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Ritorno al futuro

di Giuseppe Gario
  Ritorno al futuro
Data di pubblicazione su web 29/10/2020  

Lo scrittore Gilbert Keith Chesterton scioglie l’enigma d’un uomo forte, con casco d’acciaio, ucciso ai piedi d’un campanile con un martelletto e la forza di gravità: il contesto svela il delitto. Covid-19 colpisce anche omaccioni (Zampanò di Fellini?) come Johnson e Trump nello stesso contesto in cui Le teorie economiche di Milton Friedman hanno prodotto Trump (cfr. l’articolo di M. Wolf in «Domani», 11 ottobre 2020, p. 10). «Friedman ha sostenuto che le aziende hanno come unica responsabilità sociale giocare secondo le regole del gioco che sono impegnarsi in una competizione aperta e libera senza inganni o frodi”». «Ma chi le decide? Una delle forze dominanti è il potere del denaro: lobbisti, donatori, finanziatori di ricerche accademiche. Giocano un ruolo decisivo nel creare le regole del gioco politico. Come ci ha insegnato Mancur Olson, gli interessi concentrati e dotati di grandi risorse vincono sempre. Le grandi aziende non sono semplici giocatori. Giocano secondo regole che hanno in gran parte scritto loro. Insomma, la visione di Friedman era fintamente naïf. Se il gioco è politico, allora l’obbligo sociale per le imprese è usare il loro potere per creare un “gioco positivo”, invece che uno negativo». «C’è un filo diretto tra Milton Friedman e Donald Trump». «Come mai? Chiedetevi come si fa a convincere le persone ad accettare le idee di Milton Friedman se queste, nella pratica, spingono le rendite e i profitti verso l’alto e la disperazione verso il basso. In una democrazia con suffragio universale, i libertari favorevoli a questo equilibrio sono una minoranza. Per vincere devono impegnarsi in battaglie collaterali: guerre culturali, razzismo, misoginia, nativismo, xenofobia e nazionalismo» (ibid.). 

La pandemia Covid-19 è il sottoprodotto di questa guerra sociale dei neoliberisti post-guerra fredda: «legare le guerre commerciali, oggi tanto di moda, con le lotte di classe che sembrano relegate nel passato può sembrare una provocazione intellettuale. Invece questo libro ci dice che entrambe queste categorie conservano la loro validità, ovviamente adattate alla realtà di oggi, e insieme ci forniscono le chiavi per capire le grandi trasformazioni avvenute negli ultimi decenni, compresa la Grande crisi finanziaria e le difficoltà dell’ultimo decennio». «Il succo del libro è contenuto nel titolo e nel sottotitolo. Il primo afferma che le guerre commerciali altro non sono che la conseguenza inevitabile della divaricazione fra i pochi privilegiati e il resto della società. Il sotto-titolo è altrettanto esplicito: “La disuguaglianza distorce l’economia globale e minaccia la pace”». «Insomma, il problema cruciale oggi è un gigantesco eccesso di risparmio (savings glut) che ha favorito la bolla azionaria di fine millennio, quella immobiliare del decennio successivo con annessa crisi finanziaria» (M. Onado, Grandi disuguaglianze nei Paesi avanzati, recensione a M.C. Klein-M. Pettis, Trade Wars Are Class Wars: How Rising Inequality Distorts The Global Economy And Threaten International Peace, London, Yale UP, 2020, in «Il Sole 24 ore», 11 ottobre 2020, p. VII). 

Di conseguenza, «nel report di ottobre sulle condizioni di finanza pubblica a livello globale il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha invitato i paesi avanzati a spingere sugli investimenti pubblici come parte essenziale della strategia per la ripresa dell’economia. Mai in passato dal Fondo erano arrivate simili raccomandazioni in modo così esplicito. La novità si spiega con l’urgenza di una efficace azione di contrasto ai devastanti effetti di Covid-19, con una contrazione stimata del PIL mondiale di almeno il 4,5 % nel 2020. Il FMI riconosce il ruolo fondamentale degli aiuti a sostegno dei cittadini e delle imprese più vulnerabili durante il lockdown ma, al contempo, rimarca l’enorme potenziale degli investimenti pubblici per stimolare la crescita e l’occupazione nella fase post-pandemica. La spesa pubblica in conto capitale presenta infatti moltiplicatori fiscali più alti rispetto a quella di parte corrente, specie in periodi di elevata incertezza come quello attuale. Purtroppo, salvo qualche eccezione, negli ultimi decenni si è registrata una progressiva rarefazione degli investimenti pubblici in tutti i paesi. A partire da quelli più ricchi». «I minori investimenti pubblici impoveriscono lo stock di capitale e la capacità produttiva dell’economia e difficilmente sono compensati da maggiori investimenti del settore privato che predilige le realtà con ampia disponibilità di infrastrutture pubbliche di alto livello. In più l’intervento dello Stato migliora il clima di fiducia degli agenti economici spianando la strada all’iniziativa dei privati» (M. Minenna, Più investimenti pubblici per la ripresa post Covid, in «Il Sole 24 ore», 11 ottobre 2020, p. 11). 

Per ora «pare certo che i sofisticati mondi digitali 3D appariranno su sempre più schermi delle nuove generazioni di dispositivi d’uso quotidiano. Poiché le attività virtuali, specie le interazioni tra persone, possono produrre effetti concreti e graditi con conseguenze morali e significati personali, l’idea che il mondo “reale” sia solo ciò che è fisicamente prossimo sembrerà sempre più bizzarra. In effetti, che cosa è reale?» (The future. The Metaverse is coming, in «The Economist», 3-9 ottobre 2020, on line). Metavèrso è un «termine coniato da Neal Stephenson nel romanzo cyberpunk Snow crash (1992) per indicare uno spazio tridimensionale al cui interno persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire attraverso avatar personalizzati. Il metaverso viene descritto come un enorme sistema operativo, regolato da demoni che lavorano in background al quale gli individui si connettono trasformandosi a loro volta in software che interagisce con altro software e con la possibilità di condurre una vita elettronica autonoma. Il metaverso è regolato da norme specifiche e differenti dalla vita reale e il prestigio delle persone deriva dalla precisione e dalla originalità del rispettivo avatar. Si è parlato di metaverso per definire le chat tridimensionali e i giochi di ruolo multiplayer online» (Treccani). 

Giochi di ruolo, ma anche ben concreti dell’azienda Palantir. «Nel mondo magico del Signore degli anelli palantir è un cristallo che permette di comunicare e vedere tutto quanto è accaduto e accadrà. L’azienda Palantir fa la stessa promessa: scambiare, analizzare, prevedere». «I suoi prodotti sanno di zolfo. Battezzato Gotham, la città di Batman, il suo software superstar incrocia dati di fonti diverse, fiscali, sanitari, reti sociali o coordinate GPS, per individuare terroristi e minacce e probabili nuovi crimini. Lo usano molti servizi segreti, anzitutto la CIA, investitore storico in quest’azienda tramite il suo fondo In-Q-Tel, ma anche la DGSI francese. E poi servizi di polizia e di lotta a frodi fiscali e immigrazione, con dubbia efficacia. Altri suoi prodotti si rivolgono alla finanza per orientare gli investimenti, alle grandi imprese per incrociare dati di attività, e di clienti e fornitori. Strana anche la sua governance. La società è sul mercato con registrazione diretta, cioè senza raccolta di capitale. Un sistema di azioni privilegiate permette ai dirigenti, come il PDG Axel Karp e il finanziere Peter Thiel, di vendere la maggioranza delle loro quote e mantenere il controllo sull’impresa. Infine zero guadagni fin dalla creazione, nel 2003. Diciassette anni dopo, espone una perdita di 580 milioni di dollari su una cifra d’affari di 742. Handicap insuperabili, ma Palantir spera in una valorizzazione di borsa sui 20 miliardi di dollari. Più probabili 10, comunque eccezionali e ulteriore segnale della stasi della Borsa americana. L’ora della verità si avvicina. Forse è già in superficie sul cristallo palantir, ma nessuno osa guardarla in faccia» (P. Escande, Avec la cotation en Bourse de Palantir, c’est le science-fiction qui entre à Wall Street, in «Le Monde», “La lettre éco”, 2 ottobre 2020, on line). 

L’autoaffondamento dell’economia neoliberista via epidemia Covid-19 rivela i pericoli per il nostro futuro, ora di nuovo affidato agli investimenti pubblici. Quali? 

 

Ritorno al futuro. «Nel tempo della canzone “chi pagherà la fattura di Covid19?”, di “frugali” paesi “contabili in tonaca ma belli grassi”», Jean-Paul Fitoussi oppone la «sua speranza di “un ritorno al futuro”», «una vigorosa difesa del debito pubblico come strumento» per «“rientrare nelle nostre reali priorità: sanità, protezione sociale in generale e in particolare del lavoro, sviluppo dei beni pubblici e in particolare dell’autodeterminazione”», attraverso «domanda, stimolo fiscale, politica industriale, investimento pubblico» (J. Carriat, Un “retour vers le futur” keynésien, recensione a J.P. Fitoussi, Comme on nous parle. L’emprise de la novlangue sur nos sociétés, Paris, Les Liens qui libèrent, 2020, in «Le Monde», 7 ottobre 2020, on line). Il futuro sta nei legami sociali. 

Da che «gli economisti hanno abbandonato l’idea che il lavoro è misura del valore di scambio dei prodotti» (G. Hartais, Avis de déces de la valeur travail, in «Le Monde», 2 ottobre 2020, on line), «gli orizzonti condivisi sono entrati in crisi, scalzati via via dal “primato del sé”, divenuto dittatoriale. Eredità di Locke e dei Lumi, l’individualismo era frenato di fatto dai diritti degli altri, dalle solidarietà organizzate, dagli orizzonti di progresso. Rivelatesi menzogne le promesse liberiste, lo stallo politico ha favorito il cocooning, l’isolamento. L’incrocio tra smartphone, applicazioni, reti e emancipazione immaginaria ha incendiato la psiche dei contemporanei. Frustrato ed espropriato, ognuno si immagina “espanso”, si sogna “sovraperformato”, si immagina onnipotente, come in assenza di gravità. Il nuovo individuo, picchiettando sullo schermo tattile, trasmette i suoi ordini, dà il suo parere, divulga le sue feste intime o emozioni del momento. Invisibile e irrilevante, si crede unico. Spossessato, si crede padrone assoluto. Incapace di influire veramente sul corso del mondo, vocifera con virulenza. Tra impotenza reale e onnipotenza immaginaria, lo choc genera odio, ingiurie e ora stragi» (R. Droit, Tous despotes et solitaires?, recensione a E. Sadin, L’Ère de l’individu tyran, Paris, Grasset, 2020, in «Le Monde», 9 ottobre 2020, on line). 

«Il tempo presente, appesantito dagli esiti destrutturanti prodotti dalla pandemia, ha reso evidente la necessità di mettere il tema della cura al centro dell’agenda culturale. La riflessione sulla cura si è formalizzata nel corso degli anni ottanta del secolo scorso nel contesto nordamericano». «Ma su questo movimento culturale ha pesato l’originario dualismo concettuale – da una parte la giustizia e il pensiero maschile, dall’altra la cura e il pensiero femminile – aggravato dall’asimmetria assiologica sottintesa che considera il principio etico di cura incapace di costituirsi come matrice generativa di una nuova cultura. Il pensiero etico della cura è definito nei termini di un ragionamento attento al particolare, poiché chi agisce secondo il principio di cura è impegnato a capire qual è il bisogno dell’altro in quella specifica situazione». «È il lasciarsi interpellare dall’altro in carne e ossa e il dedicare l’attenzione alla comprensione del suo vissuto per trovare la risposta più adeguata alla sua situazione a fare della cura una pratica culturale fondamentale. Nella nostra cultura, però, che ha assunto come modello l’etica normativa di tipo kantiano, che individua nella ragione a priori lontana dall’esperienza l’organo del pensare etico, è inevitabile che l’etica della cura venga valutata efficace solo negli spazi del privato e inadatta alla sfera pubblica» (L. Mortari, Curare non ha un’identità di genere (femminile), in «Il Sole 24 ore», “Domenica”, 11 ottobre 2020, p. IX). 

A servizio delle macchine nell’età industriale, rischiamo di esserlo del metaverso nella preistoria digitale. Nell’età dei servizi lo siamo gli uni degli altri e non di macchine e software. Nell’età dei servizi, la cura è la leva etica ed economica, anche per superare una pandemia non solo di Covid-19. Direttore del dipartimento di economia all’Ecole normale supérieure, Daniel Cohen ci avverte che «di fatto si vive questo periodo come un’accelerazione delle trasformazioni della società digitale. Rendendo la società fobica verso le relazioni faccia a faccia, si accelera proprio ciò per cui la società digitale è fatta e pensata: esimerci dai contatti faccia a faccia e dalle presenze fisiche» (P. Escande-S. Lauer, Daniel Cohen: “La crise se paye elle-même par les taux bas”, in «Le Monde», 23 ottobre 2020, on line). All’alba del Mille in Europa è comparsa, «nel seno dei territori e dei fantasmi, una primissima intuizione di quella che è la dignità dell’uomo. Qui, in questa notte, in questa indigenza tragica, in questa barbarie, cominciano, per secoli, le vittorie del pensiero europeo» (G. Duby, L’Anno Mille, Torino, Einaudi, 1976, p. 188). All’alba del Duemila, «in un’unione plurinazionale, il rispetto dello stato di diritto e della democrazia costituzionale costituisce la condizione del suo consolidamento» (S. Fabbrini, Dal voto in USA una lezione per la UE, in «Il Sole 24 ore», 20 ottobre 2020, p. 12). 

Il cammino della dignità umana non è una passeggiata. Buon lavoro.







 
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