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Rebus all’Olimpico

di Chiara Schepis
  Octavia. Trepanation
Data di pubblicazione su web 02/10/2017  

Octavia. Trepanation, opera-operazione scenica firmata dal giovane regista sovietico Boris Yukhananov, su libretto di Dmitri Kourliandski, aveva già suscitato ammirazione e sorpresa al suo debutto primaverile all’Holland Festival 2017. Questa volta la compagnia dello Stanislavsky Electrotheatre di Mosca adatta il suo monumentale spettacolo alla splendida e raccolta architettura del Teatro Olimpico di Vicenza. La prima nazionale di Octavia si inserisce nel programma Conversazioni 2017 - 70° Ciclo di Spettacoli Classici, attesissimo appuntamento del panorama culturale del Nord-Est. 

L’operazione drammaturgica di Kourliandski, nell’alveo delle celebrazioni per il centenario della Rivoluzione d’Ottobre, accosta, sotto il segno della violenza e della tirannia, l’Ottavia attribuita a Seneca a pensieri di Lev Trotskij su Vladimir Lenin: da un lato la Roma neroniana, insanguinata dalla tirannia e dalle esecuzioni; dall’altro la Russia di ieri, storia contemporanea di violenza e idealismo ancora insanguinata. L’operazione del regista, sulle maglie di un innesto testuale già tanto complesso – e ancora di più per il pubblico italiano a causa della lingua russa – travolge lo spettatore in una kermesse a metà tra l’opera lirica e la video installazione, distorcendo lo spazio con luci stroboscopiche (di Sergei Vasilyev) e musica elettronica firmata da Oleg Makarov.


Un momento dello spettacolo © Donato Aquaro
Un momento dello spettacolo
© Luciano Romano

Lo spettacolo è già lì, in un fermo immagine, quando gli spettatori prendono posto sulle gradinate; il loro punto di vista è verticale. Nell’orchestra, rivestita da una superficie rossa e lucida, sono disposte venti grandi statue di terracotta prive di cranio e mosse dall’interno dal coro: entità senza testa, probabile metafora della cecità del popolo guidato nelle rivoluzioni di ogni tempo da altre teste, quelle del potere. Sulla scena di Stepan Lukyanov, così come nei video, la testa è quella enorme di Lenin. Sovrastano e manipolano l’esercito gli attori-individui Nerone, Seneca, Trotskij, il capo delle guardie; le attrici-apparizioni Agrippina e Ottavia (una plumbea, l’altra eterea); e infine gli attori-funzioni, i tre servi di scena da night club che spostano elementi scenografici e manipolano i soldati, in divise di vernice rossa. Il rosso domina la scena, rosso-sangue, rosso-partito. 


Un momento dello spettacolo © Luciano Romano
Un momento dello spettacolo
© Luciano Romano

La matrice dello spettacolo non nasconde il riferimento a un costruttivismo russo più metaforico che simbolico. Ogni scena, ogni oggetto, ogni costume parla della Roma di Nerone e insieme della Russia di Lenin, e allo stesso tempo rimanda ad altro, mentre nell’idea registica le statue ‘all’antica’ dell’Olimpico ammiccano alla Democratia e alla Pax della Grecia antica. Le sculture, dall’alto, paiono giudicare l’odio, la guerra e la brama di potere dei personaggi. L’interprete di Seneca, predicatore inascoltato, eburneo nel trucco, si unisce a quel coro di “marmo” assumendo la stessa posa della statua sopra di lui; nitido esempio, questo, di invenzione d’attore alla ricerca dell’integrazione con lo spazio. I movimenti come le voci, la coreografia (di Andrei Kuznetsov-Vecheslov) come il canto, non lasciano posto all’improvvisazione. Tutto è calibrato fin nel dettaglio. Ed è questa estrema competenza, sono questi splendidi attori-cantanti ad arginare la perdita di senso causata dalla messa in scena di uno spettacolo così monumentale in uno spazio purissimo ma di dimensioni limitate.


Un momento dello spettacolo © Luciano Romano
Un momento dello spettacolo
© Luciano Romano

Nerone, Seneca, Trotskij, Agrippina, Ottavia e il suo coro di uccelli, l’enorme esercito di terracotta decapitato, la gigantesca testa di Lenin destrutturata (a Vicenza) stipano e ingombrano oltre misura il pur ampio palcoscenico e l’orchestra dell’Olimpico. Non convince quindi l’adattamento, che ci pare improvvisato e demistificante. Lo spettatore, anche il più attento, fa fatica a comprendere la chiave registica e il senso, il messaggio profondo di uno spettacolo anzitutto “politico” Il problema non è tanto, o non è solo, lo spazio, quanto il rapporto mutilo con le videoproiezioni. Della bianca testa di Lenin che nella versione presentata all’Holland Festival dominava lo spazio scenico facendosi palcoscenico ulteriore per proiezioni e scene agite dal vivo, a Vicenza ritroviamo solo alcuni frammenti.

Viene meno, dunque, la differenziazione dei piani di narrazione e diviene contraddittorio il rapporto spettacolo dal vivo-videoproiezioni. Il regista opta per uno sdoppiamento dello spettacolo: quello live e quello video che segue, o anticipa, le azioni degli attori stessi innescando quegli effetti che all’Olimpico non è stato possibile apprezzare. Il risultato è la rappresentazione tridimensionale di un rebus da settimana enigmistica, nonostante tutto apprezzato dallo spettatore vicentino che applaude con convinzione l’esotico sound di una scelta registica meravigliosamente tratta in salvo da attori guerrieri.

 


Octavia. Trepanation
cast cast & credits
 

Un momento dello spettacolo © Luciano Romano
Un momento dello spettacolo
© Luciano Romano

 
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