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L’uomo nell’ombra

di Giuseppe Mattia
  La verità su <i>La dolce vita</i>
Data di pubblicazione su web 06/09/2020  

Anche la categoria dei Fuori Concorso dice la sua alla Mostra, come nel caso de La verità su La dolce vita, film incentrato principalmente su un delicato spaccato di vita del produttore partenopeo Giuseppe Amato. Il documentario porta la firma dello stesso nipote Giuseppe Pedersoli, al suo esordio nel lungometraggio, qui in veste anche di sceneggiatore e montatore. Prevedibile l’omaggio del Festival a Fellini nel suo centenario, così come quello per il coetaneo collaboratore Tonino Guerra con la proiezione in Sala Giardino di Dolgoe putescestvie (Il lungo viaggio, 1997) di Andreij Khrzhanovskij. A sessant’anni dall’uscita de La dolce vita, il sincero, solido documentario di Pedersoli rivaluta la figura troppo spesso trascurata di uno dei più grandi produttori cinematografici di sempre: il primo a lanciare sullo schermo i fratelli De Filippo in Tre uomini in frak (1932); il primo ad affidare a Totò un ruolo drammatico in Yvonne la Nuit (1949); il primo a far debuttare alla regia un certo Vittorio De Sica con Rose scarlatte (1940).


Una scena del film
© Biennale Cinema 2020

Il critico cinematografico Mario Sesti si fa cantastorie e guida di queste tre vite che si distendono e si intrecciano, tutte ruotando attorno alla preparazione del capolavoro del regista riminese. In particolare, l’attenzione è nei confronti del coraggioso Peppino Amato (Luigi Petrucci), alle prese con Fellini e con il finanziatore del film Angelo Rizzoli, questi ultimi restituiti sullo schermo dalla sola voce evitando interpretazioni caricaturali. Un ménage à trois ricostruito, in forma di documentario ma anche di finzione (sulla falsariga dei classici sceneggiati RAI), su documenti inediti e sulla corrispondenza di queste tre figure. Ma la vera protagonista del film è l’ossessione cieca nei confronti di una convinzione, di un’idea, di una scommessa. In cambio dei diritti su La Grande Guerra (1959), Amato convince Dino De Laurentiis a cedergli quelli di questo complicato copione più volte rifiutato, firmato da Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli e Brunello Rondi. Dopo aver ricevuto l’approvazione da Padre Pio in persona, insieme a Rizzoli inizia una vera e propria via crucis che lo consumerà, logorandolo giorno dopo giorno, tra screzi, ruggini, incubi e arresti cardiaci. 


Una scena del film
© Biennale Cinema 2020

Con frequenti ritardi nella produzione, con il budget previsionale di quattrocento milioni che finirà per raddoppiare, con una lunghezza iniziale di circa quattro ore che fa sbiancare gli esercenti facendo saltare i contratti per la distribuzione italiana, La dolce vita prende forma in un contesto sociale in piena crescita economica di cui Rizzoli, definito “portafogli nel cuore”, è l’emblema. Da notare anche le vigorose prese di posizione di Fellini nei confronti delle pressioni costanti dei due produttori, in un rapporto conflittuale che sarà ripreso nel suo (1963). L’intento del regista Pedersoli, sicuramente consapevole dei rischi insiti in una operazione come questa, vuol essere quello di un sincero omaggio al cinema e a quel microcosmo che pulsava dentro Cinecittà, luogo di attrazione-repulsione dentro il quale Fellini ricostruì ex novo Via Veneto (definita dalla figlia di Amato, e madre del regista, come “il polmone del cinema italiano”): al geniale regista non restò che riempirla di anime allo sbando. Pasolini, in una sua recensione riportata nel documentario, definì i personaggi de La dolce vita: «Tutti cinici, tutti meschini, tutti egoisti, tutti viziati, tutti presuntuosi, tutti vigliacchi, tutti impauriti, tutti sciocchi, tutti miserabili, tutti qualunquisti. […] A tutti tutto va bene, anche se va malissimo».
 

Una scena del film
© Biennale Cinema 2020

Amato, che vantava amicizie del calibro di Welles, Disney e Peck, è il produttore istintivo e impavido che manca al cinema italiano dei nostri giorni, restituitoci dal nipote in maniera umile ma onesta, semplice ma intrigante, con tutti i difetti lessicali della sua persona (presi in giro anche da Flaiano) e le sue debolezze, come gli incubi notturni che chiamano in causa pellicole da lui stesso prodotte quali La cena delle beffe (1942), Umberto D. (1952), Francesco, giullare di Dio (1952). Se l’estetica de La verità su La dolce vita presenta limiti notevoli nelle parti ricostruite (ambientazione, recitazione, stile di regia, riprese didascaliche) ciò viene compensato dal valore storico e divulgativo dell’opera, molto apprezzabile e godibile per i cinefili ma anche per i “non addetti ai lavori”. 



La verità su La dolce vita
cast cast & credits
 



Il regista Giuseppe Pedersoli
 
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