Da quando sono usciti i titoli del
concorso della 77ª Mostra di Venezia, il film più atteso e più emblematico di
questa edizione è apparso fin da subito Nomadland e questo per la
presenza di Frances McDormand, unica vera grande star hollywoodiana
della manifestazione. Il suo primo piano di tre quarti, privo di trucco, con i
capelli corti eppure spettinati, con sullo sfondo la prateria del “ventre
molle” degli Stati Uniti, ha campeggiato per giorni su tutti i quotidiani e i
siti che davano notizia della Mostra. Unattesa che è stata prolungata fino
allultimo giorno, tanto che i più maligni avrebbero potuto pensare a una
scelta “strategica”, fatta nella speranza di avere al Lido il cast e poterlo
così “trattenere” alla premiazione del giorno successivo. Ma la pandemia ha
avuto la meglio e la produzione ha deciso di non accompagnare il film in laguna,
cosa che comunque non gli ha impedito di rispettare i pronostici e vincere il
Leone doro. Una scena del film © Biennale Cinema 2020
Il film è tratto
dallomonimo libro-inchiesta di Jessica Bruder (2017) in cui si raccontano
le storie vere di persone che hanno deciso di seguire le teorie e la prassi dello
scrittore e blogger Bob Wells, che invita a non farsi
condizionare dalle ansie del classico stile di vita borghese per scegliere la
“vera libertà” di unesistenza nomade allinterno di un camper o di una
roulotte, fatta di lavori occasionali in giro per gli Stati Uniti e periodici
ritrovi con la sua comunità di houseless: ovvero “senza indirizzo”, cosa
ben diversa da homeless (i “senza casa”). La protagonista è Fern, una
donna di sessantanni che, rimasta vedova e senza figli, lascia Empire, un
paese nato e morto intorno alle fortune di una fabbrica di cartongesso, per
andare a vivere come houseless,
appunto, a bordo del suo camper. Qui, tra un lavoro per un magazzino di Amazon e uno come inserviente in un
campeggio, viene a contatto con questa comunità di moderni nomadi, con lo
stesso Wells e con la tuttaltro che banale filosofia che sottostà a questa
scelta esistenziale.
Una scena del film © Biennale Cinema 2020
Girato tra la fine del 2018 e il 2019 (e
forse destinato a Cannes), Nomadland arriva nella filmografia di Chloé Zhao (nata a Pechino, ma
formatasi in Inghilterra e negli Stati Uniti) dopo Songs My Brother Taught Me (2015) e The Rider (2017) (entrambi ambientati tra la
comunità dei nativi Lakota Sioux del Sud Dakota). Per certi versi il film chiude
una trilogia incentrata sulla dissoluzione del sogno americano, proprio in quei
territori dove la retorica della frontiera sembra conservare ancora un suo
fascino. Una trilogia che fa della Zhao una delle autrici più interessanti del panorama
del cinema indipendente americano, tanto che Hollywood le ha già gettato una
“manciata doro negli occhi”, chiamandola a girare Eternals, il nuovo cinecomic della Marvel da 200 milioni di dollari.
Una scena del film © Biennale Cinema 2020
La regista, ma
anche sceneggiatrice, montatrice e produttrice (con la McDormand) della
pellicola,
innesta il personaggio di Fern (sorta di abbreviazione-anagramma di Frances) tra
quelli del libro della Bruder e sceglie di portare sullo schermo i veri
protagonisti raccontati dalla scrittrice che interpretano loro stessi. Il
risultato è un film che, pur privo di un vero e proprio sviluppo narrativo,
mantiene un tocco leggero, empatico, impressionista su una realtà molto più
profonda e “politica” di quello che potrebbe apparire. Lo sguardo di Zhao segue
sobriamente il volto (sempre in scena) duro e dolce della protagonista, che si
riverbera sul paesaggio altrettanto duro e dolce del Middle-West, mostrando
allo spettatore la durezza e la dolcezza di come unaltra vita sia possibile
anche in quella parte di America così vicina a Trump. In tutto questo
spiace sottolineare come quella che si potrebbe non a caso definire la nota più
stonata del film si trovi proprio nella scelta delle musiche di Ludovico
Einaudi, che vengono impropriamente e anche un po ingenuamente usate nel
preciso intento di dare suggestione a immagini di per sé già suggestive,
finendo così per risultare ridondanti, se non addirittura imprevedibilmente
invadenti. Sia chiaro non siamo davanti a un capolavoro, ma a un buon film ben
fatto con lampi di verità dove, sotto il personaggio di Fren, si riesce a vedere
non solo Frances McDormand, lattrice, ma anche Cynthia Ann Smith, la
donna.
|
|
|
|
Nomadland
|
|
|
|
La locandina del film
|
|
|
|