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La Grande Scuola

di Gabriella Gori
  La Bajadère
Data di pubblicazione su web 01/10/2018  

Un trionfo. Un tripudio di applausi riempie il Teatro alla Scala e sommerge il Corpo di Ballo del Teatro Bol’šoj e la protagonista de La bayadère di Jurij Grigorovič. Un poderoso ballet à grand spectacle che ha trascinato gli spettatori in un Oriente misterioso, misterico, carico di fascino e sensualità. 

Per gli amanti del balletto classico impossibile non essere presenti per almeno due motivi: vedere all’opera uno degli organici più famosi al mondo, assente da Milano da undici anni (l’ultima apparizione risale al 2007 al Teatro Arcimboldi) e assistere per la prima volta sulla scena scaligera a questo celebre balletto epico sull’amore tragico e impossibile tra la bayadera Nikiya e il guerriero Solor.

La bayadère è un capolavoro. Creato da Marius Petipa nel 1877, rappresentato la prima volta al Teatro Bol’šoj di San Pietroburgo (da non confondere con l’omonimo teatro moscovita), questo “balletto grande” è stato oggetto di autorevoli riprese che, rispetto all’originale petipatiano, hanno ridotto i quattro atti a tre accorpando o modificando l’epilogo originario, che prevedeva un terremoto e il ricongiungimento spirituale di Solor e Nikiya.

Basti citare le versioni di Natalia Makarova per l’American Ballet Theater del 1979 e di Rudolf Nureyev per il Corpo di Ballo dell’Opéra di Parigi del 1992. In questa nuova versione, tuttora in scena al Bol’šoj, Grigorovič, primo e indiscusso coreografo del Grande Teatro di Mosca, riprende l’archetipo di Petipa, inserisce estratti dalle riprese novecentesche di Vachtang Čabukiani, Konstantin Sergeev e Nikolaj Zubkovskij e aggiunge danze, entrées e variazioni per restituire una Bayadère imponente, grandiosa, liricissima nel rispetto della grandeur della danse d’école.


Un momento dello spettacolo
© Damir Yusupov

Una sapiente mano coreografica di un geniale vegliardo che ha segnato e segna tutt’ora la storia del repertorio russo con balletti da lui creati come Spartacus, Ivan il Terribile, Romeo e Giulietta e riletture di celebri titoli fra cui La bella addormentata, Il lago dei cigni, Raymonda, Giselle, Don Chisciotte, Le corsaire. Il balletto della bayadera Nikiya, successivo a La sylphide di Filippo Taglioni (1832) e a Giselle di Coralli-Perott (1841), ma precedente alla trilogia “cajkovskijana” di Petipa (La bella addormentata del 1890, Il lago dei cigni del 1895 e Lo schiaccianoci del 1892), si apprezza fino in fondo se lo si colloca nel contesto tardoromantico e pre-decadente in cui nacque. 

Una temperie culturale permeata di esotismo anche nel teatro musicale (Aida, Turandot, Madama Butterfly), che sulla scena danzata dà i suoi frutti con La vestale di Salvatore Viganò (1818), Le dieu et la bajadère (1830) e L’ombre (1840) di Taglioni, Śakuntalā (1858) di Lucien Petipa (anche fonte di ispirazione per il fratello minore Marius). Importanti precedenti cui bisogna aggiungere La bajadera, divertimento fantastico-danzante in tre scene composto dal coreografo Lorenzo Viena (1867), il cui libretto è conservato nell’archivio del teatro degli Immobili presso la Pergola di Firenze. Un ritrovamento che conferma ancora una volta l’interesse per le atmosfere esotiche che contribuirono alla nascita della Bayadère di Petipa. 

La trama è presto detta: siamo in India e tutto ruota intorno all’amore tra la bayadera Nikiya, danzatrice del tempio del Gran Bramino innamorato di lei, e il nobile guerriero Solor al seguito del potente Rajah Dugmanta. Quest’ultimo costringe il giovane a sposare sua figlia, la principessa Gamzatti rompendo la promessa fatta a Nikiya. In un drammatico confronto Gamzatti chiede alla bayadera di lasciare libero Solor. Tuttavia al diniego della rivale, la principessa su suggerimento del padre convince Nikiya a ballare alla sua festa di nozze. In quell’occasione le dona un cestino di fiori in segno di pace, ma tra i fiori si cela un serpente velenoso, che morde il niveo collo della donna. Il Gran Bramino le offre un antidoto. Nikiya lo rifiuta morendo davanti a Solor che quindi fugge. Disperato, il guerriero ottiene dell’oppio dal fedele fachiro Magdaveya: fumando disteso sul canapè sogna di ritrovare la bayadera nel Regno delle Ombre, condannato a cercarla e a desiderarla per l’eternità.


Un momento dello spettacolo
© Elena Fetisova


Grigorovič fa della grandiosa monumentalità scenica e della ricercata opulenza costumistica, a firma di Nikolay Šaronov, il tratto distintivo di un grand ballet che la musica di Ludwig Minkus, eseguita dall’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala diretta da Pavel Sorokin, contribuisce a esaltare. La spettacolarità dell’allestimento è accentuata da un corpo di ballo perfettamente a suo agio in una messinscena che richiede un costante ritmo narrativo e danzato e un formidabile “gioco di squadra”. Tutti compatti i ballerini cooperano alla resa di questa fabula coreografica che trasuda “russicità” e ha in Grigorovič il suo demiurgo. 


Fin dal primo atto siamo fagocitati dalla maestosità del tempio del Gran Bramino che accoglie la maschia danza dei fachiri e il muliebre ballo sacro delle baiadere, fra cui rifulge la protagonista Nikiya: una splendida e flessuosa Ol’ga Smirnova che rifiutando il Bramino si lega a Solor interpretato dalla carismatica e imponete figura di Semën Čudin. Struggente è il pas de deux con cui davanti al sacro fuoco la ragazza accetta di fuggire con lui a patto che le giuri fedeltà. Un momento di intensa passione cui fa da contraltare l’energico grand pas de deux di Solor con Gamzatti: una volitiva Margarita Štrainer che vuole tutto per sé il giovane, colpito dalla sua bellezza e dimentico della promessa fatta. Sono allora le due donne innamorate a confrontarsi in una schermaglia pantomimica in cui nessuna delle due arretra, mostrando entrambe temperamento e personalità.


Nel secondo atto la danza di Nikiya-Ol’ga durante i festeggiamenti nuziali è a dir poco stupefacente. Languida e disperata nella prima parte, frizzante e radiosa nella seconda fino al tragico epilogo. Al dramma assiste esterrefatto l’entourage del Rajaj che poco prima si era divertito con continue ed elettrizzanti danze e variazioni: Jampe, un duetto al femminile, il grand pas di otto ballerine accompagnate da due danzatori, la “danza del tamburo”, la “danza della brocca” fino ad arrivare all’assolo dell’idolo d’oro interpretato da un sorprendente Denis Zakharov.


L’atteso terzo atto, il cosiddetto atto bianco o Regno delle Ombre, non delude. Anzi, scegliendo di chiudere la sua Bajadera con il Regno delle Ombre Grigorovič punta sulla spiritualità dell’incontro di due anime innamorate. E l’avvolgente atmosfera lunare delle luci di Mikhail Sokolov consente una comunione altrimenti impossibile richiamando l’Inno alla notte del poeta romantico Novalis.


Un momento dello spettacolo
© Damir Yusupov

Il corpo di ballo femminile del Bol’šoj rende impalpabile questo regno fatto-fitto di Ombre che scendono sulla famosa pedana inclinata, eseguendo la sequenza di arabesque, ponchés, cambrés, ports de bras. Una lezione di alta scuola cui si aggiungono le singole variazioni di Dar’ja Bočkova, Dar’ja Khochlova e Antonina Čapkina. Bravissime. Si tocca l’apice nel passo a due del velo bianco di Solor/Semën e Nikiya/Ol’ga: colpiscono l’intensità e il respiro del loro modo di ballare che va oltre l’esecuzione ineccepibile di arabesques, ponchés, equilibri on pointe, port de bras della Smirnova o dei manèges, dei tour en l’air, dei grandi e piccoli sautés di Čudin. Due impareggiabili primi ballerini di un altrettanto impareggiabile Corpo di Ballo diretto da Makhar Vaziev.  



La Bajadère
cast cast & credits
 



Un momento dello spettacolo
© Damir Yusupov

 
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