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Sylvia di Manuel Legris: la rinascita di un ballet d'action

di Gabriella Gori
  Sylvia
Data di pubblicazione su web 31/01/2020  

È nel nome di Silvia, la ninfa cacciatrice al seguito di Diana, che il Teatro alla Scala di Milano apre la stagione Balletto 2019-2020 con un ballet d’action straordinario firmato da Manuel Legris. Una scelta mirata, frutto della lungimiranza del direttore del Corpo di Ballo Frédéric Olivieri, che inserisce nel repertorio questa versione nata per il Wiener StaatsBallet nel 2018 e ora riallestita in prima italiana dall’organico scaligero.

Un’operazione di alto profilo artistico e culturale che riscopre una perla coreografica e musicale, trascurata dal filone delle riprese e/o rifacimenti di coreografi del Novecento e colma un vuoto temporale di ben centoventicinque anni dall’ultima messinscena milanese. Se si esclude l’apparizione in forma ridotta Sylvia (passo a due) di George Balanchine (1953), questa di Legris si configura come una vera e propria rinascita. 

Va detto subito che la Sylvia in questione è un omaggio – come afferma lo stesso Legris – alla più alta «tradizione della danza classica francese». Tradizione che il coreografo conosce bene essendo stato allievo della Scuola di Ballo dell’Opéra di Parigi e poi étoile della famosa compagnia di balletto francese, e di cui è esperto cultore, convinto sostenitore e sopraffino estimatore. Il suo è infatti un ballet d’action rinnovato dalla squisita sensibilità di ballerino e dalla acquisita esperienza di direttore dello StaatsBallet di Vienna. Carica assunta nel settembre del 2010 dopo l’addio all’Opéra nel maggio 2009.



Un momento dello spettacolo
@ Brescia e Amisano

Certo Legris tiene a precisare che non è «né un coreologo, né un ricercatore di documenti del passato alla Ratmansky» e neppure – aggiungiamo noi – un coreoautore “alla Neumeir”,; ma forse il non essere condizionato da un’impostazione filologica o da una interpretazione autoriale, gli consente, da esperto cultore della materia qual è, di recuperare il purismo della danse d’école facendo perno sul suo personale vissuto artistico.

E non è un caso che fra le non molte riprese di Sylvia – fra le quali vale la pena di ricordare quella di Léo Staats del 1919, di Serge Lifar del 1941, di Albert Aveline del 1945, di Frederick Ashton del 1952, di Lycette Darsonval del 1979, di John Neumeier del 1997 e di Mark Morris del 2004 – a Legris sia rimasta impressa negli occhi e nel cuore proprio quella della Darsonval, vista quando era allievo all’Opéra. Da qui è partito per ricostruire la sua Sylvia in ossequio all’archetipo Sylvia, o la ninfa di Diana di Louis Mérante: il balletto su libretto di Jules Barbier e Jacques de Reinach e musica di Léo Delibes, andato in scena a Parigi al Palais Garnier (odierna Opéra) nel 1876 e ispirato all’Aminta di Tasso.

Divisa in tre atti, l’opera coreografica di Legris, che cura anche drammaturgia e libretto con Jean-Françoise Vazelle, si caratterizza per la scelta di aggiungere un prologo che subito mette in luce l’importanza di Diana rispetto alla narratio coreutica tradizionale. La dea della caccia appare così una figura tormentata per l’impossibilità di essere vergine guerriera e al tempo stesso donna innamorata. E la castità che lei esige dalle sue adepte e in particolar modo da Silvia è platealmente contraddetta dalla sua passione per il bel pastore Endimione, secondo il mito l’unico amante della dea Luna o stella Diana. Una contraddizione ben esplicitata nell’antefatto che vede Diana cedere a Endimione in un sensuale pas de deu all’insegna del motto «S’ei piace, ei lice» (Ciò che piace, è lecito) dell’Aminta. L’arrivo di Silvia fa sfumare l’incanto e richiama Diana ai suoi doveri rappresentati dalla presa in mano dell’arco, per metonimia il simbolo della caccia. Arco che, insieme alle frecce, ritorna continuamente per ribadire la difesa e/o la resa della castità di fronte all’Amore.



Un momento dello spettacolo
@ Brescia e Amisano

Il primo atto si apre nel bosco sacro abitato da spiriti silvestri e alla presenza della statua di Eros, il dio dell’Amore. Qui, al chiaro di luna, arriva il pastore Aminta per chiedere a Eros di aiutarlo a ritrovare una bellissima cacciatrice. L’improvviso suono del corno, che annuncia le seguaci di Diana al comando di Silvia, lo costringe a nascondersi e ad assistere all’esultanza delle ninfe che si abbandonano ai piaceri venatori gabbandosi di Eros. Diana scorge il mantello di Aminta e impone di trovare l’intruso che viene consegnato a Silvia per la punizione. Il giovane confessa il suo amore ma lei lo rifiuta e per dispetto scocca una freccia contro la statua di Amore. Il pastore, frappostosi alla traiettoria, viene ferito a morte ed Eros si vendica colpendo Silvia con una freccia. Diana a quel punto richiama tutte le cacciatrici ma arriva Orione, un gigante al servizio di Artemide che si china su Aminta e poi si dilegua. Silvia, innamorata e disperata, abbraccia il giovane esamine ma viene rapita da Orione, invaghito di lei, mentre i contadini invocano Eros. L’arrivo provvidenziale di un mago, in realtà Amore, fa tornare in vita il pastore che subito chiede notizie di Silvia, venendo a sapere che è prigioniera di Orione. Eros lo avverte che non sarà facile liberala ma gli indica la strada per raggiungere il rifugio del gigante. 

La grotta, dove Orione tiene nascosta la ninfa, fa da sfondo al secondo atto. Silvia, resasi conto di non poter fuggire, circuisce il suo rapitore durante la festa organizzata in suo onore e lo spinge a bere smodatamente. Ubriaco e sempre più focoso, Orione la incalza ma lei lo convince a bere un’ultima coppa di vino che lo fa crollare. Nella confusione generale la cacciatrice fugge, afferra l’arco e chiede perdono a Eros per il “gabbo”. Il dio, che l’ha perdonata, appare in groppa a Pegaso e la guida verso il luogo dove si trova il suo innamorato. 

Nel terzo atto i festeggiamenti in onore di Bacco radunano i contadini ma Aminta non nasconde la tristezza. Sopraggiunge Eros che, dopo aver nascosto Silvia e fatto velare le compagne che danzano, fa apparire la ninfa. I due innamorati si ricongiungono ma la felicità è di breve durata perché arriva Orione furioso e deciso a riprendersi la sua preda. Silvia si rifugia nel tempio di Diana, Aminta affronta Orione ma la dea colpisce il gigante e rimprovera la sua discepola per essere venuta meno ai suoi doveri. Aminta disperato si dichiara colpevole ma Artemide esige una punizione esemplare. Tutto sembra perduto e neppure le parole di Eros sembrano smuoverla. Allora Amore fa apparire Endimione e Diana lascia la ninfa libera di amare il suo pastore. Quanto a lei, vinta ormai ogni resistenza, si trasforma in Selene, la dea della Luna che illumina ogni notte Endimione addormento, ricollegando a cornice l’epilogo con il prologo.  



Un momento dello spettacolo
@ Brescia e Amisano

Drammaturgicamente ben costruito nel perfetto accordo tra fabula e intreccio, questo balletto trova nella musica in Léo Delibes, già autore nel 1870 di quella di Coppelia, un decisivo supporto. Alla partitura, fin da subito considerata un esempio mirabile e innovativo di musica da balletto tanto da essere elogiata dallo stesso Pëtr Il’ič Čajkovskij, l’Orchestra del Teatro alla Scala, diretta con maestria da Kevin Rhodes, rende onore con una esecuzione impeccabile.

Legris, convinto sostenitore della tradizione della danza classica, ricostruisce una coreografia dallo stile elegante e raffinato in cui condensa variazioni, pas de deux e grandi insiemi di natura squisitamente accademica, passi ormai dimenticati e non facili come i tours en attitude devant.

Un vero banco di prova per il Corpo di Ballo della Scala che dà prova di un’invidiabile perfezione tecnica nell’eseguire gli enchainements senza venir meno a una moderna caratterizzazione psicologica delle singole “prese di ruolo”. La Diana di Alessandra Vassallo appare imperiosa eppure fragile, divisa tra la sua passione per Endimione, lo statuario Gioacchino Starace, e il ruolo apicale che esercita nei confronti di Silvia e delle altre cacciatrici.

Nicoletta Manni, nella parte di Silvia, è una ballerina sorprendente per il lirismo con cui permea i rigorosi legati accademici, facendoli vibrare con la sua sensibilità interpretativa. Perfette sono le singole variazioni in cui sfodera tours piqués, grands jetés, attitudes croisées, tours en attitude devant e altrettanto impeccabile è nei pas de deux con il bravo e generoso Aminta di Marco Agostino. Un danseur noble preciso e puntuale nella resa dei tours en attitude e dei grands jetés, nei duetti con l’amata Silvia fino alla tenzone con Orione. L’irruento Gabriele Corrado che trasuda maschia grinta nel rapire Silvia, nel circuirla con potenti pirouettes à la seconde, nel volerla a tutti i costi.



Un momento dello spettacolo
@ Brescia e Amisano

Ma ancora in questa Sylvia “legrisiana” un ruolo importante lo riveste Eros, il michelangiolesco Mattia Semperboni, vero e proprio deux ex machina quando colpisce l’incauta Silvia che lo ha offeso, quando aiuta Aminta e costringe Diana a liberare la ninfa dal suo giuramento di castità. Accanto a loro si muovono all’unisono i più che bravi danzatori del Corpo di Ballo, a cominciare dall’entrata in scena delle cacciatrici con i ripetuti e veloci temps levés e temps levés chassé. Una rutilante entrée che riecheggia la Cavalcata delle valchirie di Richard Wagner e introduce le altre scene corali miste nella grotta di Orione, nei baccanali e infine di fronte al tempio di Diana. Una performance eccelsa cui rispondono l’indiscutibile bellezza dei luminosi e variopinti costumi e delle sontuose e monumentali scenografie di Luisa Spinatelli, esaltati dalle potenti luci di Jacques Giovanangeli.

Questa Sylvia è davvero una bella favola pastorale che, oltretutto, riveste un ruolo importate nel passaggio dal ballet d’action, o balletto romantico del primo Ottocento, al grand ballet féerie del secondo Ottocento ideato da Marius Petipa. Ruolo che non è sfuggito a un sopraffino estimatore come Legris e che è possibile cogliere nella presente mise en danse salutata da applausi calorosi e convinti.      



Sylvia
cast cast & credits
 


Un momento dello spettacolo visto il 21 dicembre 2019 al Teatro alla Scala di Milano
© Brescia e Amisano

 
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