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Tenebre, lacrime e sospiri

di Stella Scabelli
  Suspiria
Data di pubblicazione su web 06/09/2018  

Luca Guadagnino, reduce del successo di Call Me by Your Name, si cimenta con un horror d’autore, remake del celebre film del 1977 di Dario Argento. Un genere per lui inedito ripensando completamente la storia e la costruzione filmica a partire dalla città di ambientazione: Berlino.   

Anni Settanta: Berlino è una città divisa in cui l’inquietudine cammina accanto al “muro” della guerra fredda; il sospetto e la paura crescono tra gruppi terroristici e divisioni e il senso di colpa emerge dal passato, dal dubbio e dal non detto. Susie Bannion (Dakota Johnson), ballerina statunitense cresciuta in una rigida fattoria mennonita, arriva nella capitale tedesca quasi attirata da una sorta di forza superiore: il sospiro della metropolitana che le fa cadere la guida della città dalle mani e “sfoglia” veementemente le pagine ha la forza misteriosa del destino. Il soffio accompagna il suo provino alla Markos Tanz Company: una prova scandita dai respiri della danzatrice che s’intensificano attirando da un’altra stanza la coreografa Madame Blanc (una magistrale Tilda Swinton). L’impenetrabile insegnante la “sceglie” con uno sguardo immobile che si oppone alla frenetica danza della ballerina.     

Una scena di Suspiria © Asac - La Biennale
Una scena del film
© Biennale Cinema 2018

Le inquadrature sono spesso dettagli che svelano la claustrofobia della paura e della psicosi. Il regista sceglie rapidi movimenti di macchina per evocare inquietudini latenti. I luoghi cupi e sinistri del palazzo art déco della scuola sono abitati dal rumore incessante della pioggia, dal colore sepolcrale (fotografia di Sayombhu Mukdeeprom) di giornate tempestose ispirato alla tavolozza di Balthus. La paura delle allieve caratterizza la tensione della loro danza che risuona nelle pulsazioni dei movimenti del corpo e nei sospiri che accompagnano i gesti. La scomparsa di una delle ballerine, Patricia, evoca un pericolo incombente. Un’inquietante assenza. 

Susie vive l’insidia imminente tra le mura della Markos Tanz Company con un turbamento che tradisce sempre di più curiosità e partecipazione. La protagonista di questo Suspiria non è schiacciata dalla crudeltà, non è vittima della perversione ma l’attraversa. Catartiche sono le spaventose danze corali, le magnifiche coreografie di Damien Jalet ispirate a Pina Bausch: performance in rosso che liberano dal senso di colpa, dalla dipendenza filiale, dal giogo dell’amore. L’inquietudine permea il film senza sfociare in autentico terrore: un diffuso “perturbante” con incursioni nel raccapricciante.

Una scena di Suspiria 
© Asac - La Biennale
Una scena del film 
 © Biennale Cinema 2018

Il rapporto con la figura della madre, tormentato e irrisolto, aleggia dall’inizio alla fine. Il quadro ricamato a mano dell’incipit che recita Una madre è una donna che può sostituire tutti. Ma che è insostituibile si riferisce, per contrasto, sia al mistero stregonesco e simbolico delle tre madri argentiane (Mater Tenebrarum, Mater Lacrimarum e Mater Suspiriorum) sia all’intransigente genitrice ammalata sul letto nella bucolica casa di campagna sia, soprattutto, all’affascinante e terribile Madame Blanc: rappresentazioni di una maternità che divora, che richiede di emanciparsi. La danza è strumento per raccontare l’amore come manipolazione: non solo nei severi ordini impartiti alle danzatrici ma anche nell’autentica energia trasmessa dalla coreografa nelle mani delle sue allieve. Un’energia capace di comandare i corpi. Un potere in grado di farli librare in aria e sospirare o all’opposto di deformarli, di farli lacrimare e strepitare sotto il giogo del ricatto. Una forza in grado di inviare le proprie visioni, d’insegnare, d’imporre una lingua (il francese, la danza stessa), ma anche di opprimere e possedere. Il corpo è luogo di creazione e di distruzione, magnifico e ripugnante, strumento di espressione e di prigione. L’amore come dipendenza e ricatto. La danza è un mezzo per evocare queste contraddizioni: le pulsioni e i profondi tormenti dell’animo che Guadagnino ci mostra con eccezionale efficacia nell’intenso montaggio alternato tra la stanza delle prove e la stanza degli specchi.   

Suspiria è un film dominato dalle donne e dai loro corpi. L’unica figura maschile è il terapeuta di Patricia, il dottore Jozef Klemperer. Costui osserva e indaga, cerca di proteggere la sua giovane paziente e, dopo averla coinvolta nelle sue investigazioni, anche l’amica della ragazza scomparsa, Sara (Mia Goth). Passivo spettatore dell’azione delle donne e, in quanto divorato dal rimorso, emblema del senso di colpa privato e collettivo, è protagonista della scena madre conclusiva con la quale il regista riesce a regalare un senso di liberazione e commozione (all’interno di un horror!) parlando della colpa e dell’amore.

Una scena di Suspiria 
© Asac - La Biennale
Una scena del film
 © Biennale Cinema 2018

Guadagnino crea ancora una volta un universo coerente costruito su luoghi sospesi, colori significanti, suoni eloquenti e musiche originali (quelle struggenti composte ex novo da Thom Yorke), corpi e volti. L’occulto, la danza, il cinema stesso sono simulacro (parola che si staglia nel dettaglio dell’agenda dello psicoterapeuta nella prima sequenza) delle tensioni, dei guasti dell’anima, del passato irrisolto, del senso di colpa, del perturbante nell’amore, della tensione tra dipendenza ed emancipazione. 



Suspiria
cast cast & credits
 

La locandina del film
La locandina 



 
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