Sulle fondamenta del
triangolo industriale il più forte sviluppo del sistema produttivo
Milano-Verona ha prodotto «una megalopoli padana facente perno sullasse
metropolitano Milano-Verona» (G. Gario,
Sviluppo industriale e crescita urbana in Italia [1951-1971],
«Vita e pensiero»,
1978, 12, p. 157). A fine anni Settanta gli «equilibri territoriali poggiano su
un ristretto gruppo di città, mentre i ben più numerosi insediamenti urbani
minori appaiono, se il termine non è eccessivo, “sradicati” dai loro ambiti
territoriali e inseriti in una logica i cui centri di iniziativa sfuggono al
loro controllo. Ne consegue una netta distinzione circa il significato della
presenza urbana: da una parte le città protagoniste della crescita, dallaltra
le città eterodirette. Quali siano le implicanze sociali, politiche e culturali
di questa divaricazione è compito dei sociologi e dei politologi chiarire,
tenuto conto del fatto che il cittadino metropolitano non può esistere senza il
cittadino “sub-metropolitano”, il quale sembra quasi una versione spuria – o di
seconda generazione – del primo. Entrambi – il cittadino metropolitano e quello
sub-metropolitano – partecipano comunque, con una complementarietà di ruoli, di
una stessa logica di crescita, che ha coinvolto e amalgamato, pur se in misura
ancora insufficiente, tutte le componenti fondamentali di un paese ritenuto,
fino a poco più di un secolo fa, una pura espressione geografica.
Caratteristica peculiare di questa logica è il dinamismo» (ivi, p. 159).
Messo a tema negli anni
Ottanta nel Progetto Milano dellIstituto Regionale di Ricerca della
Lombardia, il dinamismo si è concretizzato in moda e media nel sistema Milano-Verona,
a valle di una strategia della tensione che al partenariato europeo e
internazionale opponeva la nostra debolezza di nazione e stato. «Un miscuglio
vario di individui i quali vogliono opprimere il popolo, e non ne son capaci, a
quella guisa in cui il popolo non vuol essere oppresso, e non ha sufficiente
energia per difendersi da sé. Si immiseriscono, grandi e plebe, nella astuzia
calcolatrice di piccolo conio, nella contesa frammentaria in cui non è serietà
di proposito determinato, e neppure la formale grandezza delleroismo
personale: hai la materia, supina nellattendere la virtù del principe che
tenga “con li sua ordini” animato lo universale e infonda la vita dove è un
oscuro vegetare di sensi imbelli. La manna deve cadere dal cielo: e gli uomini
stanno col becco aperto ad aspettarla» (F.
Chabod, Introduzione a N.
Machiavelli, Il Principe, Torino, UTET, 1924, p. XXII).
La manna è ora la «rivoluzione
che verrà dagli attori più importanti delleconomia digitale, giganti con mezzi
finanziari, tecnici, mediatici e politici considerevoli che si posizionano con
chiarezza per dominare, soli o associati, il gioco della produzione urbana in
tutte le sue componenti. Sono portatori duna visione utilitaristica,
tecnicistica e liberale dello sviluppo urbano che diverge radicalmente dalla
concezione europea della città politica. Pochi responsabili politici hanno già
preso piena coscienza di questa urgenza e della posta in gioco: economica (un
terzo delleconomia dei paesi sviluppati è oggi derivata dalla costruzione e
dal funzionamento delle città), ma anche ecologica, sociale, societaria,
culturale e geopolitica» (J. Haëntjens,
Comment le géants du numèrique veulent gouverner nos villes. La cité face
aux algorithmes, Paris, Rue de lèchiquier, 2018, p. 239). «Le città
politiche non potranno affrontare da sole e in disordine gli appetiti dei
giganti del digitale. Avranno interesse a rafforzare le loro alleanze con altri
attori politici» (ivi, p. 136).
È lattualità della
questione che Chabod tramanda e torna
«ogni volta che, cambiando le sfide del presente, si è spinti a voltarsi
indietro e a riflettere sulle parole di Antonio
Gramsci: “Realmente lunità nazionale è sentita come aleatoria, perché
forze ‘selvagge, non conosciute con precisione, elementarmente distruttive, si
agitano continuamente alla sua base”. Oggi quelle forze selvagge si manifestano
di nuovo. Vediamo affiorare spaccature profonde lungo crinali antichi. E gli
storici hanno sempre nuove ragioni per ricordare lassioma di Marc Bloch:
gli uomini sono figli dei loro tempi più che dei loro padri» (A. Prosperi, Un volgo disperso,
Torino, Einaudi, 2019, p. X).
In effetti coi nostri
padri «la civiltà romana si sviluppò nel bacino del Mediterraneo, insieme ad
altre culture che avevano in quel mare il proprio baricentro geopolitico ed
economico: le Alpi furono a lungo percepite come una barriera di difficile
superamento che fungeva da protezione della penisola, oltre le quali non cera
che la barbarie. Ma, le Alpi, invalicabili non lo erano affatto: da millenni
erano luoghi di incontro e di scambio» (S.
Giorcelli Bersani, Limpero in quota. I Romani e le Alpi, Torino,
Einaudi, 2019, pp. 191-2). «Come aveva già fatto con altre regioni dellItalia
e del Mediterraneo, Roma inserì le Alpi in un sistema-mondo che combinava
centralità e territorialità, globale e locale in una sintesi riuscita e più
volte riproposta nel corso della storia, ma mai con il medesimo successo: il
segreto furono la disponibilità romana a trasformare i sudditi in cittadini e
la vocazione allinclusione, la vera chiave di volta dellintero impianto
imperiale e della sua sostenibilità nel tempo. Nellimpero, il concetto di
territorialità e la polarità centro-periferia persero progressivamente di
significato e in questa prospettiva politico-ideologica anche le Alpi assunsero
un ruolo importante nei processi globali di trasformazione sociale, economica e
culturale, non meno che altre aree periferiche dellimpero: per la prima volta
nella storia le strade verso i colli alpini furono sottoposte al controllo di un
unico Stato, furono rese più agevoli grazie a una costante manutenzione, e
soprattutto connesse con la fitta rete di comunicazioni stradali e fluviali che
innervava la Pianura Padana e il pedemonte, con innumerevoli proiezioni verso
lEuropa centrale e settentrionale.
Per la prima volta,
in quel contesto, si produsse un modello di economia integrata basata sulla
moneta unica, sullo scambio e sul consumo diffuso di prodotti, reso possibile
dal processo di standardizzazione amministrativa, giuridica e fiscale. Per la
prima volta nella storia, le Alpi si trovarono a essere parte di una globale
circolazione di persone, di merci e di idee che alimentò lo scambio tra civiltà
di montagna e civiltà di pianura» (ivi, p. 193). Nel lungo Medioevo poi lEuropa
«ha creato la città, la nazione, lo stato, luniversità, il mulino, la
macchina, lora e lorologio, il libro, la forchetta, la biancheria, la
persona, la coscienza e finalmente la rivoluzione. Fra il Neolitico e le
rivoluzioni industriali e politiche degli ultimi due secoli esso è – almeno per
le società occidentali – non un vuoto né un ponte, ma una grande spinta
creatrice, interrotta da crisi, diversificata da differenze di livelli di
sviluppo a seconda delle regioni, delle categorie sociali, dei settori di attività,
varia nei suoi processi» (J. Le Goff,
Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Torino, Einaudi, 1977, p. IX).
LEuropa ha radici antiche e forti.
Fondato nel 1955 il Comité
dAction pour les États-Unis dEurope, Jean Monnet a «André Fontaine,
del Monde, che gli chiedeva ciò che, ai suoi occhi, doveva restare di
nazionale in questa costruzione, rispondeva: “Le istituzioni comunitarie di cui
abbiamo bisogno sono istituzioni federali e non quelle di uno Stato unitario. I
poteri che devono essere trasferiti sono solo quelli che gli stati nazionali
non possono più esercitare a beneficio dei paesi interessati”» (H. Rieben, Des guerres européennes
à lunion de lEurope, Lausanne, Fondazione Jean Monnet, 1987, p. 186). Oggi
si tratta della fiscalità delle multinazionali, del governo di città messe sul
mercato globale dai giganti digitali, della divisione del reddito e delle
transizioni demografica, ecologica e digitale. Solo lUE può farcela, perché governa
laccesso al mercato più importante del mondo che i neoliberisti vogliono
politicamente diviso e debole.
Qualche «piccolo
capo, avendo bisogno di affermarsi nel suo gruppo, ha dunque cominciato a
creare risentimento verso gli altri gruppi. I capi degli altri gruppi fanno lo
stesso, avendo ogni volta come motivazione, instaurare e perennizzare un
potere» (A. Zorvën, Lespoir
européen, Paris, lHarmattan, 2019, p. 133): «nella logica del capro
espiatorio, il principio è focalizzarsi anzitutto su un elemento concreto –
come i più recenti arrivati da fuori, il capro espiatorio classico più facile e
atemporale – poi su dei concetti più astratti: la mondializzazione, il
terrorismo, leconomia finanziaria di più in più globale ecc. La forza degli
argomenti basati su questo tipo di logica, è che hanno sia una parte di vero
che una parte di falso, in proporzioni molto variabili che solo uno spirito
critico e temprato può valutare e/o deprezzare» (ivi, p. 170). È la conferma
del motto che Monnet «amava tanto citare: “Il mondo è diviso in due: quelli che
vogliono essere qualcuno e quelli che vogliono realizzare qualcosa”. Se cè un
uomo che si può collocare senza esitare nella seconda categoria, è proprio lui.
Del resto ne conveniva volentieri, aggiungendo: “Cè meno concorrenza”» (H. Deleersnijder, LEurope, du
mythe à la réalité, Bruxelles, Mardaga, 2019, p. 118).
Fatti
nostri. «E se il dio Po, la ruota di Lug e tutto il
resto della paccottiglia folcloristica leghista male si conciliavano con la
matrice cattolica del movimento, poco importava alle masse plaudenti di
valligiani che si credevano autenticamente celtici e nello stesso tempo
autenticamente devoti alla Madonna. E poco importava, altresì, che i riferimenti
alla cultura esoterica, le adunate di invasati in camicia verde, il linguaggio
ispirato e violento richiamassero un passato inquietante e mai veramente
sepolto. Da ricordare anche luso, agli inizi degli anni Novanta del secolo
scorso, da parte dei dimostranti NO TAV valsusini, dellimmagine simbolica di
Asterix, il Gallo astuto, fortissimo e generoso, eroe delle fortunate strisce
di Goscinny e Uderzo: alla base, lidea di una società indigena fiera e
riottosa a qualunque imposizione esterna, di un popolo indomabile e mai
veramente sconfitto, di una civiltà romana arrogante e debosciata. La Gallia
oppose certo una fiera resistenza alle legioni di Cesare negli anni della
guerra e dovette capitolare senza condizioni: ma, nel giro di mezzo secolo, si
trasformò nella provincia più romana dEuropa e a metà del I secolo d.C. i
Galli rivendicavano un posto in senato a Roma, accanto agli aristocratici di
lungo corso» (Giorcelli Bersani,
Limpero in quota, cit., p. 201).
«Il mito dei Celti
irriducibilmente contrapposti ai Romani tornò comodo anche nelle rivendicazioni
autonomiste dei Friulani: tutti i popoli padani discenderebbero da Insubri,
Cenomani, Boi e da altre comunità celtiche della Cisalpina; in particolare, i
Carni sarebbero i progenitori diretti dei Friulani e il friulano sarebbe un
idioma neo-gallico. Naturalmente queste idee non hanno alcun fondamento né
storico né linguistico ma interessa capire in quale contesto siano nate e per
quali ragioni». «Simili idee circolavano almeno dal 1963, anno di nascita della
Regione Friuli-Venezia Giulia a statuto speciale e con il crescente malumore di
una parte dei Friulani che non apprezzava, in quel tipo di inquadramento, anche
linserimento della componente giuliana; nacquero per questa ragione molte
opere dedicate alla millenaria storia patria e redatte con insistenza sul tema
dellautoctonia celtica». «In modo assai ardito anche in quel caso si cercò di
conciliare linconciliabile, cioè il paganesimo, celtico o romano, con la
Chiesa di Cristo» (ivi, pp. 200-1). «Il presupposto comune a tutte queste
posizioni di uso ideologico e disinvolto del passato è che etnia e cultura
attraversino intatte i millenni e che siano radici ereditabili da proteggere o
da recidere, a seconda dei punti di vista e degli interessi in gioco» (ibid.).
Che a farsene
promotore sia il Lombardo-Veneto, terra dei due pontefici del Concilio di pace
e di progresso globali, la dice lunga sul nostro ritardo nel mondo globale. Invece
di crescere sulle nostre radici, ci inventiamo un passato. È suicidio: assistito?
L11 marzo 2013, a pagina 3, «La Stampa» titolava: «Steve Bannon. “Cinque Stelle e Lega, è in Italia il cuore della
nostra rivoluzione”. Lex ideologo di Trump: “Espressioni diverse, fenomeno
unico nazional-populista. Il mio sogno è vederli governare insieme. Sarà
Salvini la forza trainante”». Profezia confermata da Massimo Franco un anno
dopo: «lattuale vicepremier e leader della Lega si candida a Palazzo Chigi su
una linea sovranista, spinto dai numeri due di unamministrazione americana che
lo considera un grimaldello per scardinare lUnione Europea, e non solo». «Con
enfasi sospetta, la rivista americana “The Atlantic” lo definisce “il Trump italiano”. E lo nomina sul
campo capo dellInternazionale sovranista in Europa» (Perché Salvini è alla ricerca di una sponda americana, in «Corriere
della Sera», 19 giugno 2019, p. 1. Ma profetico era stato anche Stefano
Folli: «Se incrociamo i programmi di entrambi, le due metà del paese non
stanno insieme» (Salvini-Di Maio. Il governo impossibile, in «la
Repubblica», 12 marzo 2018, p. 24).
Nella sera agostana
della crisi del governo impossibile, Richard Quest, editorialista economico
della CNN, ha dato in sottopancia lopinione degli spettatori sul problema ritenuto
più grave per lUE: Brexit (60%), rischio recessione tedesca (30%), crisi Italia
(10%). Fatti nostri. La concomitanza della nostra crisi dagosto con lacuzie
di Brexit mostra il nostro ruolo ausiliario nella strategia di isolare e sfaldare
lUE. Mediaset si è trasferita in Olanda per la sua legislazione societaria più
favorevole. Nel mondo capitali legali e illegali, anche nostri, sono pronti a trarre
tutto il valore possibile da tutto, in «mercati il cui umore oggi dominante non
è più lautocompiacimento, come nel decennio scorso, ma la paura. Che giorno dopo
giorno è sempre più profonda». «Lestrema ansietà sui mercati azionari può giungere
alla temerarietà: come potrebbero fare quadrare lascesa populista con la paura
della deflazione, ad esempio?» (Markets in an Age of Anxiety, in «The Economist», 17-23 agosto 2019,
p. 9). Senza lUE stati, città, società e mercati europei
sono in offerta speciale. Noi per primi.
Per mangiare alla
tavola del diavolo ci vuole un cucchiaio col manico assai lungo, dice il proverbio.
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