Dopo le prove di Il sorriso di Dafne (2007) e di A corpo morto (2009), con la messa in scena inedita di questo testo (2008) Vittorio Franceschi simpegna nel mezzo espressivo a lui più congeniale: il linguaggio poetico. Il risultato è attraente, ma non convincente, perché delude lattesa duna svolta capace di comunicare unidea originale con una soluzione drammatica chiara. Lopera, ricca di tensioni e suggestioni,
sovrabbonda in immagini raccolte da fantasia memoriale con una verbalità
metaforica insistita. Eppure le intuizioni e le formule sorgono da una sincera riflessione
intima e da unindubbia abilità nel ritmare il discorso drammatico. «Ho cercato
di raccontare loggi senza raccontare una storia reale con tutti i suoi intrecci
– confida lautore nel programma di sala. – Ho seguito un percorso diverso,
fatto di brevi accenni e strappi e ritorni di un passato che forse è il nostro
futuro ma non intende rivelarsi del tutto». Lambientazione temporale e spaziale invita lo spettatore a una fuga verso lirreale. Non tanto per immergersi in unimmaginazione fonte di gioco e azione scenici, ma per andar oltre limmediato realismo e il documentarismo dei fenomeni. Questa scelta estetica controcorrente richiede una lingua non riconoscibile in quella comune parlata, ma che sia invenzione – come la intendeva Vitez leggendo Claudel – duna forma convenzionale. Lautore la applica a una visione del mondo (e del teatro) cupa, negativa, nella quale prevale laberrazione di unumanità abbrutita dalla violenza. In uno stato di guerra permanente, restano i bambini (da quali genitori procreati?) lunica popolazione attiva ed efficiente. Così si delinea un bilancio disastroso di due vite anonime, di fronte a una catastrofe universale di civiltà, durata molto più a lungo duna vita naturale. Un momento dello spettacolo © Luca Bolognese
Motivi di perplessità sul testo e
sullo spettacolo nascono dallambientazione in un futuro anche lontano, dal
quale rievocare momenti di un passato misurabile addirittura in secoli o ere,
pur riuscendo a riviverne esperienze personali rapportabili a vicende della
società intera, con una precisione del ricordo che rafforza limpressione di potenza
dei fatti remoti. Ora che il condannato, disertore da una guerra che ha tutto pervaso, soffre il dolore delle torture (sono bambini gli aguzzini che gli hanno cavato gli occhi e mozzato le mani), riflette su passato e presente come per un accertamento della verità finale. Un antidoto al male è frugare nella memoria più gradita, sfruttandola fino a renderla attuale. Accanto a lui, la guardiana-infermiera (perché curare il morituro impotente senza liberarlo?) pare assumere il ruolo non di coscienza sdoppiata o di presenza consolatoria, ma piuttosto dinterlocutore in uninchiesta esistenziale. Tanta è la necessità di parlare nelluomo legato e cieco, quanta nella donna di mantenere sguardo obiettivo verso il proprio vissuto, saturo anchesso di orrori. Finché la prossimità fisica compone figurativamente una sorta di pietà, commovente e familiare. Qui risalta uneclatante analogia, e testuale e rappresentativa (cui saggiunge una coincidenza significativa), con Il Sorriso di Dafne. Anche in quella pièce i protagonisti (gli stessi attori Franceschi e Laura Curino) interpretavano un malato inguaribile, su sedia a rotelle, curato dalla sorella, che mostrava il suo affetto piegandosi alle sue ginocchia, come ora la guardiana, figura quasi fraterna (o filiale), posa la testa sulle ginocchia del condannato. Un momento dello spettacolo © Luca Bolognese Marco Sciaccaluga, già regista acuto e creativo di A corpo morto, accetta in toto le ragioni e i vincoli
dellopera e simpegna a mostrarne le conseguenze logiche, senza orientarle a proprie
esplicitazioni. Ma come aveva agito in Aspettando
Godot (2009), applica a una scrittura dimmagini e metafore, a rischio
dastrazione, unestetica neo-naturalista, a partire dallimpianto scenico e
dalla recitazione.
Lallestimento mostra infatti un
luogo concreto, vetusto, caotico; un capannone in rovina con finestre e
lucernaio, relitti dattrezzi e mobili, con due sedie e un tavolo duso.
Dallesterno penetra il rumore della risacca. Una bottiglia, illuminata sul proscenio
fin dallinizio, contiene un messaggio che non verrà letto, ma sarà restituito
al mare. Vittorio Franceschi attore compone improvvisazioni mosse da stupore e sorpresa,
nel gusto di immagini recuperate dal passato che alimentano a sprazzi lo
sguardo interiore, capace di varcare la cecità e di reagire al male. Nellalternanza
di gioia (provocata) e dolore (testimoniato), la voce mantiene unesattezza
scientifica nel dire stati danimo contrastanti. Quellesercizio tocca lacme
nel movimento di “discesa nel soma”, esplorazione metaforica dellorganismo, con
toni simili a quelli che Giovanni
Testori impiega nellattraversare la carnalità e rivelare lessenza stessa del
pensiero. Una prova di resistenza anche fisica, per limpossiblità del gesto e
per la cecità che laggrava. Un momento dello spettacolo © Luca Bolognese
Laura Curino, esperta narratrice epica,
mentre si dedica a cucire un lenzuolo, simbolico sudario, ascolta e offre le
proprie disfatte a catalizzatore dei pericoli e delle cadute di lui. Specchio,
se pure offuscato, da cui cogliere lassurdità degli eventi. Linterazione di
coppia trova a volte una sospensione tesa e misteriosa, grazie a un lavoro che
attrae e sconcerta. In tanta allusività, i passaggi, le gradazioni dintensità lungo
i movimenti, sono orchestrati dalla
regia con percepibili mutazioni ritmiche e timbriche, avvolti dal buio nei cambi
di scena e misurati, più che dalla musica, dai suoni di Andrea Nicolini.
La fedeltà dadesione al progetto
iniziale non trova però un vettore univoco di sviluppo nellesito creativo. La
fine annunciata, per lo spostamento delle lancette dellorologio a cucù, viene sempre
rinviata, in un fluente ritorno infinito. Alle lacrime si mescola il riso, alle
voci degli uccelli, le voci dei bambini. Non si assiste allesecuzione: latente,
sera consumata durante la rappresentazione o già dal principio sera fatalmente
compiuta.
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