A raccontarne la trama potremmo parlare del film
di Nadav Lapid come di un bellissimo
soggetto pieno di rabbia e di intelligenza. Un giovane israeliano (facilmente
descrivibile come alter ego dellautore: nato a Tel Aviv dove si è laureato in
filosofia, poi militare, poi studente parigino, poi nuovamente in patria
studente alla scuola di cinema) lascia il suo paese. Ne ha tutti i motivi,
nulla di quello che sta succedendo in patria gli piace e così cerca di trovare
il suo ubi consistam in Francia patria elettiva dei diritti delluomo.
Una scena di Synonymes © Guy
Ferrandis / SBS Potremmo dire che linizio è accattivante. Il
protagonista entra in un elegante appartamento parigino grazie ad una chiave
nascosta dinanzi alla porta, fa una doccia e allimprovviso, nudo e
infreddolito, scopre che gli hanno rubato vestiti e zainetto. Nudo. Solo. In
una città sconosciuta. Ottimo inizio quel giovane corpo che corre affannato
lungo le ampie scale elicoidali.
Una scena di Synonymes © Guy
Ferrandis / SBS
Peccato
che il film non finisca lì. E ci imponga per circa centotredici minuti una
serie indigesta di velleità sociologiche e\o cinefile che hanno certamente
grande risonanza nel vissuto dellautore ma nessuna novità per locchio dello
spettatore.
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