Ledizione
2019 della Biennale Teatro di Venezia mantiene le oscillazioni critiche del
biennio precedente. La direzione artistica di Antonio Latella, dopo aver dedicato le rassegne 2017 e 2018
rispettivamente alla regia al femminile e alla correlazione attore-performer, ha
individuato il tema-guida dellAtto Terzo
nelle Drammaturgie, coniugandolo sulla
pluralità delle scritture sceniche e nellaccezione post-beckettiana, in
particolare del Beckett di Atto senza parole. Nel corso della
rassegna, per quindici giorni, dal 22 luglio al 5 agosto, si sono susseguiti ventotto
spettacoli, tra cui un discreto numero di prime rappresentazioni; come negli
anni scorsi per ciascuno degli artisti ospiti sono stati proposti due o tre lavori,
non sempre recenti, anche se inediti per lItalia. Pur considerando la
complessità del procedimento drammaturgico, lattenzione del festival si è
rivolta alle prove più eccentriche, quelle in cui coesistono una varietà di
forme e linguaggi espressivi; con il risultato di fare emergere, spesso, la
staticità della reiterazione creativa, soprattutto riguardo al medesimo
artefice. Insomma, sembra affiorare una facile, quanto frettolosa, idea-quadro che
tende a collocare la teatralità entro lo schema della performance art, in quel procedimento concettuale che serve a motivare
la volubilità dellarte contemporanea.
La prima indeterminatezza savverte nella selezione
dei premiati: il Leone dargento viene assegnato allolandese Jetse Batelaan, un artista stravagante i cui
spettacoli intendono rivolgersi al pubblico dei ragazzi. In The Story of the Story affastella spunti-personaggi
ritagliati dalla quotidianità e dalla politica, dallambiente e dal costume;
mentre una voce fuori campo sproloquia sullesilio del “racconto”, sulla paura
umana del “nulla”; intanto un gruppo di pagliacci silenziosi smonta le
strutture del palcoscenico, dai fari alla ribalta, fino a straripare in platea.
Il Leone doro è stato attribuito a Jens
Hillje, scrittore, direttore artistico e organizzativo dei
teatri tedeschi, attualmente responsabile del Gorki Theater, fautore del
rinnovamento di interpreti e spettatori. È interessante la sua rielaborazione
di Die
Hamletmaschine, che nel 1977 Heiner Müller ricava da frammento dellHamlet shakespeariano. Stavolta si
tratta di una “riscrittura della riscrittura”, una partitura aspra
e serrata, ricreata da Sebastian Nübling
e recitata da attori-clown provenienti da Siria, Afghanistan, Palestina;
attraverso cinque stazioni e quadri di commento, in stile brechtiano, si accentua
lo smarrimento dellindividuo dinnanzi alla catastrofe dellinnocenza, dinnanzi
allodio che travolge ogni contrada del mondo. Lesito, seppure rimanga distinto
dal modello, non annulla la singolarità della testimonianza.
The Story of the Story di Jetse Batelaan © Biennale Teatro 2019
Sulla
scia di unattenzione tanto emblematica, quanto non eludibile, per la scrittura
di Müller, simile a
uninvisibile linea-guida del festival, è andato in scena Mauser, nella versione del
2017 curata da Oliver Frljić per il Residenz Theater di Monaco di Baviera.
La regia rimarca la disumana contraddizione tra rivolta-Rivoluzione e violenza:
in nome del riscatto collettivo il tribunale rivoluzionario ordina a Mauser, un
killer assassino e ribelle, di sopprimere persone inermi, sospettate di essere nemici
del “popolo”, comè accaduto con le stragi etniche nellex Jugoslavia. Frljić,
originario della Bosnia, inasprisce la fisicità dellazione, tanto che i corpi
nudi delle vittime straripano oltre il palcoscenico, mentre con un atto estremo
lo stesso Mauser si fonde con larma che impugna rivolgendola contro di sé. Mauser di Oliver Frljić © Biennale Teatro 2019
Tra
le sollecitazioni provenienti dalle compagini internazionali si ricorda Estado vegetal firmato dalle cilene Manuela Infante e Marcela
Salinas, questultima anche unica protagonista nei panni di vari personaggi
del lungo monologo sulla vitalità delle piante e sulla loro incessante
metamorfosi. Sul versante dellemarginazione sociale giungono dallAustralia
Love e Shit, le due
proposte di Patricia Cornelius e della regista Susie Dee: nel primo caso emerge la
storia rapida e scarna di un instabile rapporto amoroso tra due ragazze e un
giovane, un piccolo universo ambiguo, inaridito dalla droga, dal tradimento e
dalla degradazione; molto più aspro nel linguaggio risulta Shit (2015), in cui tre donne sfidano il mondo
civile in un crescendo di imprecazioni, esibendo il proprio abbrutimento e la loro
indecenza. Love di Patricia Cornelius © Biennale Teatro 2019
Questa volta è stata ampia e articolata la
presenza alla Biennale dei teatranti italiani; alcune esperienze discendono
dalla “Biennale College”, come nel caso di Cirano deve morire di Leonardo Manzan, regista premiato
nelledizione dellanno scorso. La fonte dispirazione, il Cyrano de Bergerac di Edmond
Rostand, è qui alterata dallirriverenza dei discorsi cadenzati e viene
stravolta dal travolgente ritmo musicale di uno spettacolo-rap, giocando sulle
frasi provocatorie e sui ruoli solitari, affrontati con impegno da Paola
Giannini (Rossana), Alessandro Bay Rossi (Cirano) e Giusto Cucchiarini (Cristiano). Cirano deve morire di Leonardo Manzan © Biennale Teatro 2019
Un fattore critico comune alle nuove
produzioni, alcune delle quali sostenute sul piano produttivo da istituzioni
teatrali nazionali, è dato dalla fretta con cui sono arrivate alla rappresentazione;
molti spettacoli, infatti, risultano incompleti, e non sempre ben coordinati.
La prima assoluta di Nostalgia
di Dio, testo e regia di Lucia
Calamaro, lascia irrisolto sul piano interpretativo lo scambio tra il
pensare e lagire dei suoi quattro personaggi, tra il loro disagio interiore e
la necessità di mantenere viva unaffinità, o di stabilire una relazione. La
vicenda, segnata dai toni quotidiani, tende a stabilizzarsi sullo schema dei
legami abituali, mentre i discorsi insistono sulla litania delle domande senza
risposta: «perché siamo stati creati? Ma, poi, esistiamo davvero?». E così via,
alla stregua della partita di tennis con cui si apre il sipario, una partita
che stabilisce per sempre le singole parti: Francesco (Francesco Spaziani) è il padre separato
che spera di recuperare la stima della moglie; Cecilia (Cecilia Di Giuli)
è la moglie che nasconde la propria insicurezza in una paradossale ricerca
sulla campionatura dei rumori; Alfredo (Alfredo Angelici) è lamico
prete che in nome della fede rifiuta ogni possibile dubbio; Simona (Simona
Senzacqua) è, infine, lamica perennemente indecisa.
Alquanto problematico è risultato il lavoro
di Pino Carbone, anzitutto per lincertezza nel coordinamento tra le funzioni
di autore, regista, scenografo e moderatore scenico del suo ProgettoDue, che realizza il
duetto di BarbabluGiuditta (2010),
scritto insieme a Francesca De Nicolais,
che recita nei panni di Giuditta accanto a Luca
Mancini, e quello di PenelopeUlisse (2017), con Anna Carla Broegg co-autrice e attrice nelle vesti di Penelope
insieme a Giandomenico Cupaiuolo. Sulla scia di citazioni
urlate e di espressioni amplificate da stridii sonori si stemperano le pretese
di un conflitto totale e di un supposto iperrealismo espressivo. Lo stesso vale
per la riscrittura del Cyrano de Bergerac che lo stesso Carbone inscena
sotto il titolo Assedio, manifesto
della frattura che esiste tra la guerra e lamore, tra il conflitto bellico e
lazione poetica. ProgettoDue di Pino Carbone © Biennale Teatro 2019
Infine,
Alessandro Serra è lartefice unico
di un interessante adattamento de Il
giardino dei ciliegi di Čechov,
ospitato nel Piccolo
Teatro Arsenale. Come dabitudine Serra rielabora il testo nella
visione di un tempo perduto, alla ricerca di unatmosfera infantile e
sonnolenta; definisce uno spazio onirico, spoglio e trasparente, in cui trapelano
oggetti antichi e dimenticati; illumina la scena con decisi passaggi dal buio
alla luce; veste i suoi dodici interpreti in modo estremo, in lutto per la
perdita dellinnocenza e, con labbattimento del giardino, della memoria
familiare. Lo spettacolo, che presto si potrà leggere meglio nel corso della
prossima stagione, fa volteggiare i personaggi nella “stanza dei bambini”, alla
stregua di automi meccanici che, di volta in volta, si agitano e si
ricompongono nella cornice di una vecchia fotografia; poi tende a dilatare la
cornice in ogni direzione, per chiudere con la sospensione verticale di una
catasta di sedie vuote, mentre la vita di ciascuno si proietta oltre lantica
camera dei giochi. I protagonisti, dunque, agiscono come fantocci di una
esistenza atrofizzata dalla nostalgia: Valentina
Sperlì è Ljuba la padrona di casa
continuamente in fuga; Marta Cortellazzo Wiel è la figlia Anja; Petra
Valentini è Varja la figlia adottiva; Fabio Monti è Leonid, fratello di Ljuba; Leonardo Capuano
è Lopachin, sonnolento e alticcio; Felice Montervino è lo studente
Trofimov; Massimiliano Poli è il
latifondista Simeonov; Chiara Michelini la governante Charlotta. Si
occupano in vario modo della tenuta Dunjaša (Arianna Aloi), il contabile
Epichodov (Massimiliano Donato), il cameriere Jaša (Andrea Bartolomeo) e il cadente maggiordomo Firs (Bruno
Stori).
Assedio di Pino Carbone © Biennale Teatro 2019
Da
ricordare le numerose iniziative collegate alla “Biennale College”: intanto,
lappuntamento mattutino con le letture de Il
lampadario, titolo che ha raccolto tre proposte di scrittura drammatica sul
tema dei rapporti familiari di Pier
Lorenzo Pisano, Dario Postiglione
e Caroline Baglioni (vincitrice del
concorso); nella sezione “Registi” ha prevalso Marina
Badiluzzi con il lavoro Anastasia:
entrambi i
testi saranno allestiti nellambito del 48° Festival Internazionale del Teatro 2020.
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