«Fondamento
degli stati “moderni” affermatisi a fine Medioevo, limposta deve riguardare
tutta la popolazione, essere accettata, regolare e versata per servire il bene
comune». Come nel Medioevo, «la fiscalità è accettata solo se le popolazioni percepiscono
che tutti contribuiscono secondo i loro mezzi e possono costatarne gli effetti
benefici» (V. Theis, Le Moyen Âge,
laboratoire de la fiscalité, in «Le Monde des Idées», 19 gennaio 2019, p. 5). Niente
bene comune senza tasse e viceversa: il fisco è cerniera tra stato e mercato.
In democrazia anche la politica è bene comune: niente tasse senza
rappresentanza. Oggi lineguaglianza provoca forme di diffusa rivolta «in cui
gran parte della questione è la rimessa in causa della fiscalità. In questi
momenti lo storico medievale può provare il sentimento di un eterno ritorno,
non del passato, ma degli stessi dibattiti, che traducono la triste incapacità
degli esseri umani a trovare soluzioni equilibrate per consentire la vita
associata» (ibid.). Ostile
allidea stessa di bene comune, il neoliberismo mette in concorrenza fiscale gli
stati e «Warren Buffett è sorpreso di pagare meno imposte della segretaria» mentre
«primo nella storia, il candidato Trump
ha rifiutato di pubblicare la dichiarazione dei redditi». Eppure «dopo la
guerra le leggi fiscali americane confermano limportanza dellimposta sul
reddito a base del sistema redistributivo, con tassi fino al 91% sui redditi più
elevati». «Culturalmente egemone, lantifiscalismo dei più ricchi la dice lunga
sulla strada percorsa dalla seconda guerra mondiale negli Stati Uniti nel contestare
il patto fiscale concluso allora tra tutti i cittadini» (R. Huret, Aux Etats-Unis, les riches ont eu la peau de
limpôt, in «Le Monde, “Éco&
Entreprise”, 20-21 gennaio 2019, p. 7). «Lesperienza
di mondializzazione a fine XIX secolo mostra che lintervento dello Stato non frenò,
ma fece accettare le trasformazioni radicali di economia e società». «Furono
spesso i governi liberali a introdurre regolamentazioni del mercato del lavoro
e misure sociali per proteggere i salariati e rendere sopportabili gli effetti
della mondializzazione. Rafforzarono la regolamentazione pubblica del mercato
del lavoro e le assicurazioni sociali, introdotte anche in diplomazia con accesso
al mercato (o circolazione dei lavoratori) in cambio di regolamentazioni
sociali convergenti. Nellistituire la Comunità economica europea la
complementarità tra mercati aperti e contropartite sociali fu capita perfettamente
e iscritta nei testi. Ma poi – soprattutto con la svolta imposta da Margaret Thatcher e mai davvero rimessa
in causa – la convergenza sociale è stata abbandonata a favore del solo mercato
unico dove la concorrenza, specie fiscale, ha spesso prevalso su armonizzazione
e coordinamento. Da qui lattuale impopolarità dellUnione. Dalla crisi attuale
si potrà uscire solo a due condizioni. La prima è che i dirigenti politici ed
economici accettino nuove forme di rivendicazioni per completare o sostituire
sindacati indeboliti allinterno e allesterno, e riconoscere che la velocità di
cambiamento e le contropartite sociali sono in definitiva una decisione
democratica. La seconda è estendere questo dibattito a livello europeo, lunico
capace di costruire la protezione sociale di domani alla necessaria scala» (P.-C.
Hautcœur, Les libéraux nont pas toujours
négligé les perdants, in «Le Monde», “Éco&Entreprise”,
20-21 gennaio 2019, p. 1). Costruzioni
giuridiche, democrazia e mercato funzionano se socialmente condivisi e fatti
rispettare da istituzioni a loro volta condivise. Quali? Non Facebook né la
rete. «Già nel maggio 2017 in Tweeter and
Tear Gas. The Power and Fragility of Networked Protest (Yale University
Press) la ricercatrice Zeynep Tufekci
ha studiato come le reti Internet hanno favorito la mobilitazione popolare
delle rivolte della “primavera araba” e il movimento Occupy Wall Street a New
York nel 2011. Ma faceva notare che appoggiarsi a reti volatili e
contraddittorie rende difficili elaborazione strategica e organizzazione sulla
durata, esponendosi invece a ogni manipolazione. Due analisi, del sito
americano BuzzFeed il 6 dicembre 2018, e della Fondazione Jean-Jaurés il 14
gennaio 2019 hanno un approccio analogo. Il movimento dei “gilets jaunes”
prende corpo in ottobre 2018, quando la petizione di Priscilla Ludovsky contro laumento del prezzo dei carburanti è lanciata
dal camionista Eric Drouet su
Facebook: “Tutti insieme il 17 novembre 2018 per il blocco nazionale contro
laumento del carburante”». «Ora il rischio è che il movimento si sgonfi e che
solo i gruppi estremisti continuino a irrigare la rete. Tanto più che da
gennaio 2019 il nuovo algoritmo Facebook privilegia la pubblicazione di amici e
gruppi vicini facilitando, secondo la fondazione Jean-Jaurés, la creazione di
una “bolla filtrante”: “sembra esistere solo lattualità dei gilets jaunes e delle centinaia di
legami, video e commenti indignati cui è esposto linternauta”». «Così questo
potente movimento sociale, come dice BuzzFeed, potrebbe finir male: “I gilets jaunes si sono costituiti grazie
ai gruppi Facebook, è logico che finiscano come i gruppi Facebook: moderati
male, rovinati da elementi tossici e pieni di gente con visioni diverse”» (F.
Joignot, Facebook, le grand mobilisateur,
in «Le Monde des Idées», 29 gennaio 2019, p. 5). Incompiuta,
lUE è la via al governo sovranazionale, «unico capace di costruire la
protezione sociale di domani alla scala necessaria» (Hautcœur, Les libéraux nont pas toujours négligé les perdants,
cit.) tra i rumori veicolati in rete da imprese esentasse. Supera la democrazia
rappresentativa: «registro di comprensione di un sistema politico senza
giustizia costituzionale è la “democrazia elettorale” o “rappresentativa”; di un
sistema di giustizia costituzionale è la “democrazia continua”» (D. Rousseau, Radicaliser la démocratie. Proposition pour
une refondation, Paris, Seuil, 2015, p. 177). «Le società sono uscite dalla
barbarie abbandonando il linciaggio per la giustizia; sono entrate nellera
democratica ponendo le regole per un equo processo e un tribunale neutro e
imparziale. Nella configurazione democratica moderna in cui il suffragio
universale non è più fonte di legittimità, la giustizia istituzionalmente ed
eticamente rifondata può essere listituto che manterrà la legittimità
democratica» (ivi, p. 195). «Lidea
di democrazia continua ha lambizione dichiarata di aprire un nuovo ciclo,
proporre un pensiero nuovo di democrazia e riconfigurare le sue istituzioni.
Trae la sua energia dal popolo concreto attuato in ogni area di attività
sociale, mentre la democrazia rappresentativa ne fa un popolo astratto ridotto
a esistere solo come elettore; costruisce il bene comune tramite un regime
costituzionale concorrente connesso allo spazio pubblico, mentre la democrazia
rappresentativa ne riserva la produzione a un corpo di rappresentanti statali
ripiegati su sé stessi; incontra la “democrazia degli altri” e si apre
alluniversale, mentre la democrazia rappresentativa si protegge dietro il
principio di sovranità degli Stati-nazione. La democrazia continua è listituzionalizzazione
prodotta dalle esperienze vissute. Continuamente aperta, dunque, come le esperienze
vissute» (ivi, pp. 230-231). Parlamento,
governo e corte di giustizia UE realizzano la costituzione accogliendo le sfide
di una globalizzazione che risospinge gli stati, privati di sovranità fiscale, alla
barbara giustizia del popolo. La sovranità fiscale è ora sovranazionale e lUE
ha il potenziale per rendere socialmente accettate e partecipate trasformazioni
economiche ora in mano a pochi (i ventisei più ricchi possiedono quanto la metà
più povera del mondo: Oxfam, Rapporto 2019 su dati UBS). Governo, Parlamento e
Corte di Giustizia UE, in dialogo coi cittadini e tra loro, hanno il potere e
la responsabilità di attuare, con la fiscalità, la nuova necessaria equità fra trasformazione
economica e coesione sociale, genesi stessa dellUE. Invece,
in Consiglio dEuropa gli stati si sfidano al ribasso sulla fiscalità, in
conflitto con lUE e tra loro: un conflitto per ora solo diplomatico. Ma che uccide
già i migranti, mentre i governi più sprovveduti ignorano che i crimini
internazionali, come in Kosovo, vivono nella memoria lunga del diritto e degli antagonisti
(allattuale cattiveria di casa nostra si adatta la prognosi di Totò, al
funerale in I soliti ignoti: «Oggi a
lui domani a te»). “Quando viene la forza è morta la giustizia” è un proverbio
nostro, ma con Visegrád facciamo guerra a migranti e UE, dando voce politica allastio
tra vicini di casa e del ciascun per sé dei lager. Intanto Germania e Francia
si accordano, leva finanziaria e atomica dellEuropa post Brexit. Direttore
dellInstitut français des relations internationales, Thomas Gomart «non esita a parlare di “perdita di controllo, di imballata,
persino di panico del sistema internazionale”». «Evocando Tucidide, ricorda che nella storia lemergere di una nuova potenza
è a spese duna potenza stabilita e spesso porta al conflitto, a meno di non condividere
valori e interessi, come fu per Gran Bretagna e Stati Uniti. Un ritorno alla
guerra tra stati è dunque possibile in un mondo dominato dalla logica di
potenza. È una sfida per i paesi dellUE vissuti, dopo il 1991, in “insularità
strategica” e che di fronte al jihadismo e al ritorno della competizione tra
grandi potenze si ritrovano di nuovo costretti “a pensare la guerra”. Le forme
potranno essere diverse: guerre ibride o di debole intensità, conflitti nel
cyberspazio, conflitti interni agli stati. In tutto questo, Thomas Gomart ne è convinto, “soldato è un mestiere del futuro”» (M. Semo,
Les défis dun monde en mutation, in
«Le Monde», 22 gennaio 2019, p. 22). Già
oggi i rischi per gli stati sono gravi e «sorprendentemente in cima alla lista
dei sudori freddi che di notte tengono svegli i capi è la collisione col
Dipartimento di Giustizia o il Dipartimento del Tesoro USA». «Gli USA hanno
molti motivi di fierezza come combattenti della corruzione. Ma per il bene loro
e altrui devono trovare un approccio più trasparente, proporzionato e
rispettoso dei confini» (Judge dread,
in «The Economist», 19 gennaio 2019, p. 12). «Lalea giuridica è tale che le
imprese non hanno altra scelta che dichiararsi colpevoli e fornire le prove
delle loro colpe. Come rischiare di perdere miliardi, licenza bancaria, accesso
ai mercati pubblici, diritto di utilizzare il dollaro? Così, in dieci anni le
società europee hanno versato 40 miliardi di dollari» (J.-M. Bezat, Le “racket” de Washington, in «Le Monde»,
23 gennaio 2019, p. 23). «Se continua, il crescente ricorso alle azioni legali
extraterritoriali finirà col ritorcersi contro. Scoraggeranno le imprese estere
a battere i mercati di capitale USA e incoraggeranno Cina e Europa a promuovere
le loro valute in concorrenza col dollaro e sviluppare sistemi di pagamento
globali escludenti lo Zio Sam» (Judge
dread, cit.). Cina
e Europa, non stati nazionali impotenti contro larma impropria della giustizia
imperiale, e solo se lEuropa avrà un governo invece di un Consiglio di politici
nazionali attenti al loro futuro personale nella crescente sudditanza sovranista,
tanto apprezzata in USA e nella Federazione Russa. Una segnalazione dopo le fonti citate in
scheda di lettura. «Lo sviluppo delle intelligenze artificiali riattualizza una
profezia atroce: sostituiti gli esseri umani con macchine, il lavoro è
destinato a sparire. Alcuni si allarmano, altri nella mutazione digitale vedono
una promessa di emancipazione fondata su partecipazione, apertura, condivisione.
I retroscena di questo teatro delle marionette (senza fili) mostrano però
tuttaltro spettacolo. Utenti che alimentano gratuitamente le reti sociali con
dati personali e contenuti creativi monetizzati dai giganti del Web. Operatori
di start-up delleconomia collaborativa, che in quotidiana connessione più che guidare
veicoli o assistere persone producono informazioni su smartphone. Micro-lavoratori
che, incollati ai loro schermi a casa o nelle fabbriche dei clic, spingono la viralità
dei marchi, filtrano le immagini pornografiche e violente o inseriscono a catena
frammenti di testi per software di traduzione automatica. Sfatata lillusione
dellautomazione intelligente, Antonio Casilli fa apparire la realtà del lavoro
digitale: lo sfruttamento delle piccole mani dellintelligenza ‘artificiale, la
miriade sgobbona dei clic sottomessa alla gestione algoritmica delle
piattaforme, che riconfigurano e precarizzano il lavoro umano» [Antonio A.
Casilli, En attendant les robots. Enquête sur le travail du
clic, Seuil 2019, 400 pp., 23 €, quarta di copertina]. «E questo è solo
linizio». «Mentre leggete queste righe governi e grandi imprese si stanno
facendo in quattro per hackerarvi; e se arriveranno al punto di conoscervi meglio
di quanto vi conosciate voi, potranno vendervi qualunque cosa, prodotto o
politicante che sia» [Yuval Noah Harari, «Il nostro futuro», la Repubblica, 13/01/2019, p. 17]. «Venti
dollari per laccesso a tutto quanto passa sul loro smartphone. È quanto dal
2016 Facebook propone ai 13-35enni», «nel quadro dun progetto presentato come
di “ricerca” dalla rete sociale, per meglio capire il loro uso degli apparecchi
connessi» [Morgane Tual, «Facebook paie les ados pour les espionner», Le Monde Éco&Entreprise, 01/02/ 2019,
p. 8]. La storia fortunatamente ci dice che «tutti i dittatori sono caduti
nella medesima trappola; ciechi essi stessi ai valori della libertà, non
riescono a concepire che uomini in disaccordo sul suo significato possano ciò
non pertanto unirsi per difendere le loro libertà contro un patente dispotismo»
[J. Christopher Herold, Letà di
Napoleone, tr.it. Il Saggiatore 1967, p. 270]. Unirsi, ma non nella rete, dove
«stento a persuadermi che non abbian potuto presagire in cuor loro e vedere
incombente, prima che avvenisse, latroce male comune» [Lucrezio, De Rerum Natura (5. 1341-1343), tr. di Renata
Raccanelli, «La guerra nei mondi (di Lucrezio)», in Alice Bonadini, Elena
Fabbro, Filippomaria Pontani (a cura di), Teatri
di guerra, Mimesis 2017, p. 186]: «unallegoria della operazione di
indottrinamento che le ideologie patriottiche hanno fatto tra la fine del XIX e
tutta la prima metà del XX secolo, simile a quella che presto i computer
avrebbero potuto fare nei confronti della mente umana» [Stefano Iossa, «Dulce
et decorum est pro patria mori», ivi, p. 267].
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