Due
Repubbliche fa, ero a colloquio con un potente che a una breve telefonata
rispose: «Se credono che possiamo, facciamolo». Potere era la credulità altrui,
che la Repubblica dopo sfruttò col miraggio di due milioni di nuovi posti di
lavoro (e in concreto con quattro corposi condoni fiscali).
«LItalia
non ha mai avuto un normale ricambio di governo e neanche il 1994 può essere
considerato tale». «In sostanza si può dire che continuò a rappresentare il
vecchio blocco di potere, con quattro importanti diversità. Primo, la rimozione
della mediazione politica autonoma: la nuova classe politica fu essenzialmente
lespressione diretta di una componente vitale del vecchio blocco che da ultimo
la DC aveva fatalmente negletto, la piccola e media impresa. Secondo, la
componente più popolare cera sempre (necessaria a ogni forza di governo
popolare conservatrice), ma non cera neppure la parvenza dinclusione anche
solo parziale delle organizzazioni del lavoro. Terzo, la base di sostegno non
era più soprattutto meridionale, comera divenuto sempre più il sistema DC, ma
settentrionale, nonostante il contributo di Alleanza Nazionale al Sud e il
successo di Forza Italia in Sicilia. Quarto, chiavi del lungo potere DC erano
stati Chiesa cattolica, anticomunismo e clientelismo. Per il blocco di destra
lanticomunismo mantenne intatta attrazione e validità. Anche il cattolicesimo
restò importante – ad esempio sia Berlusconi
che Fini cercarono di apparire buoni
cattolici e padri di famiglia – ma il legame non fu organico come con la DC. Il
ruolo integratore del clientelismo fu invece usurpato da televisione e
consumismo, espressioni universali della società italiana contemporanea. La
natura limitata di queste derive dice come la “nuova Repubblica italiana” sia
diretta erede della partitocrazia e della sua pratica di assorbire e
neutralizzare una vasta gamma di interessi, e come il suo futuro verrà
determinato da una gamma di conflitti territoriali, di classe e gruppi di
interesse non più facilmente riconciliabili». «La caduta di un vecchio sistema
politico in piena bancarotta non portò a una rinascita democratica, ma
piuttosto una protratta lotta di potere che in quasi tutto il suo corso fu
gestita da potenti interessi occulti che avevano molto da perdere da ogni ridefinizione
di regole e pratiche» (S. Gundle-S. Parker, The New Italian Repubic. From the Fall of the Berlin Wall to Berlusconi, London, Routledge, 1996, pp. 14-15).
Ambiente
ideale per ogni «finanziere spregiudicato che, con le nostre regole, potrà fare
il bello e il cattivo tempo. Ma non è colpa nostra dello straniero, è colpa
nostra che non facciamo rispettare le regole» (L. Zingales, Il nostro Far West finanziario attira solo i
cowboy, in «Il sole 24 ore»,
30 luglio 2017, p. 6). È il «paradosso Italia. La politica si affanna a cercare
strumenti anti povertà, ma il Paese diventa sempre più campione di ricchezza. A
fronte di 5 milioni di indigenti, il risparmio gestito cresce a 2.280 miliardi,
i depositi bancari a 1.700 miliardi. Leconomia sommersa vale 210 miliardi e la
ricchezza delle famiglie è da record: 8,4 volte il reddito medio». «Nel mezzo
unItalia polarizzata tra chi sa di più e chi resta analfabeta funzionale, tra
chi ha un lavoro e chi non lo trova. Tra Nord e Sud. Ma anche, e soprattutto,
tra chi è nel circuito delle regole e della legalità e chi, invece, resta
invisibile in un sommerso sempre più dilagante». «È sommerso fatto di
comportamenti border line, zone grigie, irregolarità elusive e furbesche, forse
minute, ma diffusissime che, alla fine, diventano una gigantesca variabile
macroeconomica» (A. Orioli, Il paradosso
dei numeri italiani: povertà, evasione e ricchezza, in «Il sole 24 ore», 22 dicembre 2019,
pp. 1 e 8). È la nostra via, ma senza ricerca e innovazione, al neoliberismo
globale dellottimizzazione fiscale. «Lo Stato-provvidenza sembra minacciato
dalla globalizzazione che rende più mobili cittadini e imprese e più profonde
le ineguaglianze, oltre che da alcune correnti ideologiche. Senza un progetto
nazionale comune, altri tipi di lealtà – etnica, religiosa o politica – possono
rimettere in discussione la capacità dello Stato di richiedere sacrifici ai
cittadini in caso di conflitto militare» (P. Seabright, Pourquois mourir pour son pays?, in «Le Monde», “Éco&Entreprise”, 29-30 aprile 2018, p. 1) e di
catastrofi umanitarie e ambientali.
Esaurita
la credulità, il potere cerca la stampella del mito nazionale. Inutile nellUE
subordinata agli stati e nellarea euro necessaria agli interessi al comando,
serve contro le minoranze quando uno stato debole degrada in dittatura della
maggioranza, con un capo carismatico e nel caso capro espiatorio. Da noi la
formula è Lega nazionale-premier, offerta al manzoniano volgo disperso che
volto non ha. «E intanto lItalia vede riaffacciarsi e aggravarsi paurosamente
fragilità antiche che rimandano agli squilibri creati dal processo
dellunificazione nazionale. Il problema dellUnità dItalia, di come sia
avvenuta e di quali fratture abbia lasciato il sedimento, si pone ogni volta
che, cambiando le sfide del presente, si è spinti a voltarsi indietro e a
riflettere sulle parole di Antonio Gramsci “Realmente lunità nazionale è
sentita come aleatoria, perché forze ‘selvagge, non conosciute con precisione,
elementarmente distruttive, si agitano continuamente alla sua base”. Oggi
quelle forze selvagge si manifestano di nuovo. Vediamo affiorare spaccature
profonde lungo crinali antichi. E gli storici hanno sempre nuove ragioni per
ricordare lassioma di Marc Bloch:
gli uomini sono figli dei loro tempi più che dei loro padri» (A. Prosperi, Un
volgo disperso. Contadini dItalia nellOttocento, Torino, Einaudi, 2019,
pp. IX-X).
I
figli nostri partono. «Lo scorso mese di ottobre la Fondazione Leone Moressa e
la Fondazione Migrantes hanno rispettivamente presentato il Rapporto 2019 sulleconomia
dellimmigrazione e il Rapporto Italiani nel Mondo 2019, i cui
risultati non solo certificano e confermano trend già noti e consolidati, ma
mettono in luce anche più recenti preoccupanti dinamiche. In circa un decennio,
dal 2009 al 2018, quasi 500 mila connazionali hanno lasciato lItalia (saldo
tra partenze e rientri), e di questi quasi 250 mila (lequivalente della
popolazione di Verona) sono rappresentati da giovani di età compresa tra i 15 e
i 34 anni». «Su questo punto condividiamo quanto efficacemente scritto da Federico Fubini sul Corriere della Sera
il 5 luglio 2019: “È invece un enigma,
e una chiave per capire lItalia, il fatto che gran parte di coloro che vanno
allestero vengano dalle regioni più ricche. Delle 57 province con un tasso di
emigrazione internazionale superiore alla media del Paese, 45 hanno anche un
tasso di occupazione più alto della media. Si espatria da culle di qualità
della vita, ricchezza e produttività come Mantova, Vicenza, Trieste, Varese,
Como, Trento. Fra le prime venti province per percentuale di abbandono del
Paese, soltanto tre hanno meno occupati della media. Tutte le altre ne hanno di
più, spesso molti di più: accade per esempio a Treviso, Pordenone o Bolzano.
Questa gente non va via in primo luogo perché non trova lavoro. Devesserci
qualcosaltro. […]. Ma la mappa
dellespatrio dice in primo luogo che, appunto, le cause profonde non sono solo
economiche… Le ragioni devono essere anche culturali e psicologiche. Di certo i
giovani istruiti che tendono a lasciare il Paese hanno più energia, più
capacità di usare la tecnologia e idee più fresche dei lavoratori di età
avanzata che in Italia rappresentano la maggioranza…. Ma ormai i ragazzi non
aspettano, perché hanno unalternativa: possono decidere che non vogliono più
subire la lentezza, latrofia e la rigidità delle carriere. E se ne vanno.”
Questo è lambito nel quale, come aziendalisti, possiamo e dobbiamo dare il
nostro principale fattivo contributo, affinché le imprese diventino luoghi
capaci di valorizzare i giovani» («Vitale Zane
& Co.»,
n. 3, dicembre 2019).
Potere contribuire a
progettare e realizzare il futuro è diritto di cittadinanza soprattutto dei
giovani, con inestimabili risorse di tempo, aspettative, energie da investire
ovunque siano nati e in UE sono a casa loro ovunque perché i cittadini hanno
tutti pari dignità. «Una delle esigenze più urgenti degli Stati europei è
pertanto quella di prender congedo dalle connotazioni naturalistiche dellidea
di Stato-nazione, inteso in termini di compattezza etnica o linguistica. Ciò
permetterebbe di riannodare in maniera diversa i fili parziali delle identità
collettive in una “corda” intrecciata di memorie, valori, cultura e affetti
variamente condivisi tra i singoli cittadini e i vari popoli. Solo se si
riuscisse a evitare una chiusura esasperata in se stesse delle comunità più
inquiete, anche lèra dei moderni Stati nazionali potrebbe considerarsi
conclusa. Diverrebbe in tal caso possibile assegnare un differente ruolo sia
allo Stato sia alla nazionalità. E forse, chissà, in modi per noi ancora
imprevedibili nei loro concreti sviluppi, persino il sangue dEuropa finirebbe
probabilmente per scorrere meno copioso» (R. Bodei, Libro della memoria e
della speranza, Bologna, il Mulino, 1995, pp. 63-64). Dopo il genocidio in
Bosnia e perdurante lininterrotta sequela mediterranea di omicidi in nome dei
sacri confini nazionali, è indispensabile un governo federale UE perché «non
sappiamo che cosa sia la felicità umana, ma sappiamo che cosa non è. Sappiamo
che la felicità umana non può prosperare dove dominano lintolleranza e la
brutalità. Non cè nulla di più pericoloso del sapere tecnico quando non è
accompagnato dal rispetto per la vita umana e per valori umani. Lintroduzione
di tecniche moderne in ambienti che sono ancora dominati dalla intolleranza e
dalla aggressività è uno sviluppo estremamente allarmante. Come scrissi
altrove: “Il fatto di istruire un selvaggio nelluso di tecniche avanzate non
lo trasforma in una persona civile, ma ne fa solo un selvaggio più efficiente [soprattutto
nei social, ndr].” Il progresso etico
deve accompagnarsi allo sviluppo tecnico ed economico. Mentre insegniamo le
tecniche, dobbiamo insegnare anche il rispetto per la dignità e il valore e il
carattere sacro della vita umana. Se non vogliamo che la fine sia peggiore
dellinizio è necessario intraprendere unazione urgente» (C.M. Cipolla, Uomini,
tecniche, economie, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 142). Lo scriveva nel
1960 a Berkeley, oggi dobbiamo passare allazione, con un governo federale UE.
«YouTubers e personaggi Instagram non sottoscrivono
codici editoriali di condotta né si interessano alle tradizionali pratiche di
correttezza e obiettività e le loro motivazioni prescindono dagli antiquati
concetti di pubblica utilità. Da qui il tremendo potere dei rivoltosi
dellinformazione. Governi e istituzioni non possono semplicemente farli
sparire. Anzi alcuni sembrano già volersi buttare nella mischia. Allassemblea
generale ONU di settembre 2019, il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, ha detto: “Anche se possiamo volerlo rifiutare e
combattere, internet è sempre più il mondo reale”» (Seize the memes, in «The
Economist», 21 dicembre 2019-3 gennaio 2020, p. 86)». «Non esiste cattiva pubblicità, il 2019 è stato un
successone per Donald Trump. Il
presidente ha affrontato i fulmini dei repubblicani furiosi per il suo ritiro
dalla Siria e dei democratici intenzionati a destituirlo. Ma, anche se per lo
più lattenzione che riceve è negativa, fa presa. Secondo Chartbeat, che misura
laudience del giornalismo online, i lettori dei siti del suo database nel 2019
hanno speso 112 milioni di ore divorando le storie relative a Trump – il top di
tutte le parole-chiave» (The Trump bump,
in ivi, p. 125). Trump ha battezzato il 2020 col sangue. «Trump non pensa
strategicamente, sa poco di politica estera e Medio Oriente, non ragiona sulle
conseguenze profonde dei suoi atti, va distinto. Soleimani laveva irriso e sfidato, “non cè nulla che Trump possa
farmi”, il presidente lha visto a bersaglio e ha premuto il grilletto» (Ian Bremmer, direttore di Eurasia,
intervistato da Gianni Riotta, in «la
Repubblica», 4 gennaio 2020, p. 4). Spettacolo di morti veri, anche se
così non sembra ai remoti abitanti di Internet.
«“I media
digitali li hanno abituati a sottrarsi allimbarazzo delle relazioni umane
dirette”, deplora Sherry Turkle,
psicosociologa al Massachusetts Institute of Technology nel suo libro Reclaiming
Conversation: The Power of Talk in a Digital Age (New York, Penguin Press, 2015). Secondo lei, si apre una “primavera silenziosa delle relazioni umane”.
Resteranno il bip degli SMS e le interrogazioni sui palmari» (P. Krémer, Extintion des voix, in «Le Monde» “Lépoque”, 11-12 giugno
2017, p. 5). E sempre meno legami sociali.
«Tutto sta infatti nelle relazioni che si
intrattengono con gli altri. Inferno dellio che si isola per affermarsi, e
raggiunge angosciosamente la sua solitudine fondamentale: “Dove sono io, là cè
una volontà libera, e dove cè una volontà libera, cè virtualmente un inferno
assoluto ed eterno”, scrive Marcel
Jouhandeau. Inferno complementare della comunicazione forzosa con gli
altri: Huis clos, di Sartre,
è un riassunto della condizione umana, una tragedia a tre: tu e io, sotto lo
sguardo di lui; condannato a vivere con laltro, io non esisto che mediante lui
e sotto il suo sguardo, e non posso far nulla per cambiare la mia immagine; io
non sfuggo a me stesso». «La coscienza dellassurdità di questa situazione
intensifica la sofferenza: io vivo “straniero” agli altri e alluniverso,
gettato in un mondo senza scopo e senza fine: è linferno di Camus» (G. Minois, Piccola storia
dellinferno, Bologna, il Mulino, 1995, pp. 120-121). Sotto il nuovo sole
digitale, niente di nuovo.
Abbiamo da poco commemorato limpunita strage di
piazza Fontana a Milano, prova di civiltà delle persone cosiddette comuni e di
malvagità daltre che si reputano speciali: «senza attribuirgli qualcosa di
originariamente inumano, disumano o mostruoso» «comporta solo riconoscere che
lessere umano può essere immensamente malvagio» (E. Gentile, Normalizzazione di un mostro, in «Il sole 24 ore», 29 dicembre 2019, p.
23). Un collaboratore di Franco Freda alla
libreria Ezzelino ha confidato: «“Siamo stati noi, in fondo era plebe”» (M.
Dondi, 12 dicembre 1969, Roma-Bari, Laterza, 2018, p. 120). Disprezzare
e uccidere un proprio simile, chiunque e comunque, è unimmensa malvagità di
cui lindifferenza ci rende complici o vittime, alternativa diabolica che sta
solo a noi rendere irreale.
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