Sette anni dopo Via Castellana Bandiera (2013) la drammaturga e regista palermitana Emma Dante ha presentato nella sezione ufficiale della passata edizione della Mostra del Cinema di Venezia Le sorelle Macaluso, adattamento della sua omonima pièce teatrale (2014) vincitrice del Premio Ubu per il Miglior spettacolo e la Miglior regia. Prive di entrambi i genitori, sostentandosi grazie a un allevamento di piccioni le cinque sorelle Macaluso (a teatro erano sette) vivono in un appartamento allultimo piano nella periferia di Palermo, ognuna rifugiata nel proprio mondo fatto di desideri, paure, divagazioni.
Una scena del film © Biennale Cinema 2020
Senza precise connotazioni temporali – ad eccezione del riferimento nientaffatto casuale a Back to the Future (1985) di Robert Zemeckis –, il film racconta una storia di famiglia intessuta di rancori, tenerezza, ricordi e piccoli gesti, muovendosi sinuosamente tra più registri fino a sfiorare addirittura quello orrorifico. Se nella messinscena teatrale le storie vengono narrate esclusivamente dalle sorelle attempate, nella trasposizione cinematografica (la cui sceneggiatura è firmata anche da Elena Stancanelli e Giorgio Vasta) Dante scandisce il percorso biografico delle protagoniste in tre atti: linfanzia, la maturità e lanzianità, quasi un omaggio al Klimt de Le tre età della donna (1905).
Il
film inizia con le cinque giovani impegnate ad aprire un buco nella parete
(forse la “quarta parete”), cercando una via duscita, qualcosa di inaccessibile.
A turno sbirciano nel pertugio, come Anthony Perkins in Psycho (1960), per vedere qualcosa che sarà rivelato allo spettatore solo
nel finale. Le bambine diventano donne trascinando il macigno crudele di
uninfanzia funesta: come ogni tragedia che si rispetti, la morte cammina di
pari passo con i personaggi, accompagnandole lungo il loro percorso
claudicante. E la morte ha il volto di uccelli librati in volo, richiamando
alla memoria il palloncino della piccola Elsie in M (1931) di Fritz Lang.
Una scena del film © Biennale Cinema 2020 Dante non utilizza parole in eccesso, come ci si aspetterebbe da una drammaturga: le bastano immagini proposte in maniera diretta, asciutta, senza fronzoli. Consapevole delle maggiori potenzialità visive del medium cinematografico rispetto a quello teatrale, la regista costella il film di simboli che rimandano a realtà “altre”: la casa-palcoscenico come una sorta di sesta sorella, riflesso materiale del decadimento morale delle protagoniste; la marionetta di Pinocchio come una crescita intricata; una Barbie che galleggia in mare come funesta profezia; lallevamento di piccioni come volontà e allo stesso tempo impossibilità di abbandonare il passato. Fortemente
debitore del mondo del teatro, soprattutto rispetto agli ambienti e alla
recitazione (ineccepibile) di tutte le dodici attrici, il film è caratterizzato
da una diffusa tenerezza nel gesto e nel dettaglio: dal riempimento di un
piatto con mangime per uccelli allestrazione di un cuore a mani nude. E sono
proprio questi gesti semplici ad arrivare al pubblico per vie traverse, di
nascosto e in silenzio, con alcuni momenti di pathos (almeno due) che costringono lo spettatore ad affondare le unghie nei
braccioli delle poltrone e sperare che tutto finisca il prima possibile. Una scena del film © Biennale Cinema 2020
Nonostante un utilizzo delle luci e della messa a fuoco non memorabile, dal punto di vista meramente visivo saltano allocchio una serie di inquadrature ricercate: le suggestive riprese a pelo dacqua nelle azzurre acque di Mondello, la persistente ripresa di dettagli negli ambienti chiusi privati della presenza umana, la reiterata inquadratura perpendicolare su oggetti o corpi, definita da Scorsese «The Gods Point of View». Da segnalare anche il contributo musicale di Battiato – che omaggia De André – e di Gianna Nannini, a chiudere con poesia questo film che, nonostante qualche limite legato alla coerenza dellimpianto drammaturgico dovuto alla presenza di elementi troppo didascalici, a bruschi salti di trama e a vicende non meglio approfondite, regala forti emozioni trattando una notevole varietà di questioni e tematiche: lomosessualità, il disagio esistenziale, la malattia, la famiglia, il passare del tempo. Alle protagoniste, intrappolate nel passato come il personaggio di Marty McFly, non resta che stringersi e guardare verso lorizzonte, metafora del proprio passato.
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