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Still (still) life

di Raffaele Pavoni
  Los versos del olvido
Data di pubblicazione su web 06/09/2017  

Girato nella tutt’altro che inedita cornice del Cile di Pinochet e dei desaparecidos, questa coproduzione di Francia, Germania, Paesi Bassi e Cile vede alla regia l’iraniano Alireza Khatami, residente a Chicago, qui alla sua opera prima.

Il film, presentato nella sezione Orizzonti, narra le vicende di un funzionario di un cimitero cileno (Juan Margallo) negli anni della dittatura filo-fascista, dotato di una memoria di ferro tranne che per i nomi. Il suo compito principale è quello di riconoscere i cadaveri e di mostrarli ai loro cari Mentre da una città vicina dilaga la protesta contro il regime, i miliziani entrano nella sua morgue per nascondervi le vittime civili. Tra queste c’è il corpo di una giovane sconosciuta, di cui l’uomo si prende cura per darle una degna sepoltura, aiutato dall’amico becchino (Tomàs del Estal) e da una vecchia donna (Itziar Aizpuru).


Una scena del film
Una scena del film

Los versos del olvido evoca le vicende belliche vissute in prima persona da Khatami durante la Guerra del Golfo Se l’opera è concepita come «una riflessione sulla memoria e un omaggio poetico a tutti coloro che combattono in nome della giustizia», non convince del tutto la scelta di trasferire i ricordi autobiografici in un altrove temporale e geografico (il Cile).

La distanza è la cifra stilistica del film: pochi, essenziali dialoghi, interni claustrofobici, ambienti scarsamente illuminati, minima espressività dei personaggi. Il dramma si consuma nel non-visto, nel non-udito, e proprio per questo acquista una sua gravità. La protesta civile è quasi sempre fuori campo, mentre l’angoscia diventa il principio ordinatore del racconto, una sorta di sottotesto onnipresente che è forse l’aspetto più riuscito dell’opera.



Una scena del film
Una scena del film

Il tentativo di coniugare la poesia del cinema iraniano con la magia della tradizione letteraria latinoamericana è solo in parte riuscito. Tante le citazioni, reali o presunte. Non sappiamo, ad esempio, se Khatami abbia visto Still Life di Uberto Pasolini (2013), cui Los versos si avvicina (si usa qui un eufemismo). Non sappiamo nemmeno se sia stato influenzato dall’ironia contemplativa ed esistenzialista di Victor Erice o di Manoel De Oliveira, alla quale pure sembra dover molto. È probabile, questo sì, che abbia visto l’Emir Kusturica di Arizona Dream (1992), da cui riprende il tocco surrealista del pesce volante (in questo caso, una balena). Quel che è certo è che ha ammirato il cinema di Pablo Larraín, al punto da voler “traslocare” nel suo immaginario, quasi per impossessarsi del discorso lasciato in sospeso dal regista cileno con Il Club (2015) e Neruda (2016).


Una scena del film
Una scena del film

Non si spiega altrimenti la scelta dell’ambientazione cilena per affrontare temi universali come la morte, la giustizia, l’amicizia, l’omertà. Poco interessato a ricostruire le dinamiche socio-culturali del Cile di Pinochet, Khatami si preoccupa di riprenderne l’immaginario cinematografico, quello che Larraín in primis – ma non solo – ha contribuito a creare e a divulgare. Khatami, e qui sta il maggiore interesse della sua operazione, sembra usare la terra di Larraín come filtro per affrontare i suoi fantasmi e tradurli in un linguaggio altro, che la sua cinefilia gli permette di padroneggiare. 

In fondo Los versos del olvido è un film onesto, originale nella costruzione del racconto (si veda l’uso sicuro delle ellissi o dei silenzi), che procede per sottrazione. La ricerca dell’essenzialità non disdegna incursioni nel superfluo, nella “colloquialità” vista come unica reazione possibile alla morte. La descrizione della banalità del male è tanto asciutta quanto spietata, e la camera cerca nei pochi e stentorei sorrisi dei personaggi una via di uscita dall’orrore della quotidianità.



Los versos del olvido
cast cast & credits
 

Il regista
Il regista,
Alireza Khatami

 
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