È nel nome di
Silvia, la ninfa cacciatrice al seguito di Diana, che il Teatro alla Scala di
Milano apre la stagione Balletto 2019-2020 con un ballet daction straordinario firmato da Manuel Legris. Una
scelta mirata, frutto della lungimiranza del direttore del Corpo di Ballo Frédéric
Olivieri, che inserisce nel
repertorio questa versione nata per il Wiener StaatsBallet nel 2018 e ora
riallestita in prima italiana dallorganico scaligero.
Unoperazione di
alto profilo artistico e culturale che riscopre una perla coreografica e
musicale, trascurata dal filone delle riprese e/o rifacimenti di coreografi del
Novecento e colma un vuoto temporale di ben centoventicinque anni dallultima
messinscena milanese. Se si esclude lapparizione in forma ridotta Sylvia (passo a due) di George
Balanchine (1953), questa di
Legris si configura come una vera e propria rinascita. Va detto subito che la Sylvia in questione è un omaggio – come afferma lo stesso Legris – alla più alta «tradizione della danza classica francese». Tradizione che il coreografo conosce bene essendo stato allievo della Scuola di Ballo dellOpéra di Parigi e poi étoile della famosa compagnia di balletto francese, e di cui è esperto cultore, convinto sostenitore e sopraffino estimatore. Il suo è infatti un ballet daction rinnovato dalla squisita sensibilità di ballerino e dalla acquisita esperienza di direttore dello StaatsBallet di Vienna. Carica assunta nel settembre del 2010 dopo laddio allOpéra nel maggio 2009.
Un momento dello spettacolo @ Brescia e Amisano
Certo Legris tiene a
precisare che non è «né un coreologo, né un ricercatore di documenti del
passato alla Ratmansky» e neppure – aggiungiamo noi – un coreoautore “alla Neumeir”,; ma forse il non essere
condizionato da unimpostazione filologica o da una interpretazione autoriale,
gli consente, da esperto cultore della materia qual è, di recuperare il purismo
della danse décole facendo perno sul
suo personale vissuto artistico.
E non è un caso che
fra le non molte riprese di Sylvia – fra le quali vale la pena di ricordare quella di Léo
Staats del 1919, di Serge Lifar del 1941, di Albert Aveline
del 1945, di Frederick Ashton del 1952, di Lycette Darsonval del
1979, di John Neumeier del 1997 e di Mark Morris del 2004 – a Legris sia rimasta impressa negli occhi e nel
cuore proprio quella della Darsonval, vista quando era allievo allOpéra. Da
qui è partito per ricostruire la sua Sylvia
in ossequio allarchetipo Sylvia, o
la ninfa di Diana di Louis Mérante: il balletto su libretto di Jules
Barbier e Jacques de Reinach e musica di Léo Delibes, andato
in scena a Parigi al Palais Garnier (odierna Opéra) nel 1876 e ispirato allAminta di Tasso. Divisa in tre atti, lopera coreografica di Legris, che cura anche drammaturgia e libretto con Jean-Françoise Vazelle, si caratterizza per la scelta di aggiungere un prologo che subito mette in luce limportanza di Diana rispetto alla narratio coreutica tradizionale. La dea della caccia appare così una figura tormentata per limpossibilità di essere vergine guerriera e al tempo stesso donna innamorata. E la castità che lei esige dalle sue adepte e in particolar modo da Silvia è platealmente contraddetta dalla sua passione per il bel pastore Endimione, secondo il mito lunico amante della dea Luna o stella Diana. Una contraddizione ben esplicitata nellantefatto che vede Diana cedere a Endimione in un sensuale pas de deu allinsegna del motto «Sei piace, ei lice» (Ciò che piace, è lecito) dellAminta. Larrivo di Silvia fa sfumare lincanto e richiama Diana ai suoi doveri rappresentati dalla presa in mano dellarco, per metonimia il simbolo della caccia. Arco che, insieme alle frecce, ritorna continuamente per ribadire la difesa e/o la resa della castità di fronte allAmore.
Un momento dello spettacolo @ Brescia e Amisano
Il primo atto si
apre nel bosco sacro abitato da spiriti silvestri e alla presenza della statua
di Eros, il dio dellAmore. Qui, al chiaro di luna, arriva il pastore Aminta
per chiedere a Eros di aiutarlo a ritrovare una bellissima cacciatrice.
Limprovviso suono del corno, che annuncia le seguaci di Diana al comando di
Silvia, lo costringe a nascondersi e ad assistere allesultanza delle ninfe che
si abbandonano ai piaceri venatori gabbandosi di Eros. Diana scorge il mantello
di Aminta e impone di trovare lintruso che viene consegnato a Silvia per la
punizione. Il giovane confessa il suo amore ma lei lo rifiuta e per dispetto
scocca una freccia contro la statua di Amore. Il pastore, frappostosi alla
traiettoria, viene ferito a morte ed Eros si vendica colpendo Silvia con una
freccia. Diana a quel punto richiama tutte le cacciatrici ma arriva Orione, un
gigante al servizio di Artemide che si china su Aminta e poi si dilegua.
Silvia, innamorata e disperata, abbraccia il giovane esamine ma viene rapita da
Orione, invaghito di lei, mentre i contadini invocano Eros. Larrivo
provvidenziale di un mago, in realtà Amore, fa tornare in vita il pastore che
subito chiede notizie di Silvia, venendo a sapere che è prigioniera di Orione.
Eros lo avverte che non sarà facile liberala ma gli indica la strada per
raggiungere il rifugio del gigante.
La grotta, dove
Orione tiene nascosta la ninfa, fa da sfondo al secondo atto. Silvia, resasi
conto di non poter fuggire, circuisce il suo rapitore durante la festa
organizzata in suo onore e lo spinge a bere smodatamente. Ubriaco e sempre più
focoso, Orione la incalza ma lei lo convince a bere unultima coppa di vino che
lo fa crollare. Nella confusione generale la cacciatrice fugge, afferra larco
e chiede perdono a Eros per il “gabbo”. Il dio, che lha perdonata, appare in
groppa a Pegaso e la guida verso il luogo dove si trova il suo innamorato. Nel terzo atto i
festeggiamenti in onore di Bacco radunano i contadini ma Aminta non nasconde la
tristezza. Sopraggiunge Eros che, dopo aver nascosto Silvia e fatto velare le
compagne che danzano, fa apparire la ninfa. I due innamorati si ricongiungono
ma la felicità è di breve durata perché arriva Orione furioso e deciso a
riprendersi la sua preda. Silvia si rifugia nel tempio di Diana, Aminta
affronta Orione ma la dea colpisce il gigante e rimprovera la sua discepola per
essere venuta meno ai suoi doveri. Aminta disperato si dichiara colpevole ma
Artemide esige una punizione esemplare. Tutto sembra perduto e neppure le
parole di Eros sembrano smuoverla. Allora Amore fa apparire Endimione e Diana
lascia la ninfa libera di amare il suo pastore. Quanto a lei, vinta ormai ogni
resistenza, si trasforma in Selene, la dea della Luna che illumina ogni notte
Endimione addormento, ricollegando a cornice lepilogo con il prologo.
Un momento dello spettacolo @ Brescia e Amisano
Drammaturgicamente
ben costruito nel perfetto accordo tra fabula e intreccio, questo balletto
trova nella musica in Léo Delibes, già autore nel 1870 di quella di Coppelia, un decisivo supporto. Alla
partitura, fin da subito considerata un esempio mirabile e innovativo di musica
da balletto tanto da essere elogiata dallo stesso Pëtr Ilič
Čajkovskij, lOrchestra del Teatro alla Scala, diretta con maestria da Kevin
Rhodes, rende onore con una esecuzione impeccabile.
Legris, convinto
sostenitore della tradizione della danza classica, ricostruisce una coreografia
dallo stile elegante e raffinato in cui condensa variazioni, pas de deux e grandi insiemi di natura
squisitamente accademica, passi ormai dimenticati e non facili come i tours en attitude devant.
Un vero banco di prova
per il Corpo di Ballo della Scala che dà prova di uninvidiabile perfezione
tecnica nelleseguire gli enchainements senza
venir meno a una moderna caratterizzazione psicologica delle singole “prese di
ruolo”. La Diana di Alessandra Vassallo appare imperiosa eppure fragile,
divisa tra la sua passione per Endimione, lo statuario Gioacchino Starace, e il ruolo apicale che esercita nei
confronti di Silvia e delle altre cacciatrici.
Nicoletta Manni, nella parte di Silvia, è una ballerina sorprendente
per il lirismo con cui permea i rigorosi legati accademici, facendoli vibrare
con la sua sensibilità interpretativa. Perfette sono le singole variazioni in
cui sfodera tours piqués,
grands jetés, attitudes croisées,
tours en attitude devant e altrettanto impeccabile è nei pas de deux con il bravo e generoso
Aminta di Marco Agostino. Un danseur
noble preciso e puntuale nella resa dei tours
en attitude e dei grands jetés,
nei duetti con lamata Silvia fino alla tenzone con Orione. Lirruento Gabriele
Corrado che trasuda maschia grinta nel rapire Silvia, nel circuirla con
potenti pirouettes à la seconde,
nel volerla a tutti i costi. Un momento dello spettacolo @ Brescia e Amisano
Ma ancora in questa Sylvia “legrisiana” un ruolo importante
lo riveste Eros, il michelangiolesco Mattia Semperboni, vero e proprio deux ex machina quando colpisce
lincauta Silvia che lo ha offeso, quando aiuta Aminta e costringe Diana a
liberare la ninfa dal suo giuramento di castità. Accanto a loro si muovono
allunisono i più che bravi danzatori del Corpo di Ballo, a cominciare
dallentrata in scena delle cacciatrici con i ripetuti e veloci temps levés e temps levés chassé. Una rutilante entrée che riecheggia la Cavalcata
delle valchirie di Richard Wagner e introduce le altre scene corali
miste nella grotta di Orione, nei baccanali e infine di fronte al tempio di
Diana. Una performance eccelsa cui rispondono lindiscutibile bellezza dei
luminosi e variopinti costumi e delle sontuose e monumentali scenografie di Luisa
Spinatelli, esaltati dalle potenti luci di Jacques Giovanangeli.
Questa Sylvia è davvero una bella favola
pastorale che, oltretutto, riveste un ruolo importate nel passaggio dal ballet daction, o balletto romantico del primo Ottocento, al grand ballet féerie del secondo Ottocento ideato da Marius
Petipa. Ruolo che non è sfuggito a un sopraffino estimatore come Legris e
che è possibile cogliere nella presente mise
en danse salutata da applausi calorosi e convinti.
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