Con
Gigi Proietti (Roma, 2 novembre 1940; ivi,
2 novembre 2020) se nè andato lultimo dei mattatori. Dopo di lui non ne
verranno altri; con lui si è esaurita quella vena della grande tradizione
attoriale italiana che dalla Commedia dellarte si allunga sino al Grande
Attore ottocentesco e vede nel mattatore la sua estrema manifestazione: una
degenerazione per i critici più severi, come Silvio dAmico. Mattatore per eccellenza, Vittorio Gassman nel 1960 fu il protagonista dellomonimo film di Dino Risi (indimenticabile la sua
interpretazione della Garbo).
Proietti
scelse il segno della dismisura, a partire dai modelli che si era dato, Gassman
e Petrolini.
Il primo ebbe modo di frequentarlo, sia professionalmente, sia amicalmente; il
secondo, per limiti anagrafici, poté solo studiarlo interrogandone i testi del
repertorio, le rare registrazioni, al punto di proporsi come suo erede: non una
pedissequa imitazione, bensì una personale reinvenzione del personaggio
Petrolini. E, come Petrolini, ha sempre orgogliosamente rivendicato la sua
romanità, il colore e lespressività del dialetto, si trattasse di Belli o Trilussa o degli stornelli, che rimandavano ai suoi interessi
musicali (suonava diversi strumenti) e alle sue origini di cantante, quando si
esibiva nei night club, mentre di giorno, studente di Giurisprudenza,
frequentava i corsi del Centro Universitario Teatrale.
Al
Teatro Ateneo avviene lincontro con Giancarlo
Cobelli, con il quale debutta nel 1963 allArlecchino di Roma, oggi Teatro
Flaiano, nello spettacolo Il can can
degli italiani, per il quale compone anche le musiche di scena. Nel 1965
entra a far parte della Compagnia sperimentale del Teatro Stabile di Roma,
partecipando a spettacoli quali Larbitro
di Gigi Pistilli per la regia di Giorgio Magliulo, Il re cervo di Carlo Gozzi,
con Arnoldo Foà e la regia di Andrea Camilleri, e Il mercante di Venezia di Shakespeare, con Paolo Stoppa, regista Ettore
Giannini. Sempre a metà degli anni Sessanta entra nel gruppo del Teatro del
101, costituito da Antonio Calenda, che
comprende Ginny Gazzolo, Piera Degli Esposti e Paila Pavese, il cui repertorio spazia
da Jean Genet a Boris Vian, da Bertolt
Brecht ad Apollinaire, sino al
giovane Corrado Augias (Direzione memorie e Riflessi di conoscenza). Nominato direttore del Teatro Stabile
dellAquila, Calenda lo vuole con sé e insieme danno vita a spettacoli
significativi quali, tra gli altri, Il
dio Kurt di Moravia e Operetta di Gombrowicz.
Alla
metà degli anni Sessanta risale anche il debutto sul grande e piccolo schermo,
dove si segnala per la sua interpretazione dellimbroglione Jingle nella
fortunata riduzione televisiva del Circolo
Pickwick di Dickens, inizio di
un sodalizio con Ugo Gregoretti,
destinato a riproporsi nelle produzioni televisive dellestroso regista: da Le tigri di Mompracem da Salgari sino alloriginale Viaggio a Goldonia del 1982 (nel 1980
Proietti era stato Lelio de Bisognosi ne Il
bugiardo di Goldoni, diretto proprio
da Gregoretti al Teatro Stabile di Genova).
Parallelamente
al teatro si registra unintensa attività cinematografica (oltre quaranta il
totale dei film, cui ha partecipato) a partire dal 1966, quando incontra
Gassman sul set de Le piacevoli notti
di Armando Crispino e Luciano Lucignani, per poi lavorare,
tra gli altri, con Tinto Brass (Lurlo, 1968, e Dropout, 1970, in cui si segnala nella parte del cieco) e Mario Monicelli in Brancaleone alle crociate, 1970, in cui interpreta due personaggi:
Pattume, peccatore masochista, e lo stilita Colombino. Reciterà con Gassman (il
perfido barone Scarpia) anche ne La Tosca
(1973) di Luigi Magni, in cui veste i panni del pittore Cavaradossi, amante di
Tosca, interpretata da Monica Vitti.
Nel
1970 il Teatro Sistina a Roma, tempio della commedia musicale, gli schiude le
porte, quando Garinei e Giovannini lo scritturano per Alleluja brava gente. Lì conosce Renato Rascel e un diverso modo di fare
teatro: «Ero giovanissimo – ricorderà Proietti nella prefazione al libro di Vito Molinari, I miei grandi comici (Roma, Gremese, 2018, p. 7) – e venivo da
unesperienza di teatro molto diversa; quella destinata più ai critici che al
grande pubblico. Quindi nelle prove mi trovavo un po spiazzato. Canzoni
comiche, sentimentali, balletti, dialoghi pieni di battute esilaranti ma
soprattutto scrutavo e scoprivo pian piano larte di Renato. Dico pian piano
perché molte cose in prova non le capivo. Solo dopo landata in scena davanti
al pubblico mi divennero chiare. Intuii che da quel grande Artista potevo
imparare tanti segreti per me sconosciuti. Me lo guardavo dalla quinta e ogni
sera mi stupiva la sua leggerezza. La sua comicità, al di là del talento, dei
tempi comici perfetti, spesso derivava da un modo tutto suo, astratto a volte,
di dire una battuta. Capii che un attore può avere a disposizione un copione di
grande comicità, ma se non ha il “senso” del comico e un suo particolare stile,
il copione non basta». Dopo quellesperienza, a riprova del suo eclettismo, nel
1989 tornerà al Sistina, questa volta come protagonista assoluto de I sette re di Roma di Magni, con le
musiche di Nicola Piovani;
spettacolo in cui, in un accesso di fregolismo, oltre a interpretare i sette re
del titolo, incarnava anche i personaggi di Enea, il dio Tiberino, il fauno
Luperco, Orazio e Bruto.
Nel
1974 è Neri Chiaramantesi ne La cena
delle beffe di Sem Benelli, accanto
a Carmelo Bene, altro attore che
praticava la dismisura a partire dalla voce, strumento affinato in anni di
spasmodica ricerca, a fronte del quale Proietti non sfigurava. Ma è nel 1976
che avviene la svolta, grazie allincontro con Roberto Lerici, che qualcuno ha paragonato al sodalizio tra Gaber e Luporini. Con Lerici Proietti scrive A me gli occhi, e scopre la dimensione congeniale dellone man show. Ne nasce uno spettacolo pastiche, in cui si coniugano lalto e
il basso, satira e commozione si alternano, i generi si mescolano e la prosa
cede volentieri il passo alle canzoni e viceversa, il romanesco si alterna
allitaliano. Dopo il debutto allAquila, limpresario Carlo Molfese, per riempire un buco nella programmazione, lo invita
a esibirsi al Teatro Tenda di piazza Antonio Mancini a Roma, nel quartiere
Flaminio. Sotto quello chapiteau da
circo, capace di contenere duemiladuecento spettatori, avviene la sua
consacrazione. Lo spettacolo va avanti in una serie infinita di repliche, sino
a diventare il cavallo di battaglia dellattore, che lo riprenderà più volte
negli anni. Sotto quello stesso tendone lanno dopo Vittorio Gassman dà vita
allesperimento unico e irripetibile di Gassman
allasta, quando per una intera settimana il grande mattatore, alloggiato
in una roulotte, si esibisce in uno spettacolo ininterrotto, pescando dal suo
repertorio e dalla sua proverbiale e prodigiosa memoria, duettando dal mattino
alla sera con una platea in continuo divenire, infarcita di amici e colleghi.
In
fondo, anche con quella inarrivabile dismisura ha voluto misurarsi Proietti, nel
giugno del 2000, allorché per lennesima variazione di A me gli occhi 2000 sceglie lo stadio Olimpico di Roma, sistemando
il palcoscenico nella curva sud, accompagnato da una poderosa orchestra, per
esibirsi davanti a migliaia di spettatori, disposti sulle gradinate e sul campo
di calcio, ancora una volta, solo, in camicia bianca e pantaloni neri, con
lunico ausilio di una cassa, dalla quale trae i pochi accessori utili a un
mascheramento posticcio, erede della vecchia cesta dei comici, raccontati da Sergio Tofano nel suo libro di ricordi, Il teatro allantica italiana.
Nel
1978 vola in America insieme allamico e collega Gassman per partecipare al
film di Robert Altman Un matrimonio; in quello stesso anno assume
la direzione del Teatro Brancaccio, quartiere Esquilino, via Merulana (quella
del commissario Ingravallo del Pasticciaccio
di Gadda), con lintenzione di offrire ai romani un teatro popolare. Qui
inaugura la sua prima stagione con La
commedia di Gaetanaccio, spettacolo musicale scritto da Magni, con musiche
di Piero Pintucci e dello stesso
Proietti. In quello stesso torno di tempo nasce anche il Laboratorio di
esercitazioni sceniche di Roma, che si potrebbe dire animato da un mix di
spirito di servizio ed esuberanza artistica, analogo a quello che aveva spinto
Gassman negli anni Sessanta a farsi impresario dotandosi di un suo carro di
Tespi per il progetto del Teatro Popolare Italiano; quello spirito che nel 79
suggerisce allo stesso Gassman di dar vita a Firenze alla Bottega Teatrale.
Difficile
sintetizzare nello spazio di un ricordo la vita iperattiva di un vero e proprio
trasformista dello spettacolo che, oltre a essere cantante e attore, impresario
e maestro di attori, è stato anche regista di opera lirica e non solo:
doppiatore (inconfondibile la sua voce prestata al Genio della lampada nellAladdin della Disney, in uninterpretazione divertita
da grande doppiatore), nonché intrattenitore e presentatore televisivo. E
proprio grazie alla televisione conosce un grande ritorno di popolarità con la
fortunata serie Il maresciallo Rocca
in coppia con Stefania Sandrelli, in
onda sul piccolo schermo dalla metà degli anni Novanta per cinque stagioni,
sino alla miniserie conclusiva nel 2008.
Il
talento naturale non basta, occorre un grande lavoro sulla voce e sul corpo,
intelligenza interpretativa e capacità di analisi del personaggio, una fatica
dissimulata sotto quellapparente facilità che distingue il grande attore: «E
provare. Io quando provo sono una specie di maniaco. Mi vien fuori tutta la
precisione, che in questi casi si chiama acribia, accumulata in anni di
mestiere. E vado sui ritmi, sui tempi, sulle entrate e sulle uscite. Da
rispettare. Il teatro è come una bomba a orologeria, tutto deve funzionare,
tutto deve essere perfetto» (G. Proietti, Gigi
Proietti show, Torino, Einaudi, 2002, p. 5).
Il
2003 lo vede impegnato nella nuova impresa del Globe Theatre, replica romana
del rinato palcoscenico londinese, dove nel 2017 recita Kean vestendo i panni del grande attore inglese, che nel 1957 aveva
già segnato lesordio nella regia cinematografica di Vittorio Gassman.
Nel
2017 è protagonista de Il premio di e con Alessandro Gassman, racconto di un
viaggio in auto attraverso lEuropa di un anziano scrittore, diretto a
Stoccolma per ritirare il Nobel, in compagnia di due figli (Anna Foglietta e Alessandro Gassman ) di
madri diverse e del segretario di una vita (Rocco Papaleo). Una
commedia che offre a Proietti loccasione di dar vita alleccentrico personaggio
di Giovanni Passamonte, egocentrico e cinico, ma anche capace di commozione e
tenerezza. È il viaggio, per ammissione dello stesso regista, che Alessandro
Gassman avrebbe voluto fare con il proprio padre Vittorio: ancora una volta
vita e arte, realtà e finzione sintrecciano in un gioco di specchi.
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