Quando Sandro dAmico
lesse per la prima volta le poesie di Andrea
Camilleri gli tornò in mente un compagno di liceo e pensò di essersi
sbagliato sul suo conto, di averlo, insomma, mal giudicato, se era capace di
scrivere poesie così. Quando poi incontrò lAndrea Camilleri autore di quei
versi, lui pure suo coetaneo, ma siciliano, capì trattarsi di un caso di
omonimia.
Il nostro Andrea Camilleri era nato il 6 settembre 1925 in Sicilia,
a Porto Empedocle, nella provincia di Agrigento. La sua famiglia era intima di
un grande conterraneo, Luigi Pirandello.
Lì Camilleri aveva frequentato le sue stesse scuole, elementari e medie, nel
frattempo intitolate allautore dei Sei
personaggi. Ed era un punto in comune con Sandro dAmico, il cui padre, il
critico Silvio, conosceva Pirandello e ne condivideva la passione per il
teatro. Se poi aggiungiamo che lo stesso Sandro aveva sposato la nipote del
celebre drammaturgo siciliano, Maria
Luisa Aguirre, ci appare chiaro che i due erano destinati a incontrarsi.
Come Camilleri si sia accostato al teatro è lui stesso a
raccontarlo nel numero monografico, Camilleri
sono, della rivista «MicroMega» (5, 2018), laddove cinforma di avere
scritto in quel «dannato» 1947 un atto unico, Giudizio a mezzanotte, e di averlo inviato a Firenze, al premio
Faber, la cui giuria era presieduta da Silvio dAmico e composta, tra gli
altri, da Guido Salvini e da un
giovanissimo Luigi Squarzina.
Accadde che fu proprio Giudizio a
mezzanotte a venire premiato. Camilleri, recatosi a Firenze per ritirare i
soldi del premio, durante il viaggio di ritorno in treno, rilettosi il suo
testo, ebbe a domandarsi: «ma che schifezza hanno premiato?!», per poi gettarlo
dal finestrino, ponendo così fine sul nascere alla sua carriera di drammaturgo.
Qualche mese dopo fu Silvio dAmico in persona a offrirgli un posto
allAccademia Nazionale dArte Drammatica, con una cospicua borsa di studio,
che gli avrebbe consentito di trasferirsi a Roma.
Nel dicembre 1949 Camilleri entrò in Accademia, ma ne venne espulso
nel settembre del 50. Che cosera accaduto è ancora lui a raccontarcelo.
Durante una trasferta degli allievi dellAccademia guidati da Orazio Costa per rappresentare nel
contesto del Festa del Teatro di San Miniato Le Petit Pauvre ovvero Il
Poverello di Assisi di Jacques
Copeau, i maschi vennero ospitati nel locale convento dei francescani,
mentre le ragazze erano alloggiate presso le suore. Camilleri, allepoca
fidanzato con una delle attrici, grazie alla complicità di Rossella Falk riuscì a procurarsi la chiave della porta di accesso
al convento delle clarisse, dove nottetempo sintrufolava. Senonché una mattina
i due giovani amanti vennero sorpresi nudi, ancora addormentati, dalla madre
superiora. Apriti cielo: lo scandalo che ne seguì portò allespulsione di
Camilleri, anche se Costa continuò a tenerlo presso di sé come aiuto regista.
Sei mesi più tardi lo ritroviamo nella redazione dellEnciclopedia dello Spettacolo, dove è
stato Sandro dAmico a chiamarlo e a raccontarmi che ogni qualvolta il padre Silvio
si affacciava in redazione, dopo essere passato davanti alla stanza di
Camilleri, poneva al figlio redattore capo sempre la solita domanda, in una
sorta di divertito tormentone: «ma Camilleri che fa?». Camilleri era entrato a
far parte di quella squadra di giovani talenti neppure trentenni che
annoverava, tra gli altri, Squarzina, Angelo
Maria Ripellino, Cesare Garboli,
Elena Povoledo, Francesco Savio (alias Francesco Pavolini), la stessa Maria Luisa
Aguirre dAmico. Furono loro, insieme con uno stuolo di collaboratori, a dare
vita allEnciclopedia dello Spettacolo, lunica al mondo degna di questo nome.
Quando lesperienza dellEnciclopedia,
giunta al terzo volume, sinterruppe bruscamente con la fuoruscita in massa dei
redattori, contrari al ridimensionamento del progetto originario, Camilleri venne
accolto dalla Rai, ma non subito, ché, in quanto schedato come comunista, pur
vincitore del concorso di ammissione, rimase in attesa della chiamata sino al
1957. Non per questo venne meno il suo interesse per il teatro: nel 1958 fu il
primo regista in Italia a mettere in scena Finale
di partita di Samuel Beckett al
Teatro dei Satiri di Roma, manifestando una predilezione per il teatro
dellassurdo con le sue regie di Ionesco
e Adamov. Quando si accinse a
inscenare Un uomo è un uomo di Bertolt Brecht, a impedirglielo fu linterdetto del Piccolo Teatro di
Milano che, a torto o a ragione, esercitava il monopolio sul teatro brechtiano
in Italia.
Ma il teatro continuò a far capolino anche nel suo esercizio
radiofonico e televisivo alla Rai, non necessariamente e solo nella programmazione
teatrale – la cui produzione fu sovente a lui demandata – ma magari dissimulato
negli sceneggiati televisivi dellepoca, primi fra tutti quelli del Commissario
Maigret. Lincontro con la scrittura di Simenon
rappresentò per Camilleri unoccasione di studio e di apprendistato, destinata
a tornargli utile allatto della creazione del Commissario Montalbano. Sul
piano della recitazione tali sceneggiati costituiscono tuttora una fonte di
piacere inesauribile, in forza dellimpostazione teatrale dellintero impianto
narrativo. La televisione delle origini venne fatta dagli attori di teatro che,
a loro volta, ne derivavano una popolarità presso il grande pubblico sino
allora inimmaginabile. Fu in televisione che le nuove generazioni di spettatori
familiarizzarono con i volti di quegli interpreti, che ritrovavano sui
palcoscenici nazionali. Maigret rappresentò anche loccasione di ridare vita a
formazioni teatrali pregresse, come la Tofano-Maltagliati-Cervi che, a ruoli nel frattempo invertiti, possiamo vedere in
azione in uno degli episodi più fortunati, in due puntate: Laffare Picpus. È un impagabile divertimento osservare i tre
attori nuovamente insieme offrire il saggio di una bravura le cui radici
affondavano nellaffiatamento di un tempo. Ancora capita di vedere Gino Cervi,
nei panni del celebre commissario – la migliore incarnazione di Maigret a detta
dello stesso Simenon – confrontarsi con Sergio Tofano, stizzoso e petulante
giudice in pensione. Ed è facile immaginare il divertimento di Camilleri nellorganizzare
quel tipo dincontri, che si traduce oggi nel nostro piacere nel rivedere in
azione lacerti di memoria di un teatro lontano, con quella lentezza che forma
la gioia di quanti siano ancora in grado di apprezzarla.
Ed è sempre il teatro a fornirci la chiave della fortuna del Commissario
Montalbano, che con il teatro condivide i tempi allentati: magari non così
lenti come nel Maigret televisivo, ma certo quanto di più lontano dagli
incalzanti telefilm americani, del tutto privi di quegli inseguimenti
automobilistici che, insieme con le proverbiali scazzottate, costituiscono il
topos ripetitivo di tante produzioni doltreoceano. Docente al Centro
Sperimentale di Cinematografia e, ancor più a lungo, allAccademia Nazionale
dArte Drammatica Silvio dAmico, è dal vivaio di questultima che Camilleri ha
estratto le due incarnazioni del Commissario Montalbano: Luca Zingaretti e Michele
Riondino. Due attori originati dal teatro, il cui volto, non ancora usurato
dalla televisione, sarebbe diventato popolare proprio grazie a Montalbano per Zingaretti
prima e poi per Michele Riondino con il giovane Commissario. Così come dal
teatro provengono i componenti storici della squadra, Cesare Bocci e Peppino
Mazzotta, senza tralasciare il Catarella di Angelo Russo: sorta di maschera della Commedia dellArte che
qualcuno ha osservato rimare con Pulcinella, servitore devoto dello Stato, ma
ancor più di Montalbano, quanto Sancho Panza lo è di Don Chisciotte. La
riconoscibilità di quei personaggi, fedeli al loro carattere, capaci, con il
passare del tempo, di acquisire anche una sfumatura di autoironia,
indispensabile alla loro durata, si accompagna con laltro ingrediente teatrale
fondamentale: il ricorso alle risorse locali, rappresentate dalle innumerevoli
compagnie dialettali siciliane, fonte inesausta di caratteristi di vaglia. Nel
2018 poi, in una delle ultime stagioni di Montalbano, il teatro si è imposto da
sé con la storia, parallela a quella centrale dellepisodio intitolato Amore, di due anziani coniugi attori che
declamano Pirandello allombra del Caos, luogo natale dello scrittore isolano.
Al pari di Pirandello, anche Camilleri si è costruito una sua
lingua: se il primo dal teatro dialettale era passato a una lingua disseminata
dinciampi che ne determinavano il passo recitativo, questultimo ha voluto
colorire il suo italiano di inflessioni dialettali, sino a forgiarsi una lingua
di propria invenzione, come la Vigàta immaginaria: frutto di un puzzle della
memoria, paese ad alta intensità di azioni criminali che, a ogni nuovo
episodio, ci viene incontro vista dallalto, a volo duccello, come quella
Parigi le cui uniche riprese in esterno costituivano lincipit delle regie televisive di Mario Landi delle inchieste di Maigret.
«Per un Montalbano diciotto capitoli ciascuno di dieci
pagine. Ogni pagina ventitré righe. Un romanzo ben congegnato sta in 180
pagine. Per il racconto, ventiquattro pagine, o quattro capitoli di sei pagine
luno. Se non sento questa mia metrica qualcosa non va», così ha detto
Camilleri, affermando che la sua scrittura si fonda su una struttura ordinata e
risponde a un ritmo determinato, così come accade per il buon teatro, dalle
cadenze e dai tempi collaudati. Ma, a ben vedere, la stessa oralità della sua
scrittura, secondo Angelo Guglielmi
(Robinson, supplemento culturale de «la
Repubblica», 20 luglio 2019), spiega come mai a Camilleri, simile in questo a
un antico Omero, persa la vista, sia bastato dettare i suoi ultimi romanzi.
Anche il teatro è una «costruzione narrata» e,
in questo, perfettamente congeniale a Camilleri, che al teatro è tornato,
interpretando a Siracusa Tiresia, lindovino cieco che continua a vedere e
leggere il mondo grazie alla sua vista interiore. E sul palcoscenico delle
Terme di Caracalla lo scrittore stava per salire come interprete del suo ultimo
monologo Autodifesa di Caino, se la
morte non lavesse fermato, impedendogli di realizzare quello che, forse, era
il suo sogno segreto, suo e di tanti uomini di teatro: morire in scena, come Molière.
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