Una scena del film
Sin dallinfanzia,
e a partire dalla primissima inquadratura, Toni Ligabue è costretto a
nascondersi. Destinato a essere un eterno freak, il protagonista è
succube del sentimento morboso della madre adottiva e dei metodi brutali del
patrigno (che lha sempre rifiutato). È ostracizzato e vilipeso anche dai
coetanei che lo provocano tossendo ripetutamente, scatenando in lui crisi
violente. Cacciato dalla Svizzera e mandato a Gualtieri, paese originario del
padre naturale, il giovane nullatenente, che sa esprimersi a malapena in
tedesco, sopravvive sulla riva di un fiume tra fame e gelo, a contatto con la
natura e lontano da una “civiltà” che lo considera incapace di contribuire alla
causa fascista. Soprannominato dai compaesani “al tedesch” (il tedesco) o “al
matt” (il matto), Toni intraprende la sua fervida attività artistica che trova
vigore nellosservazione di ciò che lo circonda, in particolar modo del mondo
animale col quale si identifica e si esprime. Convinto di ospitare un diavolo
nel cranio, Toni “si esorcizza” attraverso autolesionismo e pittura. Inseguendo
il sogno borghese del secondo dopoguerra, Ligabue tende a conformarsi alla
società che dopo averlo ripudiato lo accoglie in virtù del suo riconoscimento come
pittore (viene premiato con una medaglia doro niente meno che da Giorgio De Chirico). E di Toni emerge infatti listinto paterno, il bisogno ossessivo
di consumismo, di amore, di comprensione, di indipendenza e di quella libertà
palesemente rappresentata da una sua corsa in motocicletta sulle note del quarto
movimento della Sinfonia n. 9 in re minore di Beethoveen e sulle
parole di Friedrich Schiller.
Una scena del film
Diritti porta
sul grande schermo unEmilia Romagna arcaica che richiama i fotogrammi di
Ermanno
Olmi o di
Bernardo Bertolucci; forte anche delle scenografie di
Ludovica
Ferrario (
Copie conforme di
Abbas Kiarostami, 2010, e
Youth di
Paolo Sorrentino, 2015) e della pittoresca direzione
della fotografia di
Matteo Cocco (
Sulla mia pelle di
Alessio Cremonini, 2018) che qui si avvale spesso (e volentieri)
di obiettivi grandangolari atti alla distorsione dellimmagine come specchio
della personalità del protagonista. Notevole anche il montaggio (certamente non
semplice considerati i vari livelli temporali della narrazione) curato dal
regista stesso insieme a
Paolo Cottignola, storico montatore di Olmi sin
da
La leggenda del santo bevitore (1988). Lintero comparto tecnico e
artistico sembra allineato sullestetica
naïf. Toni è interpretato da un
Elio Germano che raccoglie la greve eredità del recentemente scomparso
Flavio
Bucci, protagonista dello sceneggiato Rai
Ligabue (1977) diretto da
Salvatore
Nocita. Germano ricerca i dettagli infinitesimali, talvolta esasperando i
movimenti nervosi e la postura del personaggio, ripercorrendo a suo modo un lavoro
interpretativo intrapreso nel 2014 con
Il giovane favoloso di
Mario Martone
nei panni del poeta di Recanati. Per rappresentarne la sofferenza fisica e
psichica, Diritti inserisce Ligabue allinterno di campi lunghi finalizzati a
distanziare il personaggio dalla società che lo circonda, per poi mostrarlo nel
finale con una carrellata in avanti che lo vede costretto a letto come il
pasoliniano Ettore di
Mamma Roma (1962). Toni è finalmente libero
dopo unesistenza caratterizzata dal desiderio di librarsi in cielo grazie a
penne di uccello che lui stesso si impegna a incollare sul proprio abito.