«Il
XX secolo è stato il periodo più straordinario della storia dellumanità,
unendo catastrofe umana senza precedenti, miglioramento materiale sostanziale e
capacità inedita di trasformare – e distruggere – il pianeta e persino di
evitarlo» (J.E. Hobsbawm, Lèmpire, la dèmocratie, le terrorisme,
Versaille, Monde diplomatique, 2009, p. 9).
Ora
«benché lampiezza della globalizzazione resti abbastanza modesta, salvo forse
qualche Stato di solito piccolo e spesso europeo, ha ricadute politiche e
culturali spropositate. Perciò limmigrazione è problema politico centrale
nella maggior parte dei paesi occidentali sviluppati, anche se gli esseri umani
che vivono fuori dai paesi natali non eccedono il 3%. Nel 2007 secondo lindice
KOF di globalizzazione economica gli Stati Uniti erano al 39° posto, Germania
40°, Cina 55°, Brasile 60°, Corea del Sud 62°, Giappone 67°, India 105°. Salvo
il Brasile, tutti sono però meglio posizionati nella scala della
globalizzazione sociale (il Regno Unito è la sola economia importante tra le
prime 10 della globalizzazione sociale ed economica [e la derivata labilità
politica, ndr]). Temporaneo o no,
questimpatto smisurato potrà avere a breve serie ripercussioni politiche
nazionali e internazionali. Tendo a credere che, in un modo o nellaltro, la
resistenza politica rischi di rallentare il progresso del libero-scambio nei
due prossimi decenni – anche se il ritorno a politiche protezioniste esplicite
è poco probabile» (ivi, pp. 12-13).
«Democrazia,
valori occidentali e diritti umani non sono paragonabili a una qualsiasi
tecnologia di importazione i cui benefici appaiono sin dallinizio e di
identico impiego per tutti gli utenti che possono permettersi di acquisirla».
«In breve sono pochissime le scorciatoie nella storia – lezione che lautore di
questo libro ha imparato nientaltro che vivendo e riflettendo nella maggior
parte del secolo scorso» (ivi, p. 19). «Non possiamo sapere che tipo di
struttura economica e organizzazione mondiale risulterà dalla crisi presente,
ma un ritorno al fondamentalismo del libero mercato è certo impossibile» (ivi,
p. 22).
Cauta
– loutsider Trump ha scatenato una
guerra protezionista – la diagnosi indica la prognosi: il mondo va governato.
Lo sa la Génération Europe del ventottenne Rayan Nezzar: «In questo mondo che viene, conteremo meno per il
nostro peso demografico o economico che per la nostra influenza diplomatica e
la forza dei nostri princìpi. In questo mondo multipolare, avremo sempre
interesse a difendere insieme le nostre preferenze collettive verso i grandi
insiemi geopolitici e commerciali. In questo mondo dove la guerra fredda non
cè più ma dove i conflitti perdurano, uno “splendido isolamento” dellEuropa
non è affatto sostenibile salvo affermare che i nostri valori siano solo
occidentali e che i nostri interessi si fermino alle nostre frontiere» (Parigi, Michalon, 2018, p. 156). «La
nostra alternativa non è amare lEuropa qual è o lasciarla: possiamo sempre
ricostruirla così come dovrebbe essere». «Perciò non dubito che, allora
stabilita, una generazione nuova di persone impegnate si leverà a assumersi le
proprie responsabilità», «per la nostra Europa, il meglio resta a venire» (ivi,
p. 186).
Per
Émile Harel, studente in sesta
classe, «appassionato di storia, sport e videogiochi», lEuropa è «un
continente con molti paesi, lingue, tradizioni, sport». «La storia europea
comincia in Grecia antica molti secoli fa. Significa che ha un passato molto
vecchio. Ci sono state guerre di religione, guerre civili, la campagna
napoleonica e di recente la Prima e Seconda Guerra Mondiale. Gli Europei non
hanno mai conosciuto periodi durevoli di pace. Allo stesso tempo lEuropa ha
fatto molti progressi scientifici in medicina, anatomia, astronomia, chimica.
Molte opere darte sono state create in pittura e letteratura. LEuropa è un
po il centro della storia del mondo». «In sessantadue anni sono avvenute molte
cose. In primo luogo, la pace tra i paesi. Ora si viaggia liberamente senza
controlli di frontiera. In molti paesi usiamo la stessa moneta: leuro. Gli
studenti possono studiare in altri paesi europei. Abbiamo un buon livello di
vita. Abito a Strasburgo, una capitale dellEuropa. Papà è francese e mamma
polacca. Uno dei miei migliori amici è tedesco. A scuola studio tedesco e
inglese e alcuni miei compagni di classe sono di origine straniera. È bene che
lEuropa permetta di mescolarsi e vivere insieme con gioia e rispetto. Penso
sia unidentità europea da preservare. Vorrei continuare a crescere in pace e
con gioia» (LEurope dont je rève pour nous. Paroles des collégiens et lycéens, «Un bout de chemin
éditions», 2019, pp. 47-49). Con un multiplo dei suoi anni, anchio.
Nella
crisi comatosa degli stati nazionali, «lEuropa è in crisi perché gli europei
hanno bisogno di uno Stato europeo forte e democratico, ma tengono ai loro
Stati nazionali perché lUnione Europea non è forte né democratica. Sono in
trappola e ne usciranno solo troncando la questione della sovranità». «Gli
europei usciranno dalla trappola in cui sono presi ponendo la loro sovranità
sopra quella della nazione» (J.F. Billeter, Demain lEurope, Allia,
2019, pp. 15-16). «È unEuropa futura che bisogna immaginare, non quella di
ieri. Sta alle giovani generazioni inventarla, per sé stesse e per i loro
figli» (ivi, p. 19). «Allo stesso tempo potranno risolvere un problema più
grave che viene da più lontano, ma di cui sono meno consapevoli perché chi vi
ha interesse fa di tutto per nasconderlo. Si tratta della libertà perduta dopo
che il capitalismo ha loro imposto la sua legge. La recupereranno stabilendo la
repubblica e il primato del politico sulleconomico» (ivi, p. 27).
«Lunione
economica e monetaria è al contempo la minaccia più chiara per i modelli
sociali nazionali, ma anche la possibilità più forte di reagire e cercare di
modificare le regole del gioco a livello europeo, e ha conosciuto sviluppi
importanti dopo il 2008 e soprattutto a partire dal 2010», con «lemergere
della nuova governance economica per
laumento di potere della BCE e della Germania», «complessa perché non è
stabilizzata ed emerge da diversi tipi di strumenti e logiche di controllo. Ma
il punto cruciale è la politica e limportanza dei rapporti di forza politici.
I risultati di questo periodo sono in linea con le attese quando la destra è
simultaneamente al potere negli stati membri e naturalmente si riflette in modo
diretto e indiretto sulla Commissione e sul Parlamento europei. La nuova governance in atto porta a una
deregolamentazione radicale delle istituzioni di solidarietà in certi stati
membri. Si unisce a una crescente divergenza (e non convergenza) tra gruppi di
paesi e tra regioni nei paesi» (P. Pochet, À la recherche de lEurope
sociale, PUF, 2019, p. 28).
Ma
nellUE, malgrado la centralità assegnata al mercato, «contrariamente a quella nazionale,
la legislazione sociale non ha subìto un processo di deregolamentazione
(finora). Il diritto sociale europeo che appariva debole o minimale dieci o
quindici anni fa, pare oggi una rete di sicurezza molto utile» (ivi, p. 347).
La sfida su cui convergere è ambientale. «Lo sconvolgimento climatico è un
problema non solo ecologico, ma sistemico». «Per lungo tempo lUnione Europea è
stata pioniera in questambito. Nel 2001 ha lanciato una Strategia di sviluppo
durevole inclusivo di aspetti sociali quali la lotta alla povertà o la
questione delle cure sanitarie»: anche «questo approccio è tuttavia messo a
tacere a partire dal 2010» (ivi, pp. 306-307). «Invece di considerare le
politiche del cambiamento climatico una distrazione dalle questioni sociali urgenti
(invecchiamento, ineguaglianza salariale crescente, immigrazione, ecc.), chi
lavora alle politiche sociali dovrà valutare la transizione climatica come una
realtà emergente che apre possibilità di cambiamento, anche nei luoghi noti per
la loro resistenza al cambiamento. Ma il punto più difficile è quello degli
attori e delle coalizioni: quale strategia per sviluppare il cambiamento
tecnologico, ma anche delle necessarie preferenze collettive? È una questione
centrale per passare effettivamente allazione. È attorno a una dinamica di
transizione giusta che devono svilupparsi le azioni» (ivi, pp. 328-329).
«In
modo totalmente inatteso, un nuovo attore è sorto a fine 2018-inizio 2019: i
giovani europei, soprattutto studenti secondari, si sono messi a manifestare
per il clima. Sono riusciti a organizzare in modo decentrato uno dei più grandi
movimenti di sciopero e mobilitazione da decenni in qua. Sta qui lanello
mancante? Lattore necessario per coalizzare gruppi diversi e porre nel lungo
termine la questione climatica e quella dei cambiamenti comportamentali
individuali e collettivi? Una lettura storica ci rende prudenti perché
movimenti simili sono esistiti a fine anni 1960 e negli anni 1970. Sono stati
spazzati via dallondata neoliberale. Analizzando le loro rivendicazioni è
tuttavia chiaro che le questioni ambientali e sociali sono intimamente legate.
È comunque loccasione per costruire una piattaforma comune di una transizione
socio-ecologica» (ivi, p. 329). Londata neoliberale passa, ci dice Hobsbawm. I mutamenti sistemici si
impongono da sé, vanno governati e «se non si fa nulla, lEuropa dovrà
affrontare una migrazione permanente»: «lo sviluppo è la soluzione per
contenere la bomba demografica africana» (J. Buchalet-C. Pratt,
Le future de lEurope se joue en Afrique, Parigi, Èditions Ayrolles,
2019, p. 240).
«Riscaldamento
climatico, miseria e guerre sono le cause principali». «Senza questi problemi
daccesso alle sue risorse lAfrica sarebbe capace di nutrire tutto il
continente» (ivi, p. 241). «Ogni volta che la fame aumenta dell1% le
migrazioni progrediscono del 2%. La risposta dellEuropa devessere certo
securitaria, ma anzitutto di sviluppo industriale» (ivi, p. 242). «Lenergia è
il motore dello sviluppo. Nel 2015, circa i due terzi della popolazione
africana non avevano ancora accesso allelettricità» (ivi, p. 243). «Il
continente ha la capacità di diventare il serbatoio energetico dellEuropa,
specie nelle energie rinnovabili» (ivi, p. 244). «Questo “New Deal” darà un
senso allavvenire di Africa e Europa. LAfrica deve diventare nostra priorità.
Il futuro dellEuropa si gioca in Africa» (ivi, p. 245).
Transizione. Manager costretti al
successo da azionisti sempre più avidi, loro inclusi, sfruttano il marasma
degli stati nazionali, e luno per cento dellumanità è sempre più ricco nella
globalizzazione vera del cambiamento climatico, spesso negato, ma agli albori,
spesso truffaldina (SUV Volkswagen, 737 MAX Boeing, Panama Papers…). Quos
deus perdere vult dementat prius: confondi la mente della gente e fanne ciò
che vuoi, dicono gli inglesi. Scommettitore di mestiere e, dopo aver donato cinque
milioni di sterline, imprescindibile riferimento dei conservatori, Stuart Wheeler punta sulla fine UE (BBC,
Hard Talk, 11 ottobre 2019, 21:00). Scommessa seriale: Remain era
dato in testa (Cameron ci credeva),
a pro degli scommettitori Brexit. La fortuna va aiutata, si sa, oggi con
social e influencer a confondere le menti. Lintervistatore BBC infine chiede:
ricchissimo, Wheeler può affrontare Brexit anche se va male, e i cittadini
britannici che stentano la vita? UE va giù, UK globale no. Ciascun per sé.
Da
noi, «un intellettuale della Lega, il professor Gianfranco Miglio, un accademico milanese che aveva contribuito a
far conoscere in Italia il pensiero di Carl Schmitt, si dichiarava apertamente
favorevole al “mantenimento della mafia e della ‘ndrangheta al Sud”, precisando
sibillinamente: “Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe
una assurdità. Esiste anche un clientelismo buono, che può determinare la
crescita economica”» (J. De Saint Victor, Patti scellerati. Una storia
politica delle mafie in Europa, Torino, UTET, 2013, p. 336). «Non mi fecero
ministro perché avrei distrutto la Repubblica»: Miglio è citato da «Il Giornale» del 20 marzo 1999.
«Oggi, invece, il mafioso è riuscito a togliersi una maschera: non deve più
camuffarsi da imprenditore, è diventato egli stesso un imprenditore che sfrutta
senza problemi il vantaggio competitivo che gli viene dallessere criminale di
stampo mafioso. I costi di tale strabordante potere economico sono enormi e si
pagano in termini di violenza, instabilità politica e sociale, inquinamento
ambientale» ma esso è tale che «linclusione delle attività illegali nel
reddito nazionale è una possibilità che lUnione Europea ha concesso agli
istituti di statistica degli Stati membri» «con l“obiettivo di accrescere la
comparabilità internazionale delle stime”» (S. Consiglio et al., Organizzazioni
criminali, Roma, Donzelli, 2019, pp. 92 e 95). Eliminate le barriere tra
legge e crimine, si capisce lattuale vulgata politica sulla sostenibilità del
nostro debito, nella nostra insindacabile sovranità. Banditismo legalizzato,
come il nazismo, poi processato a Norimberga. Allora nazionalismo socialista,
ora nazionalismo affarista. «La Russia guarda allAfrica come a una immensa
start up» («Il Sole 24 Ore», 27 ottobre 2019,
p. 1) e noi, ponte tra Europa e Africa, puntiamo su Visegrad, Russia e PIL del
malaffare? Quos deus perdere vult dementat prius, con social e
influencer. I nostri giovani, sempre meno nella transizione demografica, vanno
in Europa e quelli che vengono da fuori, una prima assoluta, cè chi tra noi li
rende invisibili nel libero mercato della malavita e, se arrivano visibili su
navi ONG, li respinge. Italexit.
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