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Horror vacui metropolitano

di Sara Mamone
  Una famiglia
Data di pubblicazione su web 04/09/2017  

C’è troppa roba nel film del giovane e talentuoso Sebastiano Riso (catanese, teatrante, classe 1983, trasferito a Roma e regista-sceneggiatore di Più buio di mezzanotte selezionato a Cannes nella Semaine de la critique). Troppa roba che offusca il molto di buono dell’idea principale, sostenuta con bella disciplina da Patrick Bruel e bel vigore da Micaela Ramazzotti. Il molto di buono si dipana dalla sequenza principale, in cui un anonimo e abusato percorso della metropolitana di Roma tradisce immediatamente dagli sguardi sordi di lui e dalla inquietudine di lei una differenza dai promettenti sviluppi.


Una scena del film

Ci vogliono però inutili digressioni nel degrado urbano ed esistenziale per capire che si tratta di una storia di dipendenza amorosa (ampiamente esibita in innumeri e puntuali scene di sesso) innestata in un turpe mercato gestito da lui e subìto con sempre maggior sofferenza e impotenti tentativi di ribellione da lei. Siamo evidentemente nello sbando dell’incultura di oggi, Roma è il perfetto simbolo di una degradazione periferica dove la legge, prima di tutto quella morale individuale ma anche quella istituzionale, ha lasciato da tempo il posto a un più o meno ingegnoso fai da te. L’arte di arrangiarsi è sempre all’altezza dei tempi. E cosa possono fare questi due sbandati senza radici né mestiere, né consistenza morale? Più redditizio e apparentemente meno rischioso delle tradizionali pratiche di prostituzione e di spaccio si affaccia l’ammodernamento di un’antica consuetudine di cessione dei figli. 


Una scena del film

Ed è proprio quello che fanno Maria e Vincent, definitivamente sradicati dalle famiglie d’origine ma abbastanza ben inseriti in un sottobosco di relazioni al limite della legalità: a saperli trovare non mancano certo i modi di aggirare la legge, o di sostituirsi ad essa quando la legge non c’è. E qui nascono i primi segni di sovrabbondanza che il film accumula nel corso del suo svolgimento e che rendono fastidiosa la gestione della vicenda quando gli incontri dei protagonisti si ampliano in un catalogo di interlocutori privi di qualunque spessore e messi lì con pura valenza dimostrativa (coppie etero sterili, coppie gay tra cui pure il vecchio attore col tenero discepolo, l’inevitabile medico corrotto che gestisce il traffico embrional-neonatale). Poco più che macchiette, ma assai, assai ingombranti. 



Una scena del film

Come ingombrantissima e del tutto inutile appare la vicenda adombrata nell’incontro di Vincent con una giovanissima borgatara sbandata pronta a divenire la successiva preda nel momento in cui la prima, avviata su un percorso di redenzione individuale, sarà pronta a rivendicare i suoi diritti di madre sottraendo l’ultimo nato al suo destino di merce pregiata. Peccato perché quando i due protagonisti vengono isolati dal mondo e la macchina da presa li afferra fin nelle viscere la potenza del racconto si fa credibile e perde ogni pretestuosa tendenziosità. 



Una famiglia
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La locandina
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