Unica
opera a vivere di unesistenza autonoma al di fuori del Ring, Die Walküre deve la
sua popolarità allaccattivante intreccio fra necessità e sentimento, al
groviglio inestricabile fra la vicenda damore e la tragedia del potere. I
personaggi appaiono intrappolati in un dedalo di istanze morali antitetiche, la
cui inconciliabilità costituisce la sostanza del conflitto. Di questo dramma
tutto interiore Federico Tiezzi è
grande interprete. Il suo allestimento, non a caso vincitore del premio Abbiati
nel lontano 2006, torna al San Carlo di Napoli dove fu acclamato allora.
La
grandezza del teatro wagneriano risiede nella capacità di evocare la tradizione,
costruendo un universo di enorme impatto sullintera
cultura occidentale. Nellallestire il dramma, Tiezzi attinge dalla propria esperienza maturata nel campo del teatro
di prosa. Per questo sottolinea la fragilità di Siegmund, eroe perseguitato
destinato alla sconfitta, mentre nellamore per Sieglinde evidenzia leffimera
ricomposizione dei legami familiari, destinata a infrangersi di fronte alle
incertezze di Wotan. Analogamente al Tristan,
il trasporto passionale diviene identificazione assoluta con laltro, simbiosi
di due identità che in realtà sono una cosa sola. Fulcro del dramma il rovello
amletico di Wotan, diviso fra la necessità di preservare la libertà della
stirpe da lui stesso generata, unica possibilità di salvezza per gli dei, mantenendo nel contempo fede alle leggi delle
quali dovrebbe essere garante, come gli ricorda con fermezza la consorte
Fricka. In questa trama il dio resterà
impigliato, condannato nel prosieguo del Ring
a percorrere la terra in veste di viandante, abdicando suo malgrado a dirigere
i destini degli uomini.
Un momento dello spettacolo © L. Romano
Lingresso
del peccato nel mondo, rappresentato dal rifiuto dellamore e dal furto
delloro operato da Alberich nel prologo della Tetralogia, genera la caduta nel tempo, per usare un titolo caro a Cioran.
La materia dolente delluomo è contrapposta
allaura inattingibile della deità, non fossaltro che questultima basa la sua
sopravvivenza sulla prima. Qui Wagner
dosa perfettamente il peso dei due elementi. Nel seguito del Ring lumano scalzerà il divino dal suo
trono, fino allincendio del Walhalla che solo può permettere la nascita di un mondo rinnovato.
Un
dramma tutto interiore, dicevamo. Nella visione di Tiezzi il mito resta sullo
sfondo, evocato in un breve momento dalle prospettive cosmiche di un fondale.
Per il resto ci troviamo di fronte a una tragedia familiare, quasi immemore
della distanza che separa gli uomini dalle divinità. In questottica il
monologo di Wotan richiama il Lear
shakespeariano, quelloffuscamento dei sensi che perturba la natura stessa. La
parziale cecità del dio ricorda non solo
linfausta vicenda del re di Britannia, ma anche la menomazione di Edipo. Il
dramma musicale affonda le proprie radici nelle origini del pensiero
occidentale e della tragedia classica.
Un momento dello spettacolo © L. Romano
Tiezzi riduce la complessa cosmogonia wagneriana allessenziale, spogliandola degli inutili orpelli, mantenendo però simboli quali la lancia e la spada. Una griglia metallica costituisce lelemento portante delle scenografie pensate da Giulio Paolini. Pochi elementi simbolici come il frassino in forma di focolare nel primo atto, le pietre nel secondo e le membra frantumate degli eroi nel terzo, bastano a definire le coordinate del mito. Per il resto tutto è basato sulla recitazione, sugli sguardi, sulla gestualità. Il risultato è di grande impatto, complice anche lestrema attenzione rivolta ai movimenti scenici e labilità attoriale della compagnia di canto. Belli i costumi di Giovanna Buzzi, perfettamente in linea con la visione registica. Un allestimento invecchiato benissimo, anzi il tempo sembra avergli donato ulteriore pregnanza.
Gli
innumerevoli appigli intellettuali, ad esempio linnamoramento dei gemelli
Velsunghi indotto dallidromele quasi fosse il filtro del Tristan, arricchiscono il tessuto della narrazione ma non
precludono il godimento anche al profano. Esperienza valorizzata dallottimo
esito musicale. Ammirevole la direzione di Juraj
Valčuha per attenzione al dettaglio, equilibrio e continuità narrativa. La
sua lettura sfugge al monumentale eccessivo, privilegiando lo scavo psicologico
dei personaggi. Apprezzabile il contributo dellorchestra, se si esclude
qualche imprecisione negli ottoni che comunque non sciupa leffetto
complessivo.
Un momento dello spettacolo © L. Romano
Si è
già accennato alle doti del cast nel seguire le indicazioni registiche. Dal
punto di vista vocale, impressiona il Wotan di Egils Silins per sicurezza e tenuta complessiva. Il colore non
sarebbe ideale per le telluriche esternazioni del dio,
ma il cantante lettone si mostra interprete intelligente. Il suo è un Wotan
lacerato ma anche autorevole, quasi reticente a far trasparire una eccessiva commozione nel celebre addio a
Brünnhilde. Questultima è impersonata da unottima Irene Theorin, in verità un poco scomposta nellesordio del secondo
atto, con il canto della Walkiria affrontato con impeto eccessivo, e appena
affaticata nella conclusione, ma chi non lo sarebbe dopo tali cimenti.
Lumanizzazione del mito trova interprete sensibile in Robert Dean Smith, un Siegmund meno eroico del solito ma
profondamente toccante nei suoi accenti malinconici e dolorosi. La sua rinuncia
alleterna voluttà per amore, contrapposta allinversa negazione di Alberich, è
momento di estrema commozione. Gli sta accanto la Sieglinde di Manuela Uhl, dagli slanci svettanti ma
a volte eccessivamente scomposti. Bravo Liang
Li nel rendere la caparbia protervia di Hunding. Eccellente Ekaterina Gubanova (Fricka) nel
restituire la ferrea determinazione della donna delusa e indignata verso il
divino consorte. Da sottolineare infine la bella prova delle Walkirie, mai
forzate nellardua scrittura del terzo atto. Teatro pieno e grande successo di
pubblico.
Spettacolo visto il 16 maggio 2019 al Teatro San Carlo di Napoli.
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