Dopo
la riuscitissima prova di Toni Servillo con Le voci di dentro e
sulla scia delle timide proposte di giovani teatranti che da Nord a Sud si
riappropriano via via dei meravigliosi testi del grande autore partenopeo, ecco
ancora, per fortuna, Eduardo a teatro. Ad assumersi coscienziosamente il
peso dellimpresa è questa volta Lluís Pasqual che, sostenuto dal Teatro
Stabile di Napoli, sceglie La grande magia ricavandone unoriginale e
luccicante versione, molto apprezzata dal pubblico del teatro Argentina che
trattiene gli attori in scena con lunghi, meritatissimi applausi.
Scritta
nel 1948, ma messa in scena per la prima volta nel 1949, La grande magia
è una pièce molto cara al suo autore, unica per quelle caratteristiche
che la avvicinano a Pirandello. Il tema centrale è il rapporto
realtà-finzione e la vena umoristica è assai pungente. De Filippo mette in
scena il gioco di magia di Otto Marvuglia, collega delleduardiano «artefice
magico» Sik Sik ma più disincantato. La magia è grande ma la meraviglia meno
allegra. Con la complicità di moglie e amante, lo spettacolo di illusione viene
preso a pretesto per imbastire una beffa, un “furto”, ai danni di un marito
geloso; il mago corrotto fa sparire la signora Di Spelta dentro un sarcofago,
rubando per sempre al coniuge le proprie certezze e lasciandolo con in mano
qualche rimorso e una scatola, ultimo rifugio di speranza. Dentro il prezioso
scrigno si trova la moglie: basterà aprirlo con totale fiducia nella fedeltà
coniugale e lei riapparirà.
Un momento dello spettacolo @ Marco Ghidelli
Pasqual
ci ripropone quasi integralmente il testo di Eduardo, concedendosi però tagli
significativi e funzionali al proprio disegno registico. Lo spettacolo dello
Stabile di Napoli privilegia decisamente il lato comico e grottesco presente
nellopera e il filtro per avvicinarlo ai giorni nostri sembra essere quello
brechtiano (vengono in mente certe operazioni di Carlo Cecchi).
Lumorismo funziona lo stesso, ma certi risvolti malinconici il regista
preferisce solo citarli. Viene meno, per esempio, la tragica morte di Amelia –
fatto imperdonabile per certa critica –, ma la sensazione che il prezzo da
pagare per una risata sia alto e che fuori dalle illusioni la vita sia dura
trapela ugualmente dal frizzante allestimento di Pasqual.
Dei
tre atti del testo, il regista spagnolo propone un atto unico con tre diverse
ambientazioni di carroliana memoria: davanti allo specchio, dietro lo specchio,
dentro lo specchio. Siamo prima nel giardino dellalbergo Metropole che
è tutto un riflettere di luci, personaggi e pubblico nei numerosi specchi che
delimitano lo spazio scenico. Una fila di lampadine colorate da fiera diventa
linea di proscenio, spartiacque tra ciò che è reale e ciò che è finzione, o
forse no. Nella seconda ambientazione ci troviamo a casa del prestigiatore: lo
spazio è delimitato dalle armature posteriori degli specchi. I trucchi sono
svelati; chi fa parte di quello spazio usa lillusione senza esserne ingannato
e neppure consolato. È qui che si sarebbe dovuta svolgere la scena della morte
della ragazzina, una dimensione crudele come il doppiofondo delle gabbiette
degli uccellini: trucco svelato che mostra i sacrifici del mestiere. Lultima
scenografia ci porta invece dentro lo specchio, in un ambiente attutito dal velluto
rosso dei tendaggi, in casa Di Spelta, irrimediabilmente dentro uno specchio
distorto dove la magia sta nel fatto di sopravvivere con le proprie regole. Un momento dello spettacolo @ Marco Ghidelli Ogni cambio scena, brechtianamente, si risolve a sipario chiuso, mentre, grazie agli intermezzi musicali affidati a Dolores Melodia e alla sua fisarmonica, il pubblico è obbligato a partecipare, a mettersi in gioco, scoprendo così il gioco stesso. Si tratta di ballate popolari omaggio a quella Napoli cantata da Eduardo ormai svanita.
Otto
Marvuglia, il personaggio che era stato di Eduardo (così affascinato dai
prestigiatori), è affidato a Nando Paone, ossuto e sfilato, spigoloso al
punto tale da ricordare la silhouette del maestro partenopeo. Questo
nuovo Sik Sik, meno imbroglione e più imbarazzato, nel suo teatrino nel teatro
ci incanta con leloquio napoletano e con una gestica ricca di movimenti
ideografici e deittici. La mimica è vistosamente discreta (come lo era quella
di Eduardo); il viso, truccato leggermente di biacca, grazie anche allausilio
delle luci diventa grottesco, a tratti pulcinellesco.
Claudio
di Palma
è invece Calogero di Spelta, marito cornuto e mazziato per il quale gli eventi
dello spettacolo rappresentano un percorso al contrario: dalla normalità alla
follia, da questultima verso unaccettabile stranezza. Di Palma è in questo
ruolo un Grandattore: attore in lingua in diretto contrasto con il compagno di
scena, ci mostra una versione introspettiva del classico cornuto. Seguendo le
sue riflessioni, ormai prive del filtro del comune pudore, si crea una speciale
empatia con il pubblico, catturato dal suo estremo tentativo di conservare un
barlume di lucidità e speranza. Lempatia sfuma alfine in uno strano senso di
compassione: nella resa finale luomo opta per unillusione di comodo, senza
convincerci mai del tutto di credere fino in fondo alle proprie battute.
Un momento dello spettacolo @ Marco Ghidelli Accanto
alla coppia di protagonisti, tutti gli altri attori si dimostrano pronti alla
prova con il mostro sacro del nostro teatro più vicino. Questa compagnia ci sta
provando, ma è ora che anche il pubblico e la critica facciano uno sforzo di
“astrazione”. Solo quando si smetterà di comparare le messinscene dei testi
eduardiani con il Teatro di Eduardo, libereremo Eduardo e ci riapproprieremo
del regalo che ci ha fatto con le sue Cantate.
Nella
scena finale Di Palma-Di Spelta stringe a sé la scatola (anche questa ricoperta
di materiale riflettente) nella quale terrà rinchiusa per sempre la sua
immagine di moglie fedele. Loggetto in sé si carica di significato, fino a
rappresentare leroico sforzo di questo marito, metafora del faticoso procedere
delle giornate della gente qualunque. Perché si deve trovare la forza, a volte,
di credere nel contenuto di una scatola e di impazzire coscienziosamente per
accettare di aver mal riposto la nostra fiducia, per convivere con la
consapevolezza che lobbiettivo per cui si sono spesi anni, sacrifici e
speranze non è raggiungibile, per superare un lutto, una malattia, un
dispiacere, insomma la realtà.
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La grande magia
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Un momento dello spettacolo visto al Teatro Argentina di Roma il 21 dicembre 2019 @ Marco Ghidelli
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