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Cold War

di Stella Scabelli
  Cold War
Data di pubblicazione su web 22/06/2018  

Dopo l’Oscar per Ida il regista polacco Pawel Pawlikowski ha presentato all’ultima edizione del Festival di Cannes Cold War (Zimna wojna) ottenendo l’ambito premio per la regia.

Alla fine degli anni Quaranta la giovane Zula (Joanna Kulig) viene selezionata da Wiktor (Tomasz Kot), direttore del coro, pianista e compositore, per far parte di una compagnia di canti e danze popolari in una scuola della Polonia postbellica. Tra i due nasce un grande amore fatto d’incontri e di ripetuti addii nel corso del tempo.

Come in passato il regista sceglie il formato 1.37:1 e il bianco e nero per restituire un dramma a distanza, una tetra “guerra fredda” dei sentimenti e della ricerca dell’altro. Il formato quasi quadrato racchiude gli attori in una cornice opprimente e, insieme alla scala di grigi che dipinge i volti (fotografia di Łukasz Żal) e alle frequenti inquadrature fisse, relega i personaggi in una dimensione astratta, scarna, esemplare.

L’amore irrealizzabile tra i protagonisti si consuma durante il primo ventennio della Guerra fredda in diversi luoghi: dalla Polonia a Berlino, a Parigi, in Jugoslavia. La sua “esistenza” è ripetutamente messa alla prova tra le note di canti folkloristici polacchi che si trasformano, sotto la pressione del potere, in inni al comunismo, di cupi pezzi jazz e di disperati rock and roll. La tragica impossibilità di amarsi aderisce all’inattuabile istinto alla libertà nel sistema della cortina di ferro, all’espressione artistica dannata dal potere.

Tale impossibilità è un destino ed è insieme l’incapacità di amarsi tra i caffè di una Parigi apparentemente libera, eppure imbrigliata nelle convenzioni di una cultura superficiale e di un’emancipazione oscura e straniera: regole che stridono con la forza di un amore assoluto e privo di vincoli, perennemente disadattato. Zula non ritrova la sincerità propria e della sua unione con Wiktor nel mondo bohémien della capitale francese; lo disprezza per la sua arida ricerca di conferme che lo rende schiavo di un milieu culturale vuoto, convenzionale, claustrofobico. 

Una scena del film
© Lukasz Bak

La storia si costruisce per frammenti narrativi il cui fulcro sono brani musicali e presenze sceniche. La regia mira a comporre la narrazione su “esibizioni”, creando un forte legame tra vita ed espressione artistica. All’interno di questi quadri temporali alcune raffinate sequenze si elevano al di sopra della mera riproposizione del tema dell’amore impossibile,  condannato dalla società e dal fato, in grazia di una potenza evocativa mirabile.

A seguito del primo litigio della coppia in un campo nei pressi dell’accademia, Zula si tuffa nel letto calmo di un fiume e il rumore dell’acqua attira l’attenzione dell’amato girato di spalle. La ragazza inizia a cantare, intona il suo leitmotiv, mentre una carrellata laterale la incornicia sospinta dalla corrente tra le placide onde e le spighe di grano mosse dal vento. Il regista inquadra dapprima Wiktor e poi la giovane in una soggettiva libera indiretta che racconta la sospensione temporale nella percezione dell’innamorato. Ancora: quando, conclusa la prima esibizione del gruppo folkloristico, Wiktor si appoggia a uno specchio mentre chiacchiera distratto con la coreografa della compagnia, lascia dietro di sé il riflesso della folla, mentre lo sguardo è proiettato in avanti verso una Zula in carne e ossa.

Nella Parigi cupa e notturna che richiama la Ville Lumière di Ascenseur pour l’échafaud (1958) ma anche all’atmosfera de Le notti bianche viscontiane (1957), è la scena del giro in barca sulla Senna a risplendere di una potenza inaspettata. La maestosa Notre-Dame compare tra i rami, si erge e scorre silenziosa in una buia e toccante inquadratura fortemente inclinata dal basso verso l’alto. Altra sequenza emblematica è quella nell’hopperiano locale notturno L’eclipse. Zula è una disgustata bevitrice d’assenzio: occupa la parte inferiore del quadro con la sua desolazione, finché un brano rock and roll la risveglia dal suo torpore e la trascina in una danza tanto sfrenata quanto disperata.

Una scena del film
© IndieWire

L’amore tra Zula e Wiktor è una “guerra fredda” che si realizza soltanto nella distanza e nel cercarsi ostinatamente e rovinosamente. Corrode i personaggi dall’interno, distrugge le loro vite. Sino al punto in cui il film mostra l’anelata unione nella tragica mancanza dei protagonisti: attraverso la panchina vuota che hanno lasciato per una vista migliore. Resta soltanto il luogo vuoto a sancire l’“esistenza” e insieme l’ineluttabile assenza del loro amore: una “eclissi” che ricorda Antonioni, già evocata nell’insegna del locale notturno parigino.

Rappresentazione del potere che stritola i rapporti, nega la libertà e l’espressione, la vera “guerra fredda” in questo film si gioca però su un altro piano: è l’amara scoperta di una realtà su cui si infrange inesorabilmente ogni tentativo di amore assoluto. Interpretata in alcune sequenze da scelte audiovisive ammirevoli. 


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Cold War (Zimna wojna)
cast cast & credits
 



La locandina

 
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