tinterri
  Gigi Proietti
Data di pubblicazione su web 09/11/2020  

Con Gigi Proietti (Roma, 2 novembre 1940; ivi, 2 novembre 2020) se n’è andato l’ultimo dei mattatori. Dopo di lui non ne verranno altri; con lui si è esaurita quella vena della grande tradizione attoriale italiana che dalla Commedia dell’arte si allunga sino al Grande Attore ottocentesco e vede nel mattatore la sua estrema manifestazione: una degenerazione per i critici più severi, come Silvio d’Amico. Mattatore per eccellenza, Vittorio Gassman nel 1960 fu il protagonista dell’omonimo film di Dino Risi (indimenticabile la sua interpretazione della Garbo).

Proietti scelse il segno della dismisura, a partire dai modelli che si era dato, Gassman e Petrolini. Il primo ebbe modo di frequentarlo, sia professionalmente, sia amicalmente; il secondo, per limiti anagrafici, poté solo studiarlo interrogandone i testi del repertorio, le rare registrazioni, al punto di proporsi come suo erede: non una pedissequa imitazione, bensì una personale reinvenzione del personaggio Petrolini. E, come Petrolini, ha sempre orgogliosamente rivendicato la sua romanità, il colore e l’espressività del dialetto, si trattasse di Belli o Trilussa o degli stornelli, che rimandavano ai suoi interessi musicali (suonava diversi strumenti) e alle sue origini di cantante, quando si esibiva nei night club, mentre di giorno, studente di Giurisprudenza, frequentava i corsi del Centro Universitario Teatrale.

Al Teatro Ateneo avviene l’incontro con Giancarlo Cobelli, con il quale debutta nel 1963 all’Arlecchino di Roma, oggi Teatro Flaiano, nello spettacolo Il can can degli italiani, per il quale compone anche le musiche di scena. Nel 1965 entra a far parte della Compagnia sperimentale del Teatro Stabile di Roma, partecipando a spettacoli quali L’arbitro di Gigi Pistilli per la regia di Giorgio Magliulo, Il re cervo di Carlo Gozzi, con Arnoldo Foà e la regia di Andrea Camilleri, e Il mercante di Venezia di Shakespeare, con Paolo Stoppa, regista Ettore Giannini. Sempre a metà degli anni Sessanta entra nel gruppo del Teatro del 101, costituito da Antonio Calenda, che comprende Ginny Gazzolo, Piera Degli Esposti e Paila Pavese, il cui repertorio spazia da Jean Genet a Boris Vian, da Bertolt Brecht ad Apollinaire, sino al giovane Corrado Augias (Direzione memorie e Riflessi di conoscenza). Nominato direttore del Teatro Stabile dell’Aquila, Calenda lo vuole con sé e insieme danno vita a spettacoli significativi quali, tra gli altri, Il dio Kurt di Moravia e Operetta di Gombrowicz.

Alla metà degli anni Sessanta risale anche il debutto sul grande e piccolo schermo, dove si segnala per la sua interpretazione dell’imbroglione Jingle nella fortunata riduzione televisiva del Circolo Pickwick di Dickens, inizio di un sodalizio con Ugo Gregoretti, destinato a riproporsi nelle produzioni televisive dell’estroso regista: da Le tigri di Mompracem da Salgari sino all’originale Viaggio a Goldonia del 1982 (nel 1980 Proietti era stato Lelio de’ Bisognosi ne Il bugiardo di Goldoni, diretto proprio da Gregoretti al Teatro Stabile di Genova).

Parallelamente al teatro si registra un’intensa attività cinematografica (oltre quaranta il totale dei film, cui ha partecipato) a partire dal 1966, quando incontra Gassman sul set de Le piacevoli notti di Armando Crispino e Luciano Lucignani, per poi lavorare, tra gli altri, con Tinto Brass (L’urlo, 1968, e Dropout, 1970, in cui si segnala nella parte del cieco) e Mario Monicelli in Brancaleone alle crociate, 1970, in cui interpreta due personaggi: Pattume, peccatore masochista, e lo stilita Colombino. Reciterà con Gassman (il perfido barone Scarpia) anche ne La Tosca (1973) di Luigi Magni, in cui veste i panni del pittore Cavaradossi, amante di Tosca, interpretata da Monica Vitti.

Nel 1970 il Teatro Sistina a Roma, tempio della commedia musicale, gli schiude le porte, quando Garinei e Giovannini lo scritturano per Alleluja brava gente. Lì conosce Renato Rascel e un diverso modo di fare teatro: «Ero giovanissimo – ricorderà Proietti nella prefazione al libro di Vito Molinari, I miei grandi comici (Roma, Gremese, 2018, p. 7) – e venivo da un’esperienza di teatro molto diversa; quella destinata più ai critici che al grande pubblico. Quindi nelle prove mi trovavo un po’ spiazzato. Canzoni comiche, sentimentali, balletti, dialoghi pieni di battute esilaranti ma soprattutto scrutavo e scoprivo pian piano l’arte di Renato. Dico pian piano perché molte cose in prova non le capivo. Solo dopo l’andata in scena davanti al pubblico mi divennero chiare. Intuii che da quel grande Artista potevo imparare tanti segreti per me sconosciuti. Me lo guardavo dalla quinta e ogni sera mi stupiva la sua leggerezza. La sua comicità, al di là del talento, dei tempi comici perfetti, spesso derivava da un modo tutto suo, astratto a volte, di dire una battuta. Capii che un attore può avere a disposizione un copione di grande comicità, ma se non ha il “senso” del comico e un suo particolare stile, il copione non basta». Dopo quell’esperienza, a riprova del suo eclettismo, nel 1989 tornerà al Sistina, questa volta come protagonista assoluto de I sette re di Roma di Magni, con le musiche di Nicola Piovani; spettacolo in cui, in un accesso di fregolismo, oltre a interpretare i sette re del titolo, incarnava anche i personaggi di Enea, il dio Tiberino, il fauno Luperco, Orazio e Bruto.

Nel 1974 è Neri Chiaramantesi ne La cena delle beffe di Sem Benelli, accanto a Carmelo Bene, altro attore che praticava la dismisura a partire dalla voce, strumento affinato in anni di spasmodica ricerca, a fronte del quale Proietti non sfigurava. Ma è nel 1976 che avviene la svolta, grazie all’incontro con Roberto Lerici, che qualcuno ha paragonato al sodalizio tra Gaber e Luporini. Con Lerici Proietti scrive A me gli occhi, e scopre la dimensione congeniale dell’one man show. Ne nasce uno spettacolo pastiche, in cui si coniugano l’alto e il basso, satira e commozione si alternano, i generi si mescolano e la prosa cede volentieri il passo alle canzoni e viceversa, il romanesco si alterna all’italiano. Dopo il debutto all’Aquila, l’impresario Carlo Molfese, per riempire un buco nella programmazione, lo invita a esibirsi al Teatro Tenda di piazza Antonio Mancini a Roma, nel quartiere Flaminio. Sotto quello chapiteau da circo, capace di contenere duemiladuecento spettatori, avviene la sua consacrazione. Lo spettacolo va avanti in una serie infinita di repliche, sino a diventare il cavallo di battaglia dell’attore, che lo riprenderà più volte negli anni. Sotto quello stesso tendone l’anno dopo Vittorio Gassman dà vita all’esperimento unico e irripetibile di Gassman all’asta, quando per una intera settimana il grande mattatore, alloggiato in una roulotte, si esibisce in uno spettacolo ininterrotto, pescando dal suo repertorio e dalla sua proverbiale e prodigiosa memoria, duettando dal mattino alla sera con una platea in continuo divenire, infarcita di amici e colleghi.

In fondo, anche con quella inarrivabile dismisura ha voluto misurarsi Proietti, nel giugno del 2000, allorché per l’ennesima variazione di A me gli occhi 2000 sceglie lo stadio Olimpico di Roma, sistemando il palcoscenico nella curva sud, accompagnato da una poderosa orchestra, per esibirsi davanti a migliaia di spettatori, disposti sulle gradinate e sul campo di calcio, ancora una volta, solo, in camicia bianca e pantaloni neri, con l’unico ausilio di una cassa, dalla quale trae i pochi accessori utili a un mascheramento posticcio, erede della vecchia cesta dei comici, raccontati da Sergio Tofano nel suo libro di ricordi, Il teatro all’antica italiana.

Nel 1978 vola in America insieme all’amico e collega Gassman per partecipare al film di Robert Altman Un matrimonio; in quello stesso anno assume la direzione del Teatro Brancaccio, quartiere Esquilino, via Merulana (quella del commissario Ingravallo del Pasticciaccio di Gadda), con l’intenzione di offrire ai romani un teatro popolare. Qui inaugura la sua prima stagione con La commedia di Gaetanaccio, spettacolo musicale scritto da Magni, con musiche di Piero Pintucci e dello stesso Proietti. In quello stesso torno di tempo nasce anche il Laboratorio di esercitazioni sceniche di Roma, che si potrebbe dire animato da un mix di spirito di servizio ed esuberanza artistica, analogo a quello che aveva spinto Gassman negli anni Sessanta a farsi impresario dotandosi di un suo carro di Tespi per il progetto del Teatro Popolare Italiano; quello spirito che nel ’79 suggerisce allo stesso Gassman di dar vita a Firenze alla Bottega Teatrale.

Difficile sintetizzare nello spazio di un ricordo la vita iperattiva di un vero e proprio trasformista dello spettacolo che, oltre a essere cantante e attore, impresario e maestro di attori, è stato anche regista di opera lirica e non solo: doppiatore (inconfondibile la sua voce prestata al Genio della lampada nell’Aladdin  della Disney, in un’interpretazione divertita da grande doppiatore), nonché intrattenitore e presentatore televisivo. E proprio grazie alla televisione conosce un grande ritorno di popolarità con la fortunata serie Il maresciallo Rocca in coppia con Stefania Sandrelli, in onda sul piccolo schermo dalla metà degli anni Novanta per cinque stagioni, sino alla miniserie conclusiva nel 2008.

Il talento naturale non basta, occorre un grande lavoro sulla voce e sul corpo, intelligenza interpretativa e capacità di analisi del personaggio, una fatica dissimulata sotto quell’apparente facilità che distingue il grande attore: «E provare. Io quando provo sono una specie di maniaco. Mi vien fuori tutta la precisione, che in questi casi si chiama acribia, accumulata in anni di mestiere. E vado sui ritmi, sui tempi, sulle entrate e sulle uscite. Da rispettare. Il teatro è come una bomba a orologeria, tutto deve funzionare, tutto deve essere perfetto» (G. Proietti, Gigi Proietti show, Torino, Einaudi, 2002, p. 5).

Il 2003 lo vede impegnato nella nuova impresa del Globe Theatre, replica romana del rinato palcoscenico londinese, dove nel 2017 recita Kean vestendo i panni del grande attore inglese, che nel 1957 aveva già segnato l’esordio nella regia cinematografica di Vittorio Gassman.

Nel 2017 è protagonista de Il premio di e con Alessandro Gassman, racconto di un viaggio in auto attraverso l’Europa di un anziano scrittore, diretto a Stoccolma per ritirare il Nobel, in compagnia di due figli (Anna Foglietta e Alessandro Gassman ) di madri diverse e del segretario di una vita (Rocco Papaleo). Una commedia che offre a Proietti l’occasione di dar vita all’eccentrico personaggio di Giovanni Passamonte, egocentrico e cinico, ma anche capace di commozione e tenerezza. È il viaggio, per ammissione dello stesso regista, che Alessandro Gassman avrebbe voluto fare con il proprio padre Vittorio: ancora una volta vita e arte, realtà e finzione s’intrecciano in un gioco di specchi.



 

Vedi qui un video di approfondimento sul rapporto tra Proietti e il “maestro” Petrolini 

 
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