Nel
1994 un gruppo di studenti del corso di mimo della Folkwang Universität di
Essen (istituto tedesco di formazione statale per il teatro di espressione
corporea, noto per avere avuto Pina
Bausch fra i suoi docenti) si cimentò nella fabbricazione artigianale di maschere
di cartapesta. Lintento era quello di sperimentare nuove forme espressive, in
continuità con la migliore tradizione della clownerie
e del mimo e ispirandosi, per lo studio sulla maschera, alla Commedia dellArte
attraverso il filtro novecentesco delle rivisitazioni di Amleto Sartori e dello svizzero Erhard Stiefel, maestri
nel settore (basti pensare alle maschere ideate
dallo stesso Sartori e dal figlio Donato rispettivamente per gli Arlecchini di
Marcello Moretti e Ferruccio Soleri). Promotori
delliniziativa furono soprattutto tre intraprendenti giovani, Markus Michalowskie, Hajo Schüler e Michael Vogel, che di lì a poco avrebbero formato il nucleo della Familie
Flöz. La
compagnia, ormai da tempo riconosciuta dalla critica internazionale come il
miglior esempio di teatro di figura contemporaneo europeo, ha calcato le più
prestigiose scene mondiali (Asia, Europa e Sud America). Piace qui segnalare il
suo particolare rapporto con lItalia. Dal 2006 si svolge ogni anno, presso
lAbbazia di San Giusto a Tuscania, la Flöz Sommer-Akademie: una summer school, fondata dal direttore
artistico e di produzione Gianni
Bettucci, che propone laboratori incentrati sullimprovvisazione e sulla recitazione
con la maschera.
Il
termine tedesco Flöz indica quello strato
geologico contenente preziose materie prime che soltanto dopo un accurato
processo possono essere lavorate in superficie. La metafora rappresenta
perfettamente il percorso di creazione collettiva di storie e personaggi tipico
della compagnia: si parte dallindividuazione di un tema e, dopo una fase
laboratoriale di scrittura scenica e improvvisazioni, si giunge allatto
simbiotico fra lattore e la maschera pensata e costruita su misura per ogni
personaggio. Un linguaggio che viene “prima” del parlato e che ci riporta a
quel «comportamento scenico pre-espressivo che sta alla base», secondo Eugenio
Barba, «dei differenti generi, stili, ruoli e delle tradizioni personali o
collettive» (La canoa di carta. Trattato
di antropologia teatrale, Bologna, il Mulino, 1993, p. 23). Il conflitto
corporeo determina ogni situazione scenica e si esplicita anche grazie ad
attori che coniugano formidabili doti acrobatiche a quelle mimiche. La
convinzione alla base dellidea drammaturgica dellensemble tedesco è che la
maschera, come il testo, è sia forma che contenuto. Da questo punto di vista in Teatro
Delusio (quarta produzione, rappresentata per la prima volta nel 2004 allArena
di Berlino) cè tutto il marchio di fabbrica dei Flöz, tanto che lo spettacolo
riscuote ancora oggi grande successo. Un successo confermato dalla calorosa
partecipazione del pubblico del Teatro Puccini di Firenze durante la replica
dello scorso 19 gennaio.
Un momento dello spettacolo © Eckard Jonalik
Entrando
in sala si trova il palcoscenico aperto, allestito con una scena spoglia: al
centro, su una sedia, una radio accesa che trasmette musica di intrattenimento;
sulla sinistra, un grande baule e una scaletta appoggiata alla parete; sul fondo
una serie di quinte viste di “spalle”. Tra il brusio della folla che prende
posto, tre tecnici di scena si impegnano concitatamente negli ultimi
accorgimenti, sforando di alcuni minuti lorario di inizio dello spettacolo.
Ormai linterrogativo che serpeggia in platea è uno solo: quando si comincia? In
realtà siamo già nel vivo della performance.
Ce ne accorgiamo non appena i macchinisti si trasformano in abili pupari e, nel
buio improvviso, manovrano unenigmatica diafana marionetta, il cui volto è
animato da una delle inconfondibili maschere di cartapesta dei Flöz, che
collegando due cavi elettrici danno luce e inizio allo spettacolo. Il magistrale
prologo metateatrale ci ha introdotto nel backstage
mostrandoci le vite di tre operatori di scena che, poco a poco, si intrecciano,
tra gags clowneristiche e sorprendenti
scambi di ruolo, con quelle di tutti gli altri professionisti dello spettacolo
(musicisti, ballerini, attori, costumisti, impresari ecc…), in un continuo “dentro-fuori”
tra scena del quotidiano e quotidianità del fare teatro.
Dei tre Bernd (Thomas van
Ouwerkerk) è quello più
sensibile, e anche il più cagionevole. Amante della letteratura, ne approfitta
appena può per salire sulla scaletta, sfruttare la poca luce che filtra da una
finestrella e rifugiarsi avidamente nella lettura sottraendosi ai più faticosi
lavori del suo mestiere, scatenando le ire e le comiche vendette dei colleghi.
Non solo. Egli trova lamore, corrisposto, imbattendosi in una delle ballerine,
che agisce sul palco a noi non visibile ma di cui iniziamo a percepire i rumori
fuori campo, e salvandola dalle grinfie di un effeminato quanto carontico
maestro di ballo che la spinge maldestramente in scena senza troppo curarsi del
suo stato fisico ed emotivo.
Bob
(Andrès Angulo) è il più ambizioso della
squadra. Baldanzoso e aitante, non perde occasione per mettere in mostra le
proprie abilità fisiche spesso a scapito del malcapitato Bernd (ma, nella
maggior parte dei casi, è proprio lui a fare una brutta figura). In
chiaroscuro, la sua maschera rivela anche un lato malinconico legato proprio a
quellesibizionismo. Sogni e desideri repressi pian piano tornano a galla nelleuforia
scatenata dalla fortuita occasione di essere scritturato per un ruolo da spalla
in una pièce da gangster movie, poi
tramutatasi repentinamente in delusione e sconforto dopo il provino andato male
per ansia da prestazione.
Ivan ( Johannes Stubenvoll),
laiutante capo, rappresenta la parte saggia e razionale del trio. Ce lo fa
presumere sia la sua maschera, che rivela unetà più avanzata rispetto a quella
dei suoi colleghi, sia, soprattutto, un ventre rigonfio, posticcio, alla
Pantalone, indice di un vorace appetito e di una posatezza sconfinata. È lui a
porre rimedio ai tanti guai causati dal maldestro e smemorato Bernd e
dallirruenza di Bob; ma nulla può quando una pistola, che avrebbe dovuto
sparare a salve, uccide il malcapitato primo attore vittima di uno dei
tentativi di Bob di mettersi in luce agognando il debutto sulla scena. Un momento dello spettacolo
La
tipizzazione dei personaggi, attraverso il connubio attore-maschera, è sorprendente
e, in alcuni casi, riserva esiti esilaranti. Si pensi a quando lanziano primo violinista smemorato
e terribilmente miope, in un inaspettato rientro in scena dopo il finale, si
trasforma in un surreale rockettaro con tanto di chitarra elettrica e spavaldo
atteggiamento giovanile. Altro momento clou
è lappassionante scena damore tra Bernd e la ballerina, sulle incalzanti musiche
ciaikovskijane de Il lago dei cigni, culminante
nella trionfale uscita dei due dopo una elegante “presa” da balletto classico
effettuata dallimprovvisato ballerino con annesso calcio volante che stende
definitivamente il cigno nero in cui intanto si era tramutato il crudele maestro
di ballo. Avvincente è poi il siparietto in stile “cappa e spada” durante il
quale i tre macchinisti divengono abili spadaccini sostituendosi ai legittimi
attori dando vita al di là delle quinte a duelli in costume che ricordano
ironicamente quelli dei moschettieri di Dumas. Sul
palco si avvicenda una miriade di personaggi, una trentina circa, e altrettante
maschere di cartapesta. Ma gli attori sono soltanto tre. Supportati da musiche,
luci e da costumi raffinati concepiti ad
hoc per risolvere intricati cambi dabito e di scena, i Flöz dimostrano
formidabili doti tecniche nel mettere in azione una drammaturgia fluida,
incalzante e avvincente. Sebbene non lineare nellintreccio di due diversi livelli:
il teatro che invade il backstage e
il backstage in scena. Teatro Delusio sviscera il topos del
mondo come teatro e dellapparenza ingannatrice; la “Delusio” del titolo, nella
sua declinazione latina, indica il triste risvolto di entusiasmi e speranze
disilluse che costellano la quotidianità in rapporto a un microcosmo, quello
dello spettacolo, che è in grado di stuzzicare la fantasia e rinvigorire sogni
infranti: maggiore è lorizzonte dattesa, maggiore sarà la corrispondente
delusione. Mescolando vari generi (dal balletto classico al teatro dopera; dal
concerto sinfonico allavanspettacolo fino al teatro di prosa), la pièce allude
al fascino dellentertainment e alla sottile
linea di demarcazione che lo separa dalla vita reale.
Nel finale si ripresenta lenigmatica marionetta
eterea (la personificazione del teatro stesso?), manovrata dai tre tecnici di
scena liberatisi delle rispettive maschere. Specularmente al prologo i due cavi
elettrici vengono scollegati facendo calare nuovamente il buio sul palco e in
platea.
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Teatro Delusio
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Un momento dello spettacolo visto il 19 gennaio scorso al Teatro Puccini di Firenze © Simona Boccedi
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