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Un freak tra fauves e diavoli

di Giuseppe Mattia
  Volevo nascondermi
Data di pubblicazione su web 11/03/2020  

Otto anni dopo Un giorno devi andare (2012), presentato in anteprima al Sundance Film Festival nel 2013, Giorgio Diritti si presenta all’ultima edizione della Berlinale con un biopic sul pittore e scultore Antonio Ligabue. Il regista bolognese mette in scena le fasi più importanti della vita dell’artista costruendo una struttura anti-narrativa e palesemente pittorica basata sul sapiente utilizzo di flash-back e flash-forward. La storia è quasi interamente ambientata nel contesto rurale e dialettale emiliano che Diritti ha già dato prova di conoscere ne L'uomo che verrà (2009), struggente vetta della sua seppur breve filmografia.


Una scena del film 

Sin dall’infanzia, e a partire dalla primissima inquadratura, Toni Ligabue è costretto a nascondersi. Destinato a essere un eterno freak, il protagonista è succube del sentimento morboso della madre adottiva e dei metodi brutali del patrigno (che l’ha sempre rifiutato). È ostracizzato e vilipeso anche dai coetanei che lo provocano tossendo ripetutamente, scatenando in lui crisi violente. Cacciato dalla Svizzera e mandato a Gualtieri, paese originario del padre naturale, il giovane nullatenente, che sa esprimersi a malapena in tedesco, sopravvive sulla riva di un fiume tra fame e gelo, a contatto con la natura e lontano da una “civiltà” che lo considera incapace di contribuire alla causa fascista. Soprannominato dai compaesani “al tedesch” (il tedesco) o “al matt” (il matto), Toni intraprende la sua fervida attività artistica che trova vigore nell’osservazione di ciò che lo circonda, in particolar modo del mondo animale col quale si identifica e si esprime. Convinto di ospitare un diavolo nel cranio, Toni “si esorcizza” attraverso autolesionismo e pittura. Inseguendo il sogno borghese del secondo dopoguerra, Ligabue tende a conformarsi alla società che dopo averlo ripudiato lo accoglie in virtù del suo riconoscimento come pittore (viene premiato con una medaglia d’oro niente meno che da Giorgio De Chirico). E di Toni emerge infatti l’istinto paterno, il bisogno ossessivo di consumismo, di amore, di comprensione, di indipendenza e di quella libertà palesemente rappresentata da una sua corsa in motocicletta sulle note del quarto movimento della Sinfonia n. 9 in re minore di Beethoveen e sulle parole di Friedrich Schiller.


Una scena del film

Diritti porta sul grande schermo un’Emilia Romagna arcaica che richiama i fotogrammi di Ermanno Olmi o di Bernardo Bertolucci; forte anche delle scenografie di Ludovica Ferrario (Copie conforme di Abbas Kiarostami, 2010, e Youth di Paolo Sorrentino, 2015) e della pittoresca direzione della fotografia di Matteo Cocco (Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, 2018) che qui si avvale spesso (e volentieri) di obiettivi grandangolari atti alla distorsione dell’immagine come specchio della personalità del protagonista. Notevole anche il montaggio (certamente non semplice considerati i vari livelli temporali della narrazione) curato dal regista stesso insieme a Paolo Cottignola, storico montatore di Olmi sin da La leggenda del santo bevitore (1988). L’intero comparto tecnico e artistico sembra allineato sull’estetica naïf. Toni è interpretato da un Elio Germano che raccoglie la greve eredità del recentemente scomparso Flavio Bucci, protagonista dello sceneggiato Rai Ligabue (1977) diretto da Salvatore Nocita. Germano ricerca i dettagli infinitesimali, talvolta esasperando i movimenti nervosi e la postura del personaggio, ripercorrendo a suo modo un lavoro interpretativo intrapreso nel 2014 con Il giovane favoloso di Mario Martone nei panni del poeta di Recanati. Per rappresentarne la sofferenza fisica e psichica, Diritti inserisce Ligabue all’interno di campi lunghi finalizzati a distanziare il personaggio dalla società che lo circonda, per poi mostrarlo nel finale con una carrellata in avanti che lo vede costretto a letto come il pasoliniano Ettore di Mamma Roma (1962). Toni è finalmente libero dopo un’esistenza caratterizzata dal desiderio di librarsi in cielo grazie a penne di uccello che lui stesso si impegna a incollare sul proprio abito.



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