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Il nuovo teatro gioca a “Nascondi(no)”

di Carmelo Alberti
  Biennale Teatro 2020
Data di pubblicazione su web 28/09/2020  

Sulla scia dell’esito positivo ottenuto dalla 77ª Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, anche la Biennale Teatro 2020 (14-25 settembre) si chiude con un bilancio apprezzabile, nonostante le difficoltà determinate dall’emergenza pandemica. Il progetto quadriennale voluto da Antonio Latella ha sviluppato una sessione intitolata Nascondi(no), un “quarto atto” dedicato prevalentemente alla creatività delle giovani generazioni del teatro italiano; secondo il direttore artistico una sorta di “censura”, collegata alle preclusioni dei repertori stagionali e del mercato distributivo nazionale, emargina i nuovi talenti, relegandoli spesso nel limbo di un’eterna sperimentazione. Succede, così, che tra le pieghe di un programma limitato dalle regole della sicurezza sanitaria, eppure segnato da un’ampia partecipazione, emergono visioni artistiche interessanti e promettenti, accanto alle immancabili incertezze, dovute ora alla frettolosità, ora a limiti espressivi, per lo più sul versante della recitazione. 

Un primo livello di attenzione merita la tendenza diffusa tra le nuove leve a rileggere e adattare i testi d’autore; è un procedimento che approda, talvolta, a una drammaturgia impura, in grado di coniugare testualità e parodia, ispirazione letteraria e contaminazioni linguistiche. Un caso esemplare è stato offerto dalla messinscena de La città morta di Gabriele d’Annunzio, curata da Leonardo Lidi; il regista, scoperto proprio da un concorso della Biennale, si diverte a scandagliare i riferimenti sotterranei di una tragedia che il suo stesso autore considerava impossibile. Tre personaggi, alcuni dei quali multipli, declamano e sviliscono un’incessante ricerca archeologica, quella che vuole portare alla luce la maschera aurea del volto di Agamennone; è uno scavo che, insieme ai segreti della famiglia degli Atridi, svelle le radici ideali di una teatralità arcaica, mentre costeggia il mito del poeta maledetto, colui che evoca gli “spettri” e ambisce all’immortalità sull’onda dell’amore incestuoso. Lidi, però, si compiace nel decodificare l’ambiguità dannunziana sopra il proprio fallimento creativo attraverso una miriade di riferimenti, tratti dal grottesco contemporaneo e fatti di citazioni canore e filmiche: perciò, i suoi personaggi cantano Una lacrima sul viso di Bobby Solo, La notte di Adamo, Insieme a te non ci sto più di Caterina Caselli, mentre sulle gradinate sportive, ispirate dal film Grease, affiorano imitazioni alla John Travolta, esibizioni alla Indiana Jones e altre alterazioni. Meritevoli le interpretazioni del valente Christian La Rosa (Anna e Leonardo), dell’attenta Giuliana Vigogna (Biancamaria) e di Mario Pirrello (Gabriele), che sostengono il gioco travolgente delle mutazioni dialogiche.


I rifiuti, la città e la morte di Giovanni Ortoleva
© Biennale Teatro 2020 

Nella stessa direzione, ma con minore coerenza, si muovono La tragedia è finita, Platonov, adattato dal dramma di Čechov da Liv Ferracchiati, e I rifiuti, la città e la morte, scritto da Rainer Werner Fassbinder e ora proposto da Giovanni Ortoleva. È da segnalare, poi, La filosofia nel boudoir, il romanzo del Marchese De Sade sintetizzato da Fabio Condemi sul piano delle crudezze della passione. 

Giuliana Musso, attrice-autrice che nel corso degli anni ha saputo sospingere il teatro narrato verso un “teatro d’indagine” in grado di porre in discussione la stessa funzione del procedimento rappresentativo, propone la novità Dentro (una storia vera, se volete); il lavoro sviluppa all’estremo la volontà d’interrogarsi sulle incongruenze del sistema giuridico-sociale dinanzi ai casi di violenza sui minori, in particolare di fronte all’“abuso sessuale intra-familiare”. La traccia drammaturgica affronta, fin dall’inizio, la difficoltà di trascrivere sulla scena la controversa “verità” dei traumi infantili, collegati alla sfera dell’eros, quelli che lo stesso Freud aveva esaminato con difficoltà e, qualche tempo dopo, ritrattato nella sua Teoria della seduzione; perciò l’appassionata attrice, coadiuvata dalla valida Elsa Bossi, intreccia il racconto di una vicenda realmente accaduta, svelata dallo strazio di una madre che viene travolta dall’angoscia della figlia, e la ricerca spasmodica di una soluzione terapeutica esistenziale, quasi solitaria, visto che non è possibile arrivare allo scopo mediante l’intervento delle istituzioni mediche e giudiziali, cioè attraverso una “platea” di consulenti e avvocati che “non vogliono sapere la verità”. 


Glory wall di Leonardo Manzan
© Biennale Teatro 2020

Un’altra novità, emersa dal programma del 48° Festival Internazionale del Teatro, è Niente di me - Uno studio di Arne Lygre, scrittore norvegese anomalo e “difficile”, che Jacopo Gassmann ha proposto sotto forma di una messinscena scarna, eppure efficace, in stile beckettiano. Il regista, che è anche il traduttore della pièce, ha immerso i personaggi in uno spazio vuoto, accresciuto dalla profondità del palcoscenico e dai tagli delle luci, con l’intento di liberare i limiti del tempo e della memoria. I protagonisti, lei, madre dolente e donna spenta, e lui, giovane esuberante e amante sfuggente, spiegano, anche in modo didascalico, la profonda solitudine che li sospinge oltre i ricordi fino a evocare sprazzi di storie familiari; così, appaiono di volta in volta un marito, due madri, una figlia annegata in un lago ghiacciato, un figlio, e altro ancora. La loro fuga verso il mare s’interrompe e sprofonda nel vortice della malattia oltre il confine della morte. Danno voce allo “studio”, limitato dalle difficoltà produttive collegabili alla pandemia, la raffinata modulazione espressiva di Sara Bertelà, bravissima nel variare in modo impercettibile il passaggio dai pensieri alle parole, la concretezza di Giuseppe Sartori e la maestria di Michele Di Mauro, impegnato a dare voce in modo coerente alle varie figure.  


La tragedia è finita, Platonov di Liv Ferracchiati
© Biennale Teatro 2020

Una giuria internazionale, composta dai critici Maggie Rose («Plays International»), Susanne Burkhardt («Deutschlandfunk Kultur»), Evelyn Coussens («De Morgen») e Justo Barranco («La Vanguardia»), ha attribuito la “Targa per il miglior spettacolo” a Glory Wall, un lavoro ironico e provocatorio diretto da Leonardo Manzan e scritto insieme a Rocco Placidi e Paola Giannini, per avere «affrontato nel modo più innovativo e radicale il tema del Festival: la censura». 


Dentro (una storia vera, se volete) di Giuliana Musso
© Biennale Teatro 2020

Da ricordare, infine, come le iniziative della Biennale si sono svolte dopo la nomina a presidente dell’Ente di Roberto Cicutto che, nonostante le difficoltà di questi mesi, ha espresso la volontà di far dialogare tra loro le sei sezioni (Arte, Architettura, Cinema, Danza, Musica, Teatro); lo dimostra la sua prima iniziativa, con la mostra Le muse inquiete. La Biennale di Venezia di fronte alla storia, ospitata presso il Padiglione Centrale dei Giardini, una retrospettiva visiva lungo i centoventicinque anni della manifestazione veneziana, aperta al pubblico fino all’8 dicembre 2020.



Biennale Teatro 2020
La filosofia nel boudoir
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Dentro (una storia vera, se volete)
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La tragedia è finita, Platonov
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I rifiuti, la città e la morte
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La città morta
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Glory Wall
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Niente di me - Uno studio
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Una foto della mostra Le muse inquiete. La Biennale di Venezia di fronte alla storia
 
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