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La guerra vista dagli occhi delle donne

di Antonia Liberto
  Troiane. Frammenti di tragedia
Data di pubblicazione su web 11/04/2019  

Luci di sala ancora accese, sul palco avanza una donna che porta con sé un cane. Hanno entrambi un incedere stanco. La donna è Ecuba, che dà il via alla messinscena della celebre tragedia euripidea Le troiane nella versione di Mitipretese. Protagoniste assolute quattro donne che, sebbene già sconfitte, continuano a combattere, senza altre armi che la propria dignità. Sono troiane illustri cadute prigioniere dei greci, che aspettano di conoscere il loro destino ora che gli uomini – mariti, figli e fratelli – sono stati uccisi in guerra. In un tempo sospeso, cristallizzato come in una fotografia, raccontano la storia che le ha appena travolte, come se stessero cercando di fare ordine, di trovare un motivo all’origine delle loro sventure.

La riscrittura di Mitipretese restituisce uno spaccato della loro vicenda. Già dal titolo Troiane. Frammenti di tragedia si può intuire la volontà del gruppo teatrale da un lato di mostrare una realtà plurale, dall’altro di raccontare solo una parte della storia. Gli uomini e gli dei infatti sono qui “motore assente” di un universo tragico tutto al femminile, in cui le donne sono vere e proprie eroine che vanno incontro alla loro sorte senza poter né voler fare nulla, sullo sfondo di una patria, Troia, distrutta, abbandonata dalla fortuna e dalla speranza. Di questo spettacolo forte e amaro Mitipretese firma sia la drammaturgia, che ibrida testi classici (da Omero a Seneca, da Ovidio a Licofrone, fino alla versione moderna delle Troiane di Sartre), sia la regia, scrivendo uno spettacolo che, a tratti, modernizza il linguaggio per non perdere l’aderenza all’attualità.



Un momento dello spettacolo
© Tommaso Le Pera

Vere coprotagoniste della scena, ciascuna delle quattro attrici si distingue per l’acuta e precisa caratterizzazione del proprio personaggio, rivelando capacità attoriche specifiche e definite. Per ognuna di esse c’è almeno una scena di bravura, un’“aria da baule” che rimane indelebile nella mente dello spettatore. Una splendida Alvia Reale interpreta Ecuba, la regina-madre che non perde mai la sua dignità, seppure in condizione di sudditanza; è indimenticabile il momento in cui dolente prende in braccio il corpo senza vita del nipotino Astianatte, simboleggiato in scena da un piccolo giubbotto imbottito, in un breve ma denso monologo pieno di pathosManuela Mandracchia è Cassandra, la profetessa che verrà assegnata prigioniera ad Agamennone, edotta ma ingenua. Mimando i festeggiamenti di un finto matrimonio regale che non avverrà mai, l’attrice si misura con una vera e propria “scena di pazzia”, contorcendo violentemente il corpo in spasmi finché calmata dalle altre si addormenta. Sandra Toffolatti è un’Elena bifronte, odiata da tutti perché causa della guerra, ma che lascia intravedere il lato umano. La sua scena clou si ha quando, dopo essere stata quasi affogata, rivendica con il fiato corto di essere solo un capro espiatorio, un mero pretesto per dare inizio alla violenza, e non la vera causa della sciagura dei troiani. Corinna Lo Castro è Andromaca, moglie devota e madre disperata che, quando si vede portato via il proprio bambino per l’unica colpa di essere figlio di uno dei più valorosi condottieri troiani, interpreta un sofferente monologo (rivolto a un fanciullo assente in scena) che risuona come un disperato addio.

Le quattro protagoniste si mostrano al pubblico come archetipi delle vittime involontarie di ogni guerra e ci ricordano come i veri vinti non sono i combattenti sconfitti ma i popoli, che pagano le conseguenze di azioni spesso più grandi di loro. «Ci presero ogni notte» cantano, in una sorta di parodo in cui, in coro e con un filo di voce, mostrano tutto il dolore di un abuso reiterato e mai finito, come se stessero vivendo un incubo che ogni notte ritorna, sempre uguale e vivido. Questi ritratti, che hanno la profondità di scavi psicologici nei personaggi euripidei, attraversano luoghi e tempi arrivando fino a noi spettatori. Il discorso tragico diviene esemplare perché universale, legato a un tema primigenio e irrisolto: la fragilità dell’umano.

La scena abbastanza spoglia (tranne che per qualche seduta e un bacile di acqua) e i costumi essenziali (curati da Cristina Darold), piuttosto che dare informazioni su un’epoca o su un luogo, concorrono alla creazione dell’archetipo. I toni dominanti sono quelli del grigio e del bianco sporco; solo il vestito della peccatrice Elena è rosso. Unico elemento simbolico è, sul fondo, una montagna di abiti stropicciati accatastati su un lungo tavolo, che le attrici maneggiano, indossano, spostano continuamente. Un’immagine che richiama subito alla mente la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto in cui la figura femminile, così come le protagoniste dello spettacolo, con un po’ di vergogna guarda i panni sporchi della società occidentale.



Un momento dello spettacolo
© Tommaso Le Pera

In questo non-luogo in cui i personaggi sono intrappolati si fanno più evidenti anche i loro rapporti di forza, di amore e odio: Elena accusata da tutte; Ecuba che da buona madre ferma la crisi epilettica della figlia Cassandra, ingenua sposa bambina; Andromaca che cerca conforto nelle altre. Tutto è detto, tutto è palesato davanti ai nostri occhi, nudo e crudo senza grandi mediazioni se non il linguaggio lirico, che è forse l’unica nota stonata rispetto al trattamento chirurgico e violento dei sentimenti esercitato tramite gesti scattosi. I “frammenti” mostrano al pubblico punti di vista diversi, esprimendo ciò che Karl Jaspers nel suo saggio sul tragico descrive come la «scoperta fondamentale della coscienza tragica», ossia «la molteciplità del vero, la sua non-unità» (K. Jaspers, Del tragico, Milano, SE, 1987, p. 39).

La scelta di molteplici prospettive soggettive e al femminile è coerente con il percorso artistico di Mitipretese, gruppo teatrale fondato nel 2006 grazie alla felice unione delle quattro interpreti di questo spettacolo, attrici già affermate con una lunga storia professionale alle spalle. Dopo aver lavorato con i più grandi registi, Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres hanno deciso di mettere in comune le proprie esperienze creando un percorso drammaturgico collettivo dedicato alle tematiche femminili. Si pensi a Roma, ore 11 (2006), ironico e amaro spaccato della condizione della donna negli anni ’50 in Italia, o al più bruciante Festa di famiglia (2009), che punta l’obiettivo su gioie e dolori di una madre e le sue tre figlie.

In Troiane. Frammenti di tragedia, Mitipretese si misura con il dolore, eliminando l’aspetto gaio sempre presente negli altri lavori e riflettendo piuttosto sul concetto di “tragico” come strumento di immedesimazione, alla ricerca di una forte partecipazione emotiva dello spettatore.


Spettacolo visto il 28 marzo 2019 al Teatro Metastasio di Prato.



Troiane. Frammenti di tragedia
cast cast & credits
 


Un momento dello spettacolo visto il 28 marzo 2019 al Teatro Metastasio di Prato
© Tommaso Le Pera

 
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