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Da Mariolino per Fellini

di Mario Garriba
  Fellini
Data di pubblicazione su web 31/07/2019  

Il 28 giugno 2019 la Biblioteca Umanistica dell’Università di Firenze ha dedicato una serata a Federico Fellini: un incontro per ripercorrere storie, memorie e ricostruzioni legate a “8 ˝” (1963) e “Amarcord” (1973) e un’occasione per riascoltare le musiche indimenticabili di Nino Rota. Durante la serata è stata letta una vivace testimonianza di Mario Garriba, regista, attore, sceneggiatore, docente del nostro Ateneo e assistente di Fellini all’epoca di “Amarcord”. Riproponiamo qui il suo scritto, ormai introvabile, pubblicato nel 2001 ne «I quaderni» realizzati dalla Bottega del Cinema in collaborazione con la Cineteca di Firenze (pp. 11-12).


«Mariolino per favore, mi sposti più in là i chierichetti e gli orfanelli. Grazie» (funerale di Miranda madre di Titta) la voce di Fellini mi raggiungeva sempre attraverso un megafono. Mi guardavo attorno sorpreso ma lo trovavo quasi subito, seduto dietro la sua cinepresa. Ci siamo parlati sempre a centro metri di distanza o quasi. Come assistente alla regia mi colpiva soltanto che in mezzo a tanta gente ricordasse il mio nome, tanto da renderlo affettuoso o ironico. Come facesse non lo saprò mai. A me riconoscerlo era facile: sembrava una fotografia. Spesso di una fotografia si dice “sembra vero”. Lì era il contrario. Lo avevo visto così tante volte sulle illustrazioni delle riviste o dei libri, conoscevo così bene i suoi film, anche quelli non realizzati, che mi sembrava di averlo già visto. Col cappello, senza cappello, i capelli spettinati, giacca e cravatta, cravatta un po’ allentata sul collo, megafono sempre in mano; secondo me “girava” così anche a casa sua, oltre che sul set. Allora senza sapere perché, spostavo più in là il parroco in tunica bianca e quattro chierici davanti al carro funebre, poi il tutore con undici orfanelli che dietro camminavano a due a due. Tutti mi chiedono ancora oggi com’è stato lavorare con Fellini. Non so rispondere. «An m’arcord gnint». Io dalla mia posizione potevo soltanto sventolare, stando fuori campo, una bandierina gialla per l’azione e una rossa per lo stop, muovendo o fermando le comparse. Un domatore di comparse. E quando mi domando la differenza che c’è tra un aiuto regista e un assistente, rispondo ancora: l’assistente compra la Coca Cola e l’aiuto la stappa. Tanto per intenderci subito sul concetto di arte. Sapevo di essere dentro una realtà filmabile, ma non riuscivo a capire l’immagine. Io il “Borgo” intero (replica esatta di piazza della Repubblica di Rimini con i portici) l’ho visto soltanto a film finito nel buio di una sala cinematografica. Invece sul set tutto cambiava continuamente: case, palazzi, strade ed altre strade. Poche volte siamo usciti da Cinecittà: sul molo e sul mare di Ostia o nelle campagne e prati sotto i castelli romani. Una rapidità o discontinuità che mi confondono ancora la memoria. Soltanto Fellini sapeva e vedeva tutto.

Ogni tanto, durante le pause, mi avvicinavo alla cinepresa e spiavo curioso i discorsi tra Fellini, Rotunno, Donati e Maccari (operatore alla macchina), ma non parlavano mai di fotografia o di scenografia, ma di luce, di spazio, di gesti e non di recitazione. Mi allontanavo deluso. Restavamo anche giorni interi senza girare, ma facendo soltanto delle prove. Fellini ricostruiva tutta la scena con gioia, rabbie silenziose, dubbi. Voleva controllare ogni particolare prima di iniziare le riprese, riproduceva la sua realtà e poi sceglieva. Guardava tutto dall’alto di un piccolo dolly e poi scendeva zitto e, imprevedibile, ordinava un carrello laterale a seguire con un obiettivo normale.

Due o tre volte soltanto ho parlato con Fellini senza megafono. La prima fu quando gli fui presentato nei viali di Cinecittà mentre si terminava la preparazione delle scenografie in esterno, ma qualcuno doveva avergli già detto qualcosa di me. «So che sei svelto. Speriamo… perché io sono molto lento». Un’altra volta quando il film fu sospeso per riprendere qualche mese dopo: «Mi dispiace per questa pausa. Tu sei stato svelto. Ma io ho bisogno di fermarmi per poter sognare. Mariolino capisci vero?». Allora no. Oggi sì.  




 

La locandina della 
Università di Firenze, Biblioteca umanistica, 
28 giugno 2019





Mario Garriba
 
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