Sulla
scia dellesito positivo ottenuto dalla 77ª Mostra
dArte Cinematografica di Venezia, anche
la Biennale Teatro 2020 (14-25 settembre) si chiude con un bilancio apprezzabile,
nonostante le difficoltà determinate dallemergenza pandemica. Il progetto
quadriennale voluto da Antonio Latella
ha sviluppato una sessione intitolata Nascondi(no),
un “quarto atto” dedicato prevalentemente alla creatività delle giovani generazioni
del teatro italiano; secondo il direttore artistico una sorta di “censura”, collegata
alle preclusioni dei repertori stagionali e del mercato distributivo nazionale,
emargina i nuovi talenti, relegandoli spesso nel limbo di uneterna sperimentazione.
Succede, così, che tra le pieghe di un programma limitato dalle regole della
sicurezza sanitaria, eppure segnato da unampia partecipazione, emergono
visioni artistiche interessanti e promettenti, accanto alle immancabili
incertezze, dovute ora alla frettolosità, ora a limiti espressivi, per lo più
sul versante della recitazione.
Un
primo livello di attenzione merita la tendenza diffusa tra le nuove leve a
rileggere e adattare i testi dautore; è un procedimento che approda, talvolta,
a una drammaturgia impura, in grado di coniugare testualità e parodia,
ispirazione letteraria e contaminazioni linguistiche. Un caso esemplare è stato
offerto dalla messinscena de La città
morta di Gabriele dAnnunzio,
curata da Leonardo Lidi; il regista,
scoperto proprio da un concorso della Biennale, si diverte a scandagliare i
riferimenti sotterranei di una tragedia che il suo stesso autore considerava
impossibile. Tre personaggi, alcuni dei quali multipli, declamano e sviliscono unincessante
ricerca archeologica, quella che vuole portare alla luce la maschera aurea del
volto di Agamennone; è uno scavo che, insieme ai segreti della famiglia degli
Atridi, svelle le radici ideali di una teatralità arcaica, mentre costeggia il
mito del poeta maledetto, colui che evoca gli “spettri” e ambisce allimmortalità
sullonda dellamore incestuoso. Lidi, però, si compiace nel decodificare lambiguità
dannunziana sopra il proprio fallimento creativo attraverso una miriade di
riferimenti, tratti dal grottesco contemporaneo e fatti di citazioni canore e
filmiche: perciò, i suoi personaggi cantano Una
lacrima sul viso di Bobby Solo, La notte di Adamo, Insieme a te non ci
sto più di Caterina Caselli,
mentre sulle gradinate sportive, ispirate dal film Grease, affiorano imitazioni alla John Travolta, esibizioni alla Indiana
Jones e altre alterazioni. Meritevoli le interpretazioni del valente Christian La Rosa (Anna e Leonardo), dellattenta
Giuliana Vigogna (Biancamaria) e di Mario Pirrello (Gabriele), che
sostengono il gioco travolgente delle mutazioni dialogiche.
I rifiuti, la città e la morte di Giovanni Ortoleva © Biennale Teatro 2020
Nella
stessa direzione, ma con minore coerenza, si muovono La tragedia è finita, Platonov, adattato dal dramma di Čechov da Liv Ferracchiati, e I rifiuti, la città e la morte, scritto
da Rainer Werner Fassbinder e ora proposto da Giovanni Ortoleva. È da segnalare, poi,
La filosofia nel boudoir, il romanzo del Marchese De Sade sintetizzato da Fabio
Condemi sul piano delle crudezze della passione.
Giuliana Musso, attrice-autrice che nel corso
degli anni ha saputo sospingere il teatro narrato verso un “teatro dindagine”
in grado di porre in discussione la stessa funzione del procedimento
rappresentativo, propone la novità Dentro
(una storia vera, se volete); il lavoro sviluppa allestremo la volontà dinterrogarsi
sulle incongruenze del sistema giuridico-sociale dinanzi ai casi di violenza
sui minori, in particolare di fronte all“abuso sessuale intra-familiare”. La
traccia drammaturgica affronta, fin dallinizio, la difficoltà di trascrivere sulla
scena la controversa “verità” dei traumi infantili, collegati alla sfera
delleros, quelli che lo stesso Freud
aveva esaminato con difficoltà e, qualche tempo dopo, ritrattato nella sua Teoria della seduzione; perciò
lappassionata attrice, coadiuvata dalla valida Elsa Bossi, intreccia il racconto di una vicenda realmente accaduta,
svelata dallo strazio di una madre che viene travolta dallangoscia della
figlia, e la ricerca spasmodica di una soluzione terapeutica esistenziale, quasi
solitaria, visto che non è possibile arrivare allo scopo mediante lintervento
delle istituzioni mediche e giudiziali, cioè attraverso una “platea” di
consulenti e avvocati che “non vogliono sapere la verità”.
Glory wall di Leonardo Manzan © Biennale Teatro 2020
Unaltra
novità, emersa dal programma del 48° Festival Internazionale del Teatro, è Niente di me - Uno studio di Arne Lygre, scrittore norvegese anomalo
e “difficile”, che Jacopo Gassmann
ha proposto sotto forma di una messinscena scarna, eppure efficace, in stile
beckettiano. Il regista, che è anche il traduttore della pièce, ha immerso i
personaggi in uno spazio vuoto, accresciuto dalla profondità del palcoscenico e
dai tagli delle luci, con lintento di liberare i limiti del tempo e della
memoria. I protagonisti, lei, madre dolente e donna spenta, e lui, giovane
esuberante e amante sfuggente, spiegano, anche in modo didascalico, la profonda
solitudine che li sospinge oltre i ricordi fino a evocare sprazzi di storie
familiari; così, appaiono di volta in volta un marito, due madri, una figlia annegata
in un lago ghiacciato, un figlio, e altro ancora. La loro fuga verso il mare
sinterrompe e sprofonda nel vortice della malattia oltre il confine della morte.
Danno voce allo “studio”, limitato dalle difficoltà produttive collegabili alla
pandemia, la raffinata modulazione espressiva di Sara Bertelà, bravissima
nel variare in modo impercettibile il passaggio dai pensieri alle parole, la
concretezza di Giuseppe Sartori e la
maestria di Michele Di Mauro,
impegnato a dare voce in modo coerente alle varie figure.
La tragedia è finita, Platonov di Liv Ferracchiati © Biennale Teatro 2020
Una
giuria internazionale, composta dai critici Maggie Rose («Plays International»), Susanne Burkhardt («Deutschlandfunk Kultur»),
Evelyn Coussens («De
Morgen») e Justo Barranco («La Vanguardia»), ha attribuito la “Targa per il miglior
spettacolo” a Glory Wall,
un lavoro ironico e provocatorio diretto da Leonardo Manzan e scritto
insieme a Rocco Placidi e Paola Giannini, per avere «affrontato nel modo più innovativo e radicale
il tema del Festival: la censura». Dentro (una storia vera, se volete) di Giuliana Musso © Biennale Teatro 2020
Da
ricordare, infine, come le iniziative della Biennale si sono svolte dopo la
nomina a presidente dellEnte di Roberto
Cicutto che, nonostante le difficoltà di questi mesi, ha espresso la
volontà di far dialogare tra loro le sei sezioni (Arte, Architettura, Cinema, Danza, Musica, Teatro); lo dimostra la sua prima iniziativa,
con la mostra Le muse inquiete. La
Biennale di Venezia di fronte alla storia, ospitata presso il Padiglione
Centrale dei Giardini, una retrospettiva visiva lungo i centoventicinque anni
della manifestazione veneziana, aperta al pubblico fino all8 dicembre 2020.
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