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Un mucchio di denaro

di Giuseppe Gario
  Un mucchio di denaro
Data di pubblicazione su web 03/06/2020  

Ringrazio l’amico che mi ha regalato Da animali a dèi di Yuval Noah Harari e poi segnalato due conferenze stampa di Trump il 19 marzo 2020: «nessuno sapeva che ci sarebbe stata una pandemia o epidemia di queste dimensioni»; e di Obama 5anni-3mesi-17giorni prima: «c’è la possibilità e la probabilità che arrivi il momento in cui ci sarà una malattia trasmissibile per via aerea e sia mortale e per poterla affrontare efficacemente dobbiamo predisporre una infrastruttura. Non solo qui, a casa, ma a livello globale; che ci permetta di notarla, isolarla immediatamente e rispondere rapidamente. In questo modo, se e quando un nuovo ceppo d’influenza (come la febbre spagnola) sorgerà tra cinque o dieci anni, avremo fatto un investimento per poterlo combattere. È un investimento intelligente che possiamo fare. Non è solo un’assicurazione; è sapere che in futuro avremo problemi come questi. Soprattutto in un mondo globalizzato», che però sa fare solo profitti a breve.

«Un giorno camminavo verso Manchester in compagnia di uno di quei signori del ceto medio. Gli parlavo dei bassifondi miseri e malsani e gli facevo notare le condizioni disgustose di quella parte della città dove vivevano gli operai delle fabbriche. Gli dissi che non avevo mai visto in vita mia una città così mal costruita. Mi ascoltò pazientemente e all’angolo della via dove ci separammo, disse soltanto: “Eppure, qui si fa un mucchio di denaro. Buongiorno signore!”» (da F. Engels, 1845, cit. in E.J. Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi 1789-1848, Milano, Il Saggiatore, 1963, p. 255). 

Nel 1948, dopo due guerre mondiali genocidarie, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Inoltre «Franklin Roosevelt seppe far capire a parte dei padroni americani che rivolte operaie e caos sociale rischiavano di spazzare via il loro adorato capitalismo. Bisognava venire a patti» (S. Halimi, Tous des enfants, in “Le monde diplomatique”, maggio 2020, p. 1). Politiche keynesiane e stato sociale produssero uno storico sviluppo insabbiato nelle crisi petrolifere del 1973-1979 quando la Scuola di Chicago veicolò col dittatore cileno Pinochet il credo neoliberista di élite elette solo per garantire la libertà di mercato e l’ordine pubblico. Crollata l’URSS, dall’anglosfera di Reagan e Thatcher il neoliberismo ha imposto agli stati il giudizio delle borse e di poche agenzie di rating: il giudizio di un mucchio di denaro divenuto fine a sé stesso.

Ma i sogni muoiono all’alba anche nell’anarchia globale neoliberista. Siglata dal presidente Clinton, l’abrogazione nel 1999 del Glass-Seagall Act (varato dopo la crisi del 1929 per disciplinare le attività finanziarie) portò puntualmente alla ben più grave crisi del 2008 e ai mali attuali, inclusa la deriva della sanità pubblica, leva pandemica di Covid-19, all’insaputa di Trump. E di Wall Street.

«Com’è possibile che alle soglie della più profonda recessione dal dopoguerra durante una pandemia che rappresenta un nemico sconosciuto ai viventi, con epidemiologi e scienziati di tutto il mondo che coltivano giornalmente il dubbio, l’indice sia giù solo di pochi punti percentuali?». «Il gioco è truccato». «Attratti dalle grida del croupier (il governatore della Fed Powell), che si è presentato con scatoloni traboccanti di fiches, e ancor più dalla presenza del proprietario del Casinò (Trump), che ha lasciato intendere che di questi scatoloni ce ne sarebbero stati molti di più alla bisogna, i clienti sono tornati in massa. La fede che li accomuna è quella nella lettera V, che non sta per vittoria ma che indica graficamente l’immediata risalita attesa dopo qualunque discesa». «In Borsa le formule vincenti durano poco. Sono tali, infatti, perché sono inizialmente seguite da pochi investitori. Quando diventano popolari non generano più i rendimenti sperati, perché, per definizione, in un gioco a somma zero, non possiamo pensare di guadagnare sul mercato se il mercato si muove tutto nella stessa direzione» (P. Basilico, Investire o speculare? I misteri dei mercati e quell’illusione del guadagno facile, in «Corriere della sera», 30 aprile 2020, p. 15).

Il gioco è truccato, sempre più soldi pubblici in sempre meno mani private.

 

Un mucchio di denaro del 1845 nella Manchester dei bassifondi disgustosi, nel 2020 a Wall Street in pandemia globale è una montagna di denaro. «Non avendo un’idea chiara di che cos’è modernità, di recente abbiamo tentato una fuga in avanti parlando di postmodernità». «A parte le etichette, la domanda vera rimane: perché il malessere associato all’esperienza della modernità è sentito così estesamente, e dove sono le origini degli aspetti della modernità che rendono questo malessere particolarmente doloroso?» (L. Kolakowski, Modernity on Endless Trial, Chicago, The University of Chicago Press, 1990, p. 6). Il malessere particolarmente doloroso è originato dal gioco truccato, oggi per «ridurre quel che ancora lo stato-nazione sempre più debolmente conserva dell’iniziativa politica di un tempo, alle questioni della legge e dell’ordine; fenomeno che in pratica si riduce inevitabilmente nel garantire un’esistenza ordinata – sicura – ad alcuni, e minacciare e terrorizzare gli altri con la forza della legge» (Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 113). «La “flessibilità” pretende di essere solo un “principio universale” di sanità economica, un principio che sul mercato del lavoro si applica in misura eguale sia al lato della domanda sia al lato dell’offerta». «Per la domanda, flessibilità vuol dire libertà di muoversi dovunque si intravedano pascoli più verdi»; «soprattutto, vuol dire libertà di preoccuparsi solo di “quadrare sul piano economico”». «La parte che può scegliere in un ventaglio più ampio di comportamenti introduce fattori di incertezza nella situazione dell’altra, senza che quest’ultima, condannata a opzioni ridotte quasi al nulla, sia in grado di ricambiare. Proprio la scala “globale” in cui operano le scelte degli investitori, quando la si mette a confronto con i limiti rigidamente “locali” imposti alle scelte della “offerta di lavoro”, determina l’asimmetria – che a sua volta mette in luce il dominio dei primi sulla seconda». «Il vertice della nuova gerarchia è in una condizione di extraterritorialità; i livelli inferiori sono in diverso grado vincolati allo spazio; al fondo, invece, troviamo, in pratica, quelli che abbiamo già definito glebae adscripti» (ivi, pp. 115-116).

A Roma antica glebae adscripti erano schiavi coltivatori di specifici poderi, vendibili solo con essi. Oggi glebae adscripti sono gli schiavi salariali di Orbàn, bussola dei nazionalisti-sovranisti europei, specie nostri. «La "legge della schiavitù" è in vigore in Ungheria, firmata dal capo dello Stato, János Áder. Le proteste di migliaia di persone che dal 12 dicembre sono scese in strada per protestare contro il provvedimento, non sono dunque bastate a fermare il governo guidato dal premier Orbán». «Il testo consente ai datori di lavoro di chiedere ai loro dipendenti di svolgere fino a 400 ore di straordinario all’anno e di ritardarne il pagamento anche per tre anni. Lo stesso giorno, il 17 dicembre scorso, il parlamento ha adottato una legge che crea un nuovo sistema di giustizia amministrativa privo d'indipendenza sotto il controllo del ministero della Giustizia» (in «www.repubblica.it», 20 dicembre 2018). «Il governo sostiene che la flessibilità del lavoro è necessaria per soddisfare i bisogni degli investitori, in primis le case automobilistiche tedesche» (Ungheria: cortei contro legge sul lavoro, in www.ansa.it, 8 dicembre 2018). Orbán sfrutta anche la pandemia. «Con 137 voti favorevoli e 53 contrari, il Parlamento ungherese ha affidato al presidente Viktor Orbán poteri straordinari. La decisione è stata presa per combattere l’emergenza Covid-19. La legge prevede la sospensione di tutti i trattati europei e il controllo sulla circolazione delle informazioni. I poteri di Orbán potranno essere rinnovati senza limiti. Governerà per decreto e sarà lui a decidere quando lo stato d’emergenza potrà dirsi concluso. Le opposizioni, ma anche il partito di estrema destra Jobbik, gridano ora al colpo di stato» (Orban conquista pieni poteri per combattere il virus, in «Ansa - CorriereTv online», 30 marzo 2020).

Davvero l’Europa Centrale può «essere critica per il destino d’Europa» (Kolakowski, Modernity on Endless Trial, cit., p. 255).

La sovranità dell’Ungheria di Orbán sta tutta nel farsi podere di glebae adscripti. «Il pericolo vero non viene dal virus ma dai demoni interiori del genere umano, come l’odio e la cupidigia. L’odio è frutto di una falsa soluzione: il pericolo sono gli altri. La cupidigia arricchisce pochi, danneggia molti e favorisce il virus. Oggi viviamo un doppio pericolo: che si instauri un regime di controllo giustificato dalla emergenza che resterà in funzione dopo l’emergenza, creando nuovi stati totalitari [l’Ungheria di Orbán, ndr]; e che aziende globali digitali accumulino un potere enorme di cui non devono rispondere a nessuno. Sia chiaro, senza il digitale si sarebbero chiuse le università, niente telelavoro, famiglie in frantumi. Ma c’è un tema politico: come regolamentare chi possiede le infrastrutture tecnologiche che stanno mandando avanti il mondo e invadono le nostre vite? Oggi Zuckerberg è potenzialmente più potente di Trump» (Y.N. Harari, Odio e cupidigia, il virus eccita i nostri demoni interiori, in «Corriere della sera», 1° maggio 2020, p. 66). Lo è già e si vede.

Sempre e ovunque c’è una certa percentuale di stupidi, ironizza Carlo M. Cipolla, e «in un paese in declino, la percentuale di individui stupidi è sempre uguale; tuttavia nella restante popolazione si nota, specialmente tra gli individui al potere, un’allarmante proliferazione di banditi con un’alta percentuale di stupidità e, fra quelli non al potere, una ugualmente allarmante crescita del numero degli sprovveduti. Tale cambiamento nella composizione della popolazione dei non stupidi, rafforza inevitabilmente il potere distruttivo della frazione degli stupidi e porta il paese alla rovina» (Allegro ma non troppo, Bologna, il Mulino, 1988, p. 77). Gli stupidi banditi al potere hanno anche armi atomiche.

Oggi solo l’UE offre l’alternativa della libertà nella giustizia ai glebae adscripti, di ritorno d’oltre Reno in Ungheria e Visegrad (e Padania) in primis nella filiera auto, ormai eredità del passato come già carbone e acciaio. E all’ormai necessaria scala UE il futuro è educare, responsabilizzare, tutelare la componente più debole del sistema: noi esseri umani (presentazione di V.E. Parsi, Vulnerabili: come la pandemia cambierà il mondo, Casale Monferrato, Piemme, 2020, in Giovedì libri a cura di Aseri-Università Cattolica, 14 maggio 2020). Dopo l’età agricola dell’esperienza e industriale delle competenze, eccoci nell’età della coscienza, scrive Alain Touraine (L’ère où nous entrons doit être dirigée les plus possibles par des femmes, in «Le Monde», 26 maggio 2020, p. 29): Ursula von der Leyen, Angela Merkel, Christine Lagarde? «Il 13 maggio, la cancelliera tedesca annunciava calma che la sentenza [della Corte costituzionale tedesca, il 5 maggio, sui limiti di azione della Banca centrale europea, ndr] che ha dato fuoco alle polveri inciterà di fatto la Germania a “operare di più per far avanzare l’integrazione politica dell’Unione monetaria”. Ciò che serve, aggiungeva, “è un chiaro orientamento politico”» (S. Kauffmann, Merkel, l’Allemagne et le besoin d’Europe, in «Le Monde», 21-22 maggio 2020, p. 29):

È l’orientamento a «capire perché l’escludere qualcuno dalle libertà globali produca come effetto la fortificazione delle località. Il rifiuto stesso genera gli sforzi per circoscrivere le località, così come si faceva per i campi di concentramento. E respingere chi ti respinge innesca il tentativo di trasformare le località in fortezze. I due tentativi messi in atto rafforzano reciprocamente l’uno gli effetti dell’altro, e nel loro intreccio assicurano che la frammentazione e il disadattamento “al fondo” procedano di pari passo con la globalizzazione “al vertice”» (Bauman, Dentro la globalizzazione, cit., p. 140). È l’«arma segreta del totalitarismo: avvelenare di odio l’intero tessuto mentale degli esseri umani e così privarli della dignità. Risultato della mia rabbia distruttiva, distruggo me stesso; nel mio autocompiacimento, nella mia ingenuità, la mia dignità è perduta; la mia coesione personale oltre che la comunicazione e la coesione con gli altri sono perdute. Odiare non ha in sé alcuna solidarietà; quelli che odiano non diventano amici perché condividono un nemico odiato» (Kolakowski, Modernity on Endless Trial, cit., p. 259). «Educare alla democrazia è educare alla dignità e presuppone due cose: la disponibilità a combattere, senza odiare. La libertà dall’odio acquisita solo fuggendo i conflitti è una falsa virtù, come la castità per gli eunuchi». «Riconciliazione e volontà di compromesso senza viltà, senza opportunismo e senza concessioni su ciò che si considera il nocciolo della questione – arte che nessuno possiede di natura. Ma il destino dell’ordinamento democratico mondiale dipende dalla nostra capacità di padroneggiare quest’arte» (ivi, p. 260)

Oggi è responsabilità di noi europei. «In un mondo pieno d’odio, di sete di vendetta e invidia che a noi – meno per povertà naturale che per pantagruelica avidità – sembra sempre più stretto, l’odio è uno dei demoni, si può dire, che non sarà scacciato da alcuna azione istituzionale. Possiamo così dare per scontato senza parere assurdi che ognuno di noi può contribuire a ridurre l’odio nella nostra società limitandolo in sé; ciascuno di noi può conseguire per sé l’anticipazione incerta e fragile di una vita più tollerabile sulla nostra Nave dei Folli» (ivi, p. 261). Tra le rovine d’Europa, nel 1948 Ludwig Dehio già traeva dalla storia moderna la necessità di «cambiamento interno dell’individuo, che solo promette l’instaurazione di un’esistenza ragionevole» (Equilibrio o egemonia. Considerazioni su un problema fondamentale della storia politica moderna, Bologna, il Mulino, 1988, p. 249). Covid-19 «colpisce progressivamente tutto il pianeta e il riscaldamento globale non riguarda solo i paesi più inquinatori» (P. Descamps-T. Lebel, Un avant-goût du choc climatique, in «Le monde diplomatique”, maggio 2020, cit., p. 1). Una vita più tollerabile nasce dal ragionare e cercare il compromesso senza cedere sul nocciolo della questione: il tessuto intrecciato insieme delle nostre vite.






 
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