A lungo esclusa dal repertorio per le proprie peculiarità formali e
stilistiche, osteggiata dai moralisti dellepoca per le derive licenziose del
libretto, Semele è indubbiamente uno dei frutti più
straordinari della creatività haendeliana. Merito di John Eliot Gardiner averla inserita in un breve tour europeo che dopo Parigi,
Barcellona, Londra e Milano, ha toccato anche Roma, approdando allAccademia di
Santa Cecilia. Unoccasione importante visto che, dopo gli anni “orgiastici”
della riscoperta barocca, lattenzione attorno a questo repertorio, e in
particolare riguardo alla produzione teatrale di Haendel, sta
colpevolmente scemando, almeno nel nostro paese.
Nella sua ansia sperimentatrice, il compositore di Halle appare qui alla
ricerca di una formula originale per i propri drammi musicali. Che Haendel
abbia guardato avanti con grande lungimiranza lo dimostra ad esempio lo
splendido quartetto del primo atto, un brano davvero inconsueto per lepoca.
Senza spingerci oltre in azzardati accostamenti con acquisizioni riformistiche
di là da venire (Wagner su tutti), Semele è
unopera inglese frutto della fusione di diverse tradizioni, dal masque allopera
italiana, sino alle nuove coordinate oratoriali che lo stesso Haendel stava
contribuendo a definire in maniera decisiva. Il suo carattere straordinario
deriva proprio dallo sfuggire a qualsiasi ansia classificatoria coltivata da
pedanti musicologi.
Un momento dello spettacolo © Musacchio & Ianniello Comunque, senza voler sovraccaricare lopera con interpretazioni che non le
appartengono, non si può fare a meno di notare come laspirazione verso
limmortalità coltivata dalla protagonista evochi tematiche letterarie di
enorme respiro. Nella stessa maniera la pretesa di superare i limiti terreni,
evidente nella volontà espressa da Semele di osservare il proprio amante Giove
nella sua vera forma e non in sembianze umane, richiama alla mente il divieto violato
da Elsa nel Lohengrin wagneriano. I due livelli dellumano e del
sovrannaturale restano impermeabili luno allaltro. Voler infrangere questa
regola porta Semele alla rovina, ed infatti viene incenerita dallapparizione
fiammeggiante del Dio. Al contempo, bisogna sottolineare la grande abilità di
Haendel nel rendere umane le passioni che abitano i protagonisti. Quando Giove
comprende di dover abbandonare Semele al proprio tragico destino non è un dio
imperturbabile, ma un uomo addolorato e sofferente. Nella stessa maniera
Giunone si comporta come unamante pronta a tutto pur di riconquistare il
proprio bene, punendo laudace rivale. Lesecuzione in forma semiscenica aderisce perfettamente al carattere
ibrido di questo lavoro. Il regista Thomas Guthrie costruisce
un perfetto meccanismo di interazione fra coro, orchestra e cantanti, lavorando
sulla gestualità e sullespressione. Il contesto mitico e sovrannaturale viene
tradotto in maniera totalmente umana, seguendo le autentiche intenzioni del
compositore, perché Semele è prima di tutto una tragedia
damore. Si pensi allinizio del terzo atto, con i fagotti accovacciati a
intessere ovattati arabeschi sul pigro dio del Sonno, il quale si rianima solo
quando Giunone promette di concedergli le grazie della ninfa Pasitea se
accetterà di porsi al suo servizio.
Un momento dello spettacolo © Musacchio & Ianniello
Motore dellazione è dunque la passione erotica, che permea di sé lintera
trama. Altro registro non trascurabile è quello dellironia, del disincanto con
il quale lautore tratta la materia mitica, restituito in maniera esemplare.
Suggestive le luci di Rick Fisher, usate con sensibilità cromatica;
adeguati i costumi di Patricia Hofstede. Pochi elementi scenici
definiscono il dramma, come lo specchio usato da Giunone per adulare e
ingannare Semele, o ancora il divano allusivo del sentimento damore e della passione
erotica.
Rispetto alla nota incisione discografica dellormai lontano 1981, Gardiner
dimostra di aver maturato una visione se possibile ancor più frastagliata e
teatralmente viva dellopera, sublimando la tradizione esecutiva in una maniera
vibrante e coinvolgente. Gli English Baroque Soloists lo seguono come fossero una cosa sola,
offrendo unesecuzione ariosa, lucente. La musica spicca con una naturalezza
estrema. Addirittura straordinaria la prova del Monteverdi Choir, sempre
limpido nelle trame contrappuntistiche e perfetto nelle dinamiche, toccante
nellintervento che chiude la tragedia. Lestasi sensuale racchiusa nella
musica di Haendel non potrebbe trovare incarnazione migliore.
Un momento dello spettacolo © Musacchio & Ianniello Cast
perfettamente allaltezza della situazione. Louise Alder incarna una
Semele sensuale e vanitosa, fragile nella sua umana debolezza. La voce,
luminosa e agilissima, è sorretta da una musicalità invidiabile. Un gradino al
di sotto il Giove di Hugo Hymas, stilisticamente inappuntabile e
perfettamente a proprio agio nelle colorature, ma anonimo nel timbro e un po
troppo esile per rendere pienamente il carattere del dio. Degno di nota
listrionico talento di Lucile Richardot, impegnata nel duplice
ruolo di Ino e di Giunone, dal fraseggio a volte sopra le righe, ma comunque
efficace, e dalla verve attoriale irresistibile. Gianluca Buratto (Cadmus
e Somnus) sfoggia una voce ampia e ben timbrata, anche nel grave. Esemplare il
suo risveglio allinizio del terzo atto, quelloscillare fra realtà e sogno che
sfocia poi in una spassosa esternazione da vero basso buffo. Ottimo Carlo
Vistoli (Athamas), in particolare nella sua aria conclusiva, risolta con
spigliato virtuosismo. Perfetta Angela Hicksnel ruolo di Cupido,
limpida e aggraziata, brava Emily Owen (Iris). Apprezzabile infine
lApollo di Peter Davoren nel suo breve intervento. Unovazione
interminabile, assolutamente meritata, ha salutato tutti i protagonisti.
Spettacolo visto l'8 maggio 2019 all'Auditorium Parco della Musica di Roma
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