Il
secondo “atto” di Antonio Latella quale
direttore artistico della Biennale
Teatro 2018 è dedicato alla questione “attore/performer”, declinata in funzione
della Biennale College: si tratta di un progetto che dà a giovani aspiranti registi
e drammaturghi loccasione di misurarsi, anche se per breve tempo, con le idee dei
protagonisti ospiti di quello che continua a chiamarsi ancora “Festival
Internazionale del Teatro” (questanno è il 46°); sono gli stessi partecipanti
a garantire unampia presenza di pubblico negli spazi teatrali dellArsenale di
Venezia.
Sul
tema dellanno si è svolto un “simposio” teorico, a cui hanno partecipato Chris Dercon (Volksbühne di Berlino), Paweł Sztarbowski (Teatr Powszechny di Varsavia), Bianca
Van der Schoot (RO Theater
di Rotterdam), Armando Punzo (Compagnia
della Fortezza). Se negli ultimi decenni la riflessione sul ruolo del
performer è stata posta in pratica da tanti maestri, stavolta si è considerato
lapporto attivo e autonomo dellinterprete; la discussione non è approdata a
una qualche soluzione, forse perché si tratta di un falso problema, visto che
lattore consapevole non è mai stato un passivo esecutore della rappresentazione
e da sempre si trova proiettato nella zona delle contaminazioni culturali.
Anche questanno il
cartellone ha assemblato proposte un po datate, creazioni già archiviate e, talvolta,
superate sul piano della qualità espressiva. Persino le tre produzioni della
coppia Antonio Rezza-Flavia Mastrella, insignita del Leone
doro, sono opere nate tra il 2009 e il 2015. Il denominatore comune della
rassegna, che ha offerto in genere la visione di due-tre lavori per ciascun artefice,
è risultato spesso una forma di contaminazione ipotetica tra i linguaggi della
scena e le forme visive dellarte contemporanea. Vari sono gli esempi di
esecuzioni definite, in più casi, a partire da pratiche performative autoreferenziali,
per le quali il compito di stabilire una relazione con lo spettatore è
demandato ai foglietti informativi.
Un momento dell'Orestea di Anagoor © Andrea Pizzalis
Le
novità delledizione 2018 sono state lOrestea
curata da Anagoor, gruppo cui è stato attribuito il Leone dargento, e Spettri di Ibsen nella messinscena di Leonardo
Lidi, vincitore del College di regia under 30 del 2017. La lunga
rappresentazione delle tre parti della tragedia di Eschilo, intitolate Agamennone,
Schiavi, Conversio e curate da Simone
Derai (anche regista) e da Patrizia Vercesi,
è racchiusa nella formula della fissità tecnico-linguistica propria di Anagoor.
È uno stile che privilegia il canto e, ancor più, lenunciazione, qui affidata
alle ampie tirate al microfono della voce narrante; ne deriva una visione
oratoria che, entro uno schema-quadro denso di pensieri filosofici, ragiona sul
furore e sulla morte, avvalendosi di una gamma di attinenze letterarie (da Virgilio a Leopardi, da Arendt a Givone e altro ancora). Ciò si è
tradotto in una staticità scenica che pesa persino sulle parti danzate o sui
riferimenti antropologici e iconografici, a partire dalla maschera doro
micenea di Agamennone. Rimangono degni dattenzione alcuni passaggi video-testuali
e lesemplare canzone-profezia di Cassandra nellintensa esecuzione dellattrice armena Gayané Movsisyan. È, comunque, uno spettacolo
che si potrà valutare meglio nel corso della prossima stagione teatrale.
Un momento di Spettri secondo Lidi © Biennale Teatro
La
scelta di ricomporre liberamente la tessitura classica di Spettri ha permesso a Leonardo Lidi di rimescolare alcuni nuclei essenziali
del dramma ibseniano, affidando a quattro bravi interpreti, Michele Di Mauro, Christian La Rosa, Mariano
Pirrello e Matilde Vigna, il
compito di tessere un gioco ambiguo e, insieme, acerbo attraverso un sistema di
travestimenti e di inversioni di ruolo. La messinscena risulta “liquida”,
mentre straripa nello spazio degli spettatori, accentuando lincidenza degli
elementi naturali; soprattutto quella dellacqua che travolge ogni possibilità
di relazioni affettive e parentali, fino allannegamento finale, quando persino
la tara ereditaria di Oswald trasmigra interamente nella società.
Un
caso interessante è offerto dal francese Vincent
Thomasset, che ha ripreso tre sue esecuzioni frutto di una ricerca costante
sulle radici della comunicazione linguistica, che tende a raggelare le parole e
lespressività ricorrendo al paradosso del senso e alla ripetitività del gesto.
Thomasset affascina per il perfetto controllo della scena, che in Lettres de non-motivation (2015) si
traduce in una sapiente carrellata tra le esilaranti lettere scritte in risposta
a specifiche offerte di lavoro, sul filo del nonsense, adoperando contestualmente una varietà di stili
interpretativi, dal canto alla declamazione. In Ensemble Ensemble (2017) una donna tenta di descrivere ciò che la
circonda senza riuscirvi, per limpossibilità di ogni soggetto a raccontarsi:
la dimostrazione savvale del meccanismo del doppio e della voce fuori campo.
Anche Médail Décor (2014) sfrutta lambiguità
dello sdoppiamento, facendo agire un danzatore, Lorenzo De Angelis, e un performer-narratore nelleterno gioco
dellincerto recupero di una memoria personale.
Un momento di Cannibali di Kronoteatro © Nicolò Puppo
È
risultata alterna e, in parte, debole per lo più sul piano interpretativo e su quello
della scrittura, la “trilogia della resa” curata da Kronoteatro e dal regista Maurizio Sguotti, mentre appaiono
stimolanti le tematiche sociali assunte dal gruppo. Cannibali (2015) prende in esame la disumanità dei rapporti generazionali,
fissati nello scontro padre-figlio, un contrasto che si evolve nel tempo
mediante la successione di quadri esistenziali e che registra gli inquietati
riflessi sul comportamento individuale. In generale prevalgono lassenza
dellelemento materno, laffiorare della violenza fisica e il precipitare nella
malattia. Con Educazione sentimentale
(2016) si propone una campionatura del “maschile”, con tre personaggi racchiusi
in una squilibrata solitudine che genera litigi e pregiudizi. Seppure costoro siano
vicini di casa, niente li accomuna se non lidea di una malintesa supremazia
sessuale sulla giovane cameriera che gioca a sfidarli attraverso la seduzione. Lesperimento
si traduce presto in un irrazionale stupro di gruppo. Per la terza proposta, Cicatrici, in prima assoluta, il
discorso affronta la smania di potere con un testo di Fiammetta Carena ispirato al Tieste
di Seneca. Lo spettacolo impiega in
maniera artificiosa i pupazzi lignei di Christian
Zucconi: sono figure di uomini, donne e bambini in scala naturale e in
grado di mutare la loro postura. Al di là di alcuni spunti drammatici
interessanti, presenti pure nelle altre realizzazioni, e di qualche scena
deffetto, la messinscena si arena in uno schema didascalico e ripetitivo.
Un momento di The Unpleasant Surprise di Pieters © Sanne Peper Sul
versante delle trasmigrazioni di genere il regista olandese Davy Pieters sviluppa
le possibilità della visione mimico-gestuale con How Did I Die (2014) e The
Unpleasant Surprise (2017). Nel primo lavoro si ricostruisce senza parlato
la dinamica di un omicidio irrisolto attraverso i movimenti in replay dei tre bravi protagonisti, Klára Alexová, Indra Cauwels e Joey
Schrauwen; in unatmosfera allucinata costoro riproducono e riavvolgono i
movimenti, aggiungendo di volta in volta dei cambiamenti alle varie ipotesi. Nel
secondo si considera leccesso di violenza nelle immagini con cui ogni giorno
televisione e internet invadono lo spazio mentale del mondo. Riaffiora, allora,
la funzione anticonvenzionale del teatro che invita lo spettatore a ritrovare
il perduto sentimento dumanità.
Un momento di Jakob von Gunten di Condemi © Biennale Teatro
Si segnalano, ancora: Jakob von Gunten, lesperimento del giovane Fabio
Condemi che elabora il romanzo di Robert
Walser con laiuto di Fabio Cherstich,
privilegiando unatmosfera straniata; lingenua fascinazione degli oggetti della
quotidianità nel lavoro di Clément Layes
con Allege (2010), Things That Surround Us (2012) e Dreamed Apparatus (2014); la suggestiva
coralità del rave-party notturno di Crowd curato dalla coreografa-regista franco-austriaca Gisèle
Vienne. Infine, il vincitore del bando del College Registi Under 30 2018-2019 è il romano Leonardo Manzan, di ventisei anni, che ha
presentato un frammento dal titolo Cirano
deve morire, liberamente ispirato al Cyrano
de Bergerac di Rostand.
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