Il risultato di un laboratorio
promosso dallÉcole des Maîtres e condotto da Rafael Spregelburd nel 2012 è ora in scena, con il titolo Fine dellEuropa, grazie alla
collaborazione di quattro teatri europei. Il drammaturgo e regista dorigine
argentina partiva da nuclei tematici attinenti al concetto di fine, applicato ad alcuni aspetti (o
valori) propri del Vecchio Continente. Una specie di canovaccio per libere esercitazioni
rappresentative. Nel tempo, ha preso forma il progetto duno spettacolo complesso
al quale, dopo alcune repliche di rodaggio a Caen (Centre Dramatique National
de Normandie), si assiste al Teatro Duse di Genova. Nel programma di sala si avverte circa lautonomia degli episodi componenti linsieme, due parti di quattro «atti» ciascuna. Linquadramento prevede uno schema di teatro-nel-teatro, nel quale una compagnia di attori creativi ed entusiasti trae spunti dispirazione da un mondo attraversato da paure diffuse. Una troupe multilingue e un regista argentino si propongono di lavorare alla creazione di piccole cellule teatrali, dei «bonsai narrativi» attorno alleterno soggetto della fine. Immaginano che, avendo realizzato una fiction a puntate intitolata appunto LEuropa, essa sia giunta a esaurimento e che un ipotetico Dio voglia rianimarla per proseguirla con laiuto dei suoi angeli. Ma le buone intenzioni degli extra-terrestri urtano contro un gruppo di malevoli interpreti, sfiduciati, terrorizzati e arrabbiati. Essi si dedicano quindi ad analizzare le nozioni attualizzate della fine (dalla Bibbia al neoliberismo) e a dimostrare come i discorsi apocalittici, generati dal potere, sfruttino il terrore per indurre le persone e la società a dipendere da quelle idee. Smontare quei miti e capirne il congegno sarebbe lauspicio ulteriore di questo spettacolo paradossalmente ludico e moraleggiante. Fin dallincipit si avvicendano strani convegni di personaggi di diverse epoche storiche, commistioni di generi e linguaggi, causa di sconcerto immediato, anche per la traduzione in lingua francese a sua volta doppiata in italiano, nei sovratitoli e nelle battute.
Un momento dello spettacolo © Tristan-Jeanne Valès
Quanto avviene in scena non
corrisponde allenunciato, poiché in apertura, nella Fine dei confini, si assiste alla performance duna cantante (Aude Ruyter, dal recitativo nitido e
ben conforme ai modelli) che interpreta la canzone Jenny dei pirati, dallOpera
da tre soldi, mentre una massaia (o studentessa?) traduce per un
interlocutore al cellulare. La cantante è costretta a spiegare parola per parola la
canzone che, pure interpretata con passione politica adeguata, una volta che è pedantemente
tradotta risulta rumore, frastuono nel quale i pirati diventano terroristi.
Chiude la scena lesposizione duna mappa dei Paesi Bassi, scusa per svelare le
complicazioni che le tre lingue lì vigenti causano agli abitanti del
territorio.
Sotto il titolo La fine dellarte, si partecipa al confronto duna coppia di docenti di storia dellarte (una belga e un francese) che dissertano, con compiaciuto fervore didattico ed estetico, il caso dun restauro che ha fatto scalpore: lEcce Homo di Elias G. Martinez a opera di Cecilia Giménez. In un locale studentesco i due interlocutori debbono inoltre rispondere a una laureanda che la professoressa ha bocciato.
Vivi ed efficaci gli interpreti, nella verità quasi documentaria della partecipazione personale. In «una Corte italiana del XXI secolo», precisa Spregelburd, si svolge lesemplificazione della Fine della nobiltà. La parata dei personaggi partecipanti alla festa in villa, organizzata dai nobili, illustra lultimo, illusorio tentativo del potere di salvare i propri attributi simbolici. In un mondo fatto di apparenze, estraneo ai bisogni e al lavoro, alimentato dal denaro, la festa si fa triste, con artisti senzarte . Un mago che dimentica i suoi trucchi; uno studente di paleontologia trasformista travestito; unimitazione scadente di Julio Iglesias rendono patetico e volgare, per scurrilità goliardiche, il finale sciolto in fuga sotto un temporale.
Un momento dello spettacolo © Tristan-Jeanne Valès La recitazione sfoggia registri di calibrata parodia nel Conte di Adrien Melin in tenuta da tennis e
nelle allusioni decadenti e nel sentimentalismo corrosivo della Contessa, una Deniz Özdoğan fascinosa fra ingenuità e
malizia. La Fine della Storia mostra
una compagnia teatrale durante le prove, quando lo sforzo dinterpretazione
causa equivoci e gags. Il misto di
finzione e di realtà ricalca stilemi noti e ovvi: una cantante prolunga il suo canto barocco, accanto a
improvvisazioni e ricordi; una citazione cinematografica; laccensione duna
sigaretta quale evento decisivo nella vicenda, che non nobilita la prestazione
dei guitti, illusi di potere riallestire una pièce già recitata. Il campionario sallarga, dal romanzo russo
alla pantomima; dal repertorio storico a un passo di danza celebre, copiato da Pina Bausch. Prosegue la metafora
forzata e abusata (lEuropa come la compagnia teatrale?). Un incendio e una
crisi finanziaria costringono ledificio alla chiusura, finché i fantasmi vi restano
inquilini fino alla sua riapertura, con diversa destinazione, nel 2036.
Nella seconda parte, in una clinica svizzera sul lago, una donna infortunata al ginocchio si vede diagnosticare un cancro (a causa di uno scambio di referti) e si sente proporre, in luogo delle cure, un programma psicologico di accompagnamento alla morte basato su una gratificante «carta del sorriso». Per questa Fine della sanità, la recitazione realistica ottiene un rafforzamento del clima dellassurdo. E la Fine della realtà è addebitata allavvento del virtuale. Secondo lautore, «una conferenza tradotta simultaneamente in più lingue, evidenzia la scomparsa del reale […] sostituito da schermi tattili e da voci ricevute in cuffia e ritrasmesse […]. Il virtuale senza finalità estetiche è puro riflesso del nostro passaggio sulla terra».
Diversamente avviene nella drammaturgia di La fine della famiglia, svolta in un dialogo fra riconoscibili personaggi comuni. In seguito alla morte della madre, le tre sorelle eredi si riuniscono e litigano, per disfarsi della casa e dei ricordi ad essa legati. Bella occasione per chiarire come i legami di sangue agiscano su sentimenti e comportamenti; per domandarsi se la famiglia sia la forma migliore per «organizzare i corpi nello spazio». Recitazione di pregevole reattività passionale nelle tre protagoniste, Sophie Jaskulski, Valentine Gérard ed Émilie Maquest.
Un momento dello spettacolo © Tristan-Jeanne Valès Sul set duna fiction
televisiva savvia lultimo episodio, il più frammentato e convulso, che richiama
il tracciato progettuale. Il soggetto pare la ripresa dun film a luci rosse, disponibile
in due versioni, quella americana e quella europea. Due pornostars (quasi identiche per mise
e trucco) si alternano nel ruolo, attorniate da servi zelanti e da partners virilmente arroganti. Nei
successivi «si gira!» si passa alla produzione dun grossolano thriller internazionale. Finalmente le didascalie
e gli attori comunicano che Europa è
il titolo duna serie televisiva decrepita, una coproduzione di diversi paesi
che si trascina a fatica – per carenza di idee, stanchezza
degli interpreti, mancanza di fondi – prima di essere soppressa. Una reazione
improvvisa e inopinata, immotivata, provoca allora lintervento di un Dio (letteralmente
deus ex machina) che per proseguire
la lavorazione invia i suoi angeli a svolgere i compiti di assistenti,
truccatori e tecnici. Finché la pantomima caotica entra in un incubo, sconvolto
da musica e rumori in cacofonico crescendo.
Le didascalie informano: «Dio resta in silenzio» e «LEuropa giunse alla sua
fine».
Tanta dedizione, versatilità e
ironia ma la relatività delle
motivazioni e la gratuità degli impulsi paiono produrre unaccumulazione di
stimoli che causano disagio e stanchezza (anche considerando le quattro ore e
mezzo di spettacolo compreso lintervallo). La riduzione dello scopo estetico a
pura esaltazione del gioco comporta anche il pericolo che linsistenza ludica
provochi assuefazione e fatica. Per tanta abilità parodistica e adattativa – a
stili, immagini, voci – viene meno la fiducia nellinterpretazione, svalutata in
varietà e profondità espressiva. Sarà per la sovrapposizione della funzione
registica a quella dautore; sarà per limprovvisazione che, forse dorigine surrealista,
richiede controllo e coerenza particolari. Coerenza che migliora per gli altri
elementi, quali la scenografia, consistente soprattutto nei rapporti corporei
degli attori. I costumi, più che
connotare personaggi, stagliano simulacri. Un video trasmette in diretta angolazioni diverse dellazione.
La musica genera leffetto sonoro più adatto alla perdita dellorientamento (quella freccia dattenzione sensibile
e intelligente che avvince gli spettatori) inducendo qualcuno a lasciare la
sala prima della fine.
|
|