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Un dialogo tra le arti a Bologna nel segno di Raffaello

di Lorena Vallieri
  Un dialogo tra le arti a Bologna nel segno di Raffaello
Data di pubblicazione su web 03/08/2020  

Il quinto centenario della morte di Raffaello è stato per Bologna l’occasione di ripensare il rapporto della città con l’Urbinate e le modalità di assimilazione dei nuovi canoni estetici dell’Italia centrale da parte di pittori come Francesco Francia, Innocenzo Francucci da Imola e Lorenzo Costa, ma soprattutto di uno scultore quale Alfonso Lombardi e di incisori come Marcantonio Raimondi e Giulio Bonasone. A loro sono dedicate le due mostre in corso alla Pinacoteca Nazionale, ideate nell’ambito del progetto Un dialogo tra le arti a Bologna nel segno di Raffaello che si interroga, tra le altre cose, su come il maestro influenzò gli emiliani, anche se da lontano e con l’invio di poche opere. Tra queste la Visione di Ezechiele ricordata da Vasari in casa del conte Vincenzo Hercolani, ora alla Palatina di Firenze; la Madonna Sistina conservata alla Gemäldegalerie di Dresda e forse dipinta per il convento di San Sisto a Piacenza; la Perla della Galleria Estense di Modena, recentemente restituita alla sua mano.

L’episodio più celebre è però quello dell’Estasi di Santa Cecilia, commissionata dalla futura beata Elena Duglioli Dall’Olio e finanziata dal canonico fiorentino Antonio Pucci. La pala fu probabilmente eseguita agli inizi del pontificato di Leone X per essere collocata nella cappella dedicata all’omonima santa, fatta edificare per volontà della stessa Duglioli nella chiesa lateranense di San Giovanni in Monte. Una comunità religiosa che, sin dalla cacciata dei Bentivoglio, si era distinta per il sostegno alla legazione pontificia. L’opera di Raffaello, secondo i più accreditati studi, assumeva così il carattere di “pubblico” monito per i bolognesi, rammentando loro la volontà politica di Leone X di perseverare nell’azione di riassorbimento della città nello Stato pontificio. Era anche un ringraziamento alla Duglioli per il sostegno dato ai legati Francesco Alidosi e allo stesso Giovanni de’ Medici, che ricoprì tale carica prima della salita al soglio papale; nonché un riconoscimento delle sue pratiche religiose, tra cui accostarsi con frequenza all’Eucarestia attraverso l’oratorio del Divino Amore.

La sua realizzazione si inseriva dunque a pieno titolo nelle complesse vicende politiche e religiose di Bologna, che in quel momento rivestiva un ruolo non secondario nel panorama internazionale, come le ricerche degli ultimi anni hanno ormai precisato. Non si dimentichi che nel 1515 la città fu sede dell’incontro tra Leone X e Francesco I. Sappiamo che in quell’anno Raffaello era assente da Roma ed è una valida ipotesi la sua presenza prima a Firenze, dove forse si era recato in vista del progetto per la facciata della basilica di San Lorenzo, poi a Bologna, al seguito del papa. La data 1515 compare, di pugno di Albrecht Dürer, su un disegno preparatorio per la Battaglia di Ostia donato da Raffaello all’artista tedesco (oggi alla Graphische Sammlung Albertina di Vienna) e sulla copia del ritratto di Giuliano de’ Medici, duca di Nemours, conservata al Metropolitan Museum of Art di New York.

Quindici anni dopo la città fu sede di un altro straordinario evento politico e culturale. Alludo, ovviamente, all’incoronazione felsinea di Carlo V per mano di Clemente VII, ma anche al loro successivo incontro nel 1533. Due episodi che richiamarono a Bologna numerosi artisti e letterati. Uno su tutti: Tiziano, a cui è legato il nome dello scultore protagonista della mostra Alfonso Lombardi: il colore e il rilievo, a cura di Alessandra Giannotti e Marcello Calogero. In una fortunata pagina delle Vite di Vasari Lombardi viene descritto intento a modellare di nascosto nella cera il profilo dell’imperatore impegnato in una seduta di posa con Tiziano, “scavalcando” il pittore in bravura. D’altro canto la sua abilità come ritrattista è attestata dalla rete di relazioni da lui intrattenute con i potenti del momento: dal duca di Mantova Federico II Gonzaga al cardinale Ippolito de’ Medici, dai capitani imperiali Francesco Maria della Rovere e Antonio de Leyva ai già nominati Francesco I e Carlo V, a cui presto si aggiunse papa Paolo III.


Alfonso Lombardi, Busto raffigurante il Salvatore, Firenze Bacarelli & Botticelli

Ma Lombardi fu anche un abile modellatore su grande scala, come dimostrano i Funerali della Vergine nell’oratorio di Santa Maria della Vita e il Compianto sul Cristo morto nella cattedrale di San Pietro. Dote che gli valse un ruolo centrale, al fianco di Amico Aspertini, nella realizzazione degli apparati effimeri per gli ingressi trionfali di Clemente VII e Carlo V, rispettivamente il 24 ottobre e il 5 novembre 1529, nonché per la cerimonia d’incoronazione del 24 febbraio 1530. Nuovi documenti, la cui prossima pubblicazione è annunciata nel catalogo edito da NCF, attestano che lo scultore dimostrò la propria maestria in questo campo anche a Roma, in occasione dell’elezione di Paolo III nel 1534, quando modellò le grandi sculture di piazza San Pietro.

La mostra, sospesa per il Covid-19 e fortunatamente prorogata fino al 31 agosto, si concentra sul breve ma fulgido percorso dello scultore in Emilia. A cominciare dagli anni della formazione presso la corte di Ferrara, dove i cantieri promossi dal duca Alfonso I d’Este gli permisero di entrare in contatto con la cosiddetta maniera moderna. Il trasferimento a Bologna nel 1519 fu determinato dalla vittoria nel concorso per il monumentale Ercole di Palazzo d’Accursio, dove dette prova di una straordinaria rilettura della statuaria antica. Fu nella città felsinea che il ferrarese dimostrò la sua capacità di interpretare le invenzioni di Raffaello, la cui conoscenza – oltre all’apprezzamento diretto della Santa Cecilia – fu mediata dalla grafica.

Una conoscenza che condivise con i pittori attivi in città, come emerge dalla seconda sezione della mostra, dove sono esposti gli Apostoli per la chiesa di San Giuseppe di Galliera, ispirati alla serie di uguale soggetto incisa da Raimondi su disegno dell’Urbinate; nonché il busto di Cristo che, proveniente dallo stesso complesso architettonico e solo recente recuperato, è stato opportunamente posto a confronto con quello modellato da Antonio Begarelli. Il percorso prosegue con le opere realizzate per Castel Bolognese, che illustrano la fortunata stagione emiliana della scultura dipinta, in grado di imitare la pittura fino a sfidarla nel suo campo d’elezione, quello della pala d’altare. Infine, un inevitabile focus sulle qualità di ritrattista di Lombardi e sul suo incontro con Carlo V, che chiude gli anni bolognesi dello scultore, giocati sul filo della cultura raffaellesca romana e padana.

In sintesi: Lombardi, spesso considerato uno scultore secondario per la sua scarsa propensione all’intaglio del marmo a favore del modellato, viene ora opportunamente rivalutato. La rilettura delle opere giovanili, resa possibile dalla monografica felsinea, dimostra che l’artista, formatosi nel solco della tradizione padana, fu in grado di aggiornare in senso raffaellesco il proprio stile ancor prima di recarsi a Roma nel 1533.

Determinante, in questo senso, lo studio dei disegni e delle incisioni tratte da opere del maestro. A questo aspetto è dedicata la seconda mostra bolognese, a cura di Elena Rossoni: La fortuna visiva di Raffaello nella grafica del XVI secolo. Da Marcantonio Raimondi a Giulio Bonasone. Una rassegna di incisioni realizzate in rapporto a, o derivate da, Raffaello. Gli esemplari esposti, in gran parte restaurati per l’occasione, appartengono al Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca, dove sono conservati oltre settecento fogli legati a invenzioni del pittore umbro. Unica eccezione la prima matrice realizzata da Raimondi per la Strage degli Innocenti – la cosiddetta versione “con la felcetta,” per distinguerla dalla seconda “senza felcetta” – e la corrispondente incisione, concesse in prestito dai Musei Civici di Pavia in quanto l’esemplare dell’Istituto bolognese risulta altamente stanco. Questa tiratura tarda, comunque visibile, è un chiaro esempio di come le matrici realizzate nei primi decenni del Cinquecento vennero sfruttate a lungo, sino al loro esaurimento, divenendo poi materiali di studio per gli artisti, gli intenditori e i collezionisti.


Marco Dente, Giudizio di Paride, 1515-1516. Bulino. Pinacoteca Nazionale di Bologna

L’esposizione, articolata in sette sezioni, inizia con il primo contatto di Raffaello con Raimondi. Siamo a Roma intorno al 1510-1511: quell’incontro segnò la nascita di una nuova stagione di produzione e diffusione della stampa. L’Urbinate individuò infatti nel bolognese l’artista più adatto a mediare il suo rapporto con la tecnica incisoria e a diffondere attraverso questo mezzo le proprie idee artistiche. Per lui elaborò disegni appositamente studiati per essere tradotti in stampa, come la Strage degli innocenti, il Giudizio di Paride, Il Morbetto (o Peste frigia) e il Quos ego. Veri e propri capolavori.

Intanto, almeno dal 1516, altri incisori iniziarono a confrontarsi con le opere di Raffaello. Tra questi Agostino Veneziano, Marco Dente e Ugo da Carpi e, successivamente, Jacopo Caraglio, Enea Vico, Nicolas Beatrizet e Bonasone, tutti presenti in mostra. Nomi che contribuirono in maniera determinante alla diffusione dello stile raffaellesco in un circolo vorticoso di rimandi tra disegno, pittura e incisione che contribuì alla fama dell’artista anche dopo la sua morte. Il successo di questo tipo di produzione è testimoniato, oltre che dalla creazione di nuove incisioni, dalla copia o replica di stampe già eseguite e dalla riproposta delle più importanti invenzioni pittoriche: gli affreschi della Farnesina, le scene dalle Logge vaticane, i cartoni per gli arazzi della Scuola Vecchia e della Scuola Nuova, le raffigurazioni della stufetta del Cardinal Bibbiena. Ma si pensi anche all’Estasi di Santa Cecilia di Bonasone.

La presenza nelle stampe dell’invenit di Raffaello si diffuse in maniera capillare e non sempre veritiera, soprattutto dopo la morte dell’artista. Un marchio di sicuro successo, come dimostra il suo utilizzo per invenzioni di cui è incerta la derivazione raffaellesca, quando non è ormai esclusa dalla critica. Piccoli spunti o idee furono il punto di partenza per la realizzazione di stampe completamente reinventate da incisori che, direttamente o su richiesta di editori mossi da fini commerciali, vollero fregiarsi del nome del maestro. Così avvenne, con ogni probabilità, nel caso dell’Allegoria della vita umana realizzata da Giorgio Ghisi nel 1561.

A questo fenomeno si affiancò quello della produzione di stampe eseguite “sullo stile di” Raffaello, realizzate grazie a una sorta di “rimescolamento” tra idee proposte dall’artista in differenti opere e disegni. Il caso principe è quello della serie con la Storia di Amore e Psiche: trentadue incisioni eseguite dal Maestro del Dado con l’intervento, per tre di esse, di Agostino Veneziano, su disegni di Micheil Coxcie. Il gusto del maestro, ormai assimilato, veniva reinterpretano e restituito in maniera nuova, e certo non altrettanto incisiva. Siamo ormai alle soglie degli anni Quaranta del Cinquecento quando gli editori, pur continuando a stampare le matrici prodotte nei decenni precedenti, cominciarono a prediligere altri artisti, Michelangelo in primis. Nuovi modelli si stavano ormai affermando.




Sulle mostre:

Alfonso Lombardi: il colore e il rilievo e La fortuna visiva di Raffaello nella grafica del XVI secolo. Da Marcantonio Raimondi a Giulio Bonasone (Bologna, Pinacoteca Nazionale, 4 marzo-31 agosto 2020)





Alfonso Lombardi, San Giovanni Evangelista, Castel Bolognese, chiesa di San Petronio








































Marco Dente, Venere che si toglie una spina dal piede, 1516 ca. Bulino. Pinacoteca Nazionale di Bologna




 
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