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Coraggio da veri uomini, cervello da bambini

di Giuseppe Gario
  Coraggio da veri uomini, cervello da bambini
Data di pubblicazione su web 06/10/2020  

«Coraggio da veri uomini, cervello da bambini», scrive Cicerone degli assassini di Giulio Cesare (B. Biscotti, Giulio Cesare: un “tirannicidio” imperfetto, Milano, RCS, 2020, p. 60). È un mix micidiale, oggi pandemia politica non a caso associata a quella Covid-19, provocata da sedicenti leader con grossi muscoli e cervelli da educare. Leadership pericolose. 

«Atteggiandosi a campioni della grandezza della nazione, vogliono determinare chi va considerato o meno come autentico cittadino». «Questi leader preferiscono una diretta comunicazione con gli elettori attraverso la propaganda professionale su video e social media perché questo consente loro di ignorare fatti sconvenienti offerti dagli esperti». «Una terza tattica è di andare contro al proprio governo. Il termine deep state si dice abbia avuto origine in Turchia negli anni Novanta, ma ora occupa un posto di primo piano nel lessico di Trump, Orbán, Erdogan, Johnson e del leader de facto della Polonia, Jaroslaw Kaczynski. Incolpando personaggi senza nomi e senza facce dietro le quinte e cabale oscure, questi leader hanno scuse pronte per i propri insuccessi. Un quarto elemento da libretto è la soppressione degli elettori. Come i tentativi costanti di Erdogan di togliere il potere agli elettori curdi, Trump e il partito repubblicano vogliono disperatamente privare gli afro-americani del diritto di voto. Per un aspirante uomo forte, la necessità di ribaltare la bilancia elettorale apre la porta a ogni tipo di attacco ai processi democratici» (M. Leonard, Trump ha ancora armi per vincere. Non fidatevi del vantaggio di Biden, in «Domani», 18 settembre 2020, p. 11). 

«Altro espediente correlato è la “tecnologia politica”, termine per gli sporchi trucchi comunemente associati alla politica post-sovietica. Tali metodi includono il sostegno segreto della Russia a candidati di terze parti come Jill Stein nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016: il kompromat, o materiale compromettente (sintetizzato dalla ricerca di marcio su Biden in Ucraina); e dichiarare semplicemente la vittoria prima che i voti siano contati». «Un autoritario in carica può anche impegnarsi in varie forme di “azioni legali” utilizzando le forze dell’ordine o tribunali conformi per facilitare i brogli elettorali. La repressione degli elettori, insabbiamenti e altre violazioni del processo democratico. In questo caso uno dei maggiori vantaggi è la capacità di controllare la tempistica degli eventi o il rilascio di informazioni politicamente dannose». «Un’altra tattica autoritaria comune è di giocare la carta del law and order». «Il problema per i democratici negli Stati Uniti e per i democratici ovunque, è che tutte queste tecniche tendono a diventare più efficaci quanto più vengono spiegate. La verifica dei fatti nel caso di fake news può inavvertitamente diffondere ancora di più informazioni errate. Le avvertenze circa la soppressione degli elettori possono diventare profezie che si auto-avverano se un numero sufficiente di persone conclude che il processo è truccato e non vale la pena di parteciparvi. Contestare le violazioni nei tribunali crea l’impressione di una corsa verso la fine della democrazia» (ibid.). 

In questa sempre più diffusa guerra civile a bassa intensità, oltre la siepe di una pandemia sanitaria dovuta a una pandemia politica, c’è il buio. «I commessi indossano visiere come elmetti trasparenti dietro ripari di plastica che sembrano scudi trasparenti. Probabilmente così dev’essere: il Medioevo fu tempo di peste». «Stiamo assistendo al ritorno di molte patologie medievali. È di nuovo il Millenarismo che marcia». «Il nuovo Medioevo high-tech vede persino il ritorno della nomenclatura politica medievale. Un tempo i re furono detti il Calvo (Charles) o il Crudele (Pietro di Castiglia). Donald Trump ora soprannomina i suoi avversari Sonnolento Joe o Corrotta Hillary». «Vi sono anche analogie strutturali – analogie risalenti a ben prima di Covid-19 e che pongono domande preoccupanti sul nostro futuro post-Covid». 

«Il ceto medio baluardo del mondo nel dopoguerra è in ritirata in tutto l’Occidente. La nuova oligarchia tecnologica richiama l’aristocrazia medievale, “ceto cavalleresco senza cavalleria”, come Joel Kotkin ha scritto nel suo recente The Coming of Neo-Feudalism (New York, Encounter Books, 2020). I suoi membri vivono in comunità chiuse o isole protette dal resto della società. Socializzano tra loro in manifestazioni globali, ma senza contatti con chi vive in aree fuori moda come quelle interne americane (le parti del paese che molti americani vedono solo dall’aereo) o il nord dell’Inghilterra. Grandi eserciti di “servi” vestono la loro livrea in forma di t-shirt o cappelli da baseball decorati con loghi, ed eseguono gli ordini. Ogni giorno di più l’élite accademica sembra un clero medievale. Università e città universitarie sono monasteri d’oggi che proteggono i loro membri dalla contaminazione con il volgo. Gli accademici si impegnano nel moderno equivalente delle dispute medievali: invece di quanti angeli possano danzare su una punta di spillo, discutono se il sesso sia un costrutto sociale (lo è)» (A. Wooldridge, How we live now. Visors and violence: we are returning to the Middle Ages, in «The Economist», “This Week”, 19 settembre 2020). 

«Comunità chiuse e monasteri medievali che sono circondati da una classe in espansione di servi e mendicanti. Servi a chiamata, al seguito delle élite tecniche e amministrative – portano loro il cibo e puliscono le loro case. Ma invece di essere legati a persone o appezzamenti specifici sono lavoratori just-in-time, con contratti a zero ore gestiti da un algoritmo. Si fanno strada attraverso folle di mendicanti che, in tendopoli, vivono degli scarti del resto della società». «La più impressionante è tuttavia l’affinità nel distacco tra realtà e immagine. La gente del Medioevo parlava di cavalleria e di gloria di Dio ma viveva in un mondo brutale in cui le bande si rapinavano a vicenda e i monaci si impegnavano entusiasti nei peccati della carne. Oggi le élite parlano costantemente di “inclusione” e situazioni “win-win”, ma hanno creato un mondo in cui le spoglie vanno a una piccola minoranza, mentre sempre e sempre più persone sono spinte nel deserto. L’inferno chiama» (ibid.).

 

Coraggio da veri uomini, cervello da bambini è «America first» che vuole cancellare la lezione, appresa «ad un prezzo spaventoso», che Franklin D. Roosevelt fece suo programma politico nel suo ultimo insediamento, il 20 gennaio 1945: «abbiamo imparato che non possiamo vivere in pace da soli; che il nostro benessere dipende dal benessere di altre nazioni, molto lontane da noi. Abbiamo imparato a vivere come uomini e non come struzzi né come bestie alla mangiatoia. Abbiamo imparato ad essere cittadini del mondo, membri della comunità umana» (J. MacGregor Burns, Roosevelt: 1940-1945, Milano, Dall’Oglio, 1972, p. 697). 

Nel 1960 a Berkeley lo storico Carlo Maria Cipolla ribadiva che «una delle principali conseguenze della Rivoluzione Industriale è stata la riduzione del costo e l’aumento della velocità dei trasporti. Le distanze si sono ridotte a un ritmo stupefacente. Giorno per giorno il mondo sembra diventare sempre più piccolo e società che da millenni si ignoravano praticamente a vicenda si trovano all’improvviso a contatto – o in conflitto. Nel nostro modo di agire, sia nel campo politico che in quello economico, sia nel settore dell’organizzazione sanitaria che in quello della strategia militare si impone un nuovo punto di vista. Nel passato l’uomo ha dovuto abbandonare il punto di vista cittadino o regionale per acquisirne uno nazionale. Oggi dobbiamo uniformare noi stessi e la nostra maniera di pensare ad un punto di vista globale» (Uomini, tecniche, economie, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 5). 

I trasporti sono strumento e simbolo della transizione epocale dal “fare cose” all’“interagire”’ al fine di soddisfare bisogni umani fondamentali, perciò universali. Trasporti, istruzione, salute: l’economia del vivere in pace e benessere, necessariamente tutti insieme dopo aver creato la bomba atomica, nell’equilibrio del terrore che ispirò per istinto di sopravvivenza il contrappeso dei servizi pubblici di istruzione e sanità tra il 1945 e il 1975, battezzati Trenta Gloriosi da Jean Fourastié, demografo: studioso della popolazione e del «processo di rinnovamento continuo cui essa è sottoposta per effetto delle nascite, delle morti e degli spostamenti territoriali (migrazioni) e sociali (mobilità sociale)» (Treccani, ad vocem). Rinnovamento continuo nell’interazione senza fine tra produttori e consumatori di servizi, la rivoluzione nella rivoluzione industriale. La rivoluzione dei servizi, nella loro quotidianità sofisticati e complessi, continuamente riplasmati da esperienza, ricerca, necessità, atteggiamenti, comportamenti di ognuno e tutti noi, oltre gli standard industriali pur nella loro acquisita flessibilità. La particolarità di miliardi di persone, oggi sempre più in balìa dei muscoli di veri uomini con cervelli ineducati. «Non ricordo chi ha detto: Dio si vede nei particolari. È vero, ma non solo Lui». «Questo discorso sui particolari, che potrebbe non finire mai, è un discorso consolante perché l’umanità stessa è un particolare, nell’universo. Se i particolari sono importanti, può darsi che siamo importanti anche noi» (F.M. Ricci, Il mio amore per il particolare, in «Il Sole 24 ore», “Domenica”, 20 settembre 2020, p. VII). 

Covid-19 lo conferma brutalmente. «Il cinismo e la disfatta dell’immaginazione, della capacità di prevedere ciò che sarebbe accaduto: sono le ragioni del precipizio in cui Covid-19 ci ha sprofondato secondo David Quammen, divulgatore scientifico appassionante. Nel 2012, in Spillover (Adelphi), poderoso saggio sulla “tracimazione”, il passaggio di un virus da una specie all’altra che è all’origine delle pandemie, aveva riferito di un’ipotesi molto radicata tra gli esperti: l’arrivo di un’infezione virale originatasi in una foresta pluviale o in un mercato della Cina meridionale. Causata probabilmente da un coronavirus, avrebbe fatto 30, 40 milioni di vittime. Si sapeva infatti benissimo cosa poteva accadere: per almeno 15-20 anni gli scienziati avevano lanciato l’allarme, il personale sanitario lo aveva compreso, i giornalisti scientifici lo avevano diffuso, diversi Paesi avevano preparato piani pandemici, mentre la frequente comparsa di virus nuovi per l’uomo (e che dunque potevano diffondersi velocemente in organismi senza difese) avevano rodato il sistema. Ciononostante qualcosa è andato storto. «Parlo del mio Paese, il peggiore al mondo per casi e morti. Sì, avevamo un piano, una struttura per gestire l’emergenza, l’aveva voluto Obama, ma anche Bush aveva compiuto dei passi in questa direzione. Poi è arrivato questo ignominioso presidente e lo ha smantellato, perché gli scienziati non sapevano dirgli esattamente quando la pandemia sarebbe arrivata» (L. Ricci, Disfatta dell’immaginazione, in «Il Sole 24 ore», “Domenica”, 20 settembre 2020, p. II). 

Nel nostro piccolo, in Italia abbiamo fatto molto meglio col valore d’una sanità pubblica da sempre sottodimensionata rispetto alle necessità. Anche la scuola, «ma soprattutto, ed è questo il punto, la scuola è venuta meno al suo compito principale, che è quello di trasmettere da una generazione all’altra il messaggio essenziale. Che lo studio, come il lavoro che deve fargli seguito, costa fatica e che la scuola è chiamata a costruire gerarchie di merito più giuste di quelle ereditate dall’ordinamento sociale» (G.A. Ferrari, Nel paese che non studia gli insegnanti contano poco, in «Corriere della sera», 19 settembre 2020, p. 28]). «Nel piano Colao – continua Sabbadini [Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale ISTAT, membro della task force di Colao, ndr] abbiamo posto l’obiettivo del 60% di posti per i bimbi nei nidi e di un forte investimento nelle politiche di cura delle persone, degli anziani e dei disabili. Se facessimo quanto ha fatto la Germania in sanità e assistenza avremmo 1 milione e 700 mila lavoratrici in più, senza contare tutte quelle che non lascerebbero il lavoro per nascita di figli o malattia dei loro cari. Sarebbe una svolta epocale. Altri lo hanno fatto, noi mai. È arrivata l’ora» (Sfida Recovery: 3,5-4 milioni di posti in più, in «Il Sole 24 ore», 20 settembre 2020, p. 3). Sfida Recovery, anzi sfida UE, dell’Europa Unita. Nell’età dei servizi la flessibilità in apparenza senza limiti del digitale, di fatto ripetitivo, può esprimere tutto il suo potenziale anch’esso di servizio e lasciarsi alle spalle gli attuali fuochi fatui di un mitico altrove di sogni e soldi, in borsa con fantasiose capitalizzazioni – alla lettera: fantasie – come quella di un’auto elettrica inefficiente e invenduta, ma nell’immaginario neoliberista faro per capitali in apparenza illimitati perché forniti da banche centrali, anch’esse servizio pubblico di rianimazione dell’economia neoliberista a crescente rischio di collasso. Il debito cattivo nasce qui, dall’incapacità di pensare prima di agire. 

In mancanza di un coordinamento globale di governo, Covid-19, che non conosce confini, assedia città e regioni che si arroccano anche politicamente per resistere, e solo l’UE condivide la necessaria responsabilità per superare l’attuale drammatico crocevia dell’età dei servizi. Ringrazio l’amico che mi ha segnalato l’«impressionante dialogo con una intelligenza artificiale» di Kirk Ouimet (on line con il titolo Artificial Intelligence and I Discuss What Happened Before the Big Bang), conferma che la conoscenza nasce da buone domande, oggi anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale: se è intelligente, come l’amico opportunamente precisa. Inoltre, a conferma che, «istruendo un selvaggio nelle tecniche più avanzate, non se ne fa una persona civile, se ne fa solo un selvaggio più efficiente», oggi nel fobico uso politico dell’innovazione digitale a ricordarci che «nel futuro, la vita su questo pianeta dipenderà sempre più dalla capacità dell’uomo di “seguire virtute” oltre che “conoscenza”» (C.M. Cipolla, Istruzione e sviluppo: il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale, Bologna, il Mulino, 2002, p. 120). 

Covid-19 ci sta dicendo che il futuro è già cominciato e che questa capacità va coltivata sempre e ovunque, anche a casa, perché nell’età dei servizi la sola barriera fisica è la violenza.







 
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