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Non riconciliati

di Luigi Nepi
  The Insult
Data di pubblicazione su web 14/09/2017  

«Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» (Matteo 18, 21-22). «Chi poi perdona e fa pace tra sé e l’avversario, gliene darà mercede Iddio, poiché Dio ama i giusti» (Corano 42, 40).

In una Beirut solo apparentemente pacificata, The Insult di Ziad Doueiri si sofferma sulle enormi tensioni che ancora covano all’interno delle varie fazioni, le quali sembrano essere sempre alla ricerca di un pretesto qualsiasi per riesumare quella spirale di violenza intestina che ha praticamente distrutto una nazione così ricca ed evoluta da essere considerata, nel bene e nel male, la Svizzera del Medio Oriente.

Una scena del film
Una scena del film

In questo contesto un banale sgocciolamento dalla gronda di una terrazza sulla strada sottostante genera un contrasto tra Toni (Adel Karam), un meccanico militante del partito cristiano maronita, e Yasser (Kamel El Basha), un ingegnere edile palestinese che da profugo ha dovuto riciclarsi come caposquadra in uno dei tanti cantieri di una Beirut in ripresa economica. Il loro contrasto degenera, soprattutto per l’intransigenza di Toni che arriva a offendere così pesantemente Yasser da causarne una reazione irriflessa e violenta che rompe due costole al rivale. Si arriva quindi inevitabilmente allo scontro in un crescendo giudiziario, politico e sociale che mette totalmente a nudo le vite dei protagonisti e finisce per trascenderle andando a coinvolgere prima le due comunità locali per poi diventare un caso di rilevanza nazionale.

Una scena del film

Una scena del film

«Ariel Sharon avrebbe dovuto sterminarvi tutti!». È questo l’insulto che Toni lancia a Yasser, venuto a chiedere scusa dei primi screzi avuti, ed è un insulto che restituisce esattamente l’immagine di un paese non completamente riconciliato dove, nonostante le apparenze, la convivenza tra le sue varie anime è ancora pericolosamente in bilico, continuamente minacciata sia dal fresco ricordo di una sanguinosa guerra civile con le sue troppe stragi, che dalla fantasmagorica presenza dello stato di Israele, che ancora aleggia minacciosa nella memoria di tutti.

Sebbene sia stato assistente di Tarantino (autore molto attento al cinema che arriva da quei paesi) e Rodriguez, Doueiri non sembra particolarmente interessato a trasportare quel tipo di estetica nella rappresentazione delle tensioni interne al suo paese, preferendo usare uno stile cronachistico, con un uso massiccio della camera a mano e lunghe inquadrature che pedinano i personaggi per le scene in esterna, affidandosi a un montaggio più serrato – che porta a una netta divisione dei ruoli – in quelle processuali. Sono proprio queste ultime sequenze il vero cuore del film (d’altra parte Doueiri è figlio di un giudice e di una giurista), mostrando come la situazione renda particolare l’amministrazione della giustizia in Libano, dove ai giudici non basta l’esposizione dei fatti, ma hanno la necessità di entrare nel merito delle condizioni generali e personali in cui questi fatti sono stati commessi, cercando di capire, per quanto possibile, gli stati d’animo delle parti in causa. 


Una scena del film
Una scena del film

Il tribunale è anche il luogo in cui finiscono per confrontarsi due diverse generazioni e due distanti visioni della società libanese: quella più faziosa e ancorata ai valori tradizionali, incarnata dall’anziano avvocato del partito che difende Toni, e quella più moderna ed ecumenica rappresentata da sua figlia che si offre di difendere gratuitamente Yasser. Ed è proprio qui che emerge anche la recitazione misurata e naturale di Kamel El Basha (un’inaspettata Coppa Volpi a Venezia 2017 per un attore di teatro esordiente al cinema), il cui volto riesce a ricomporre le tante sfumature di un uomo profondamente cambiato dalla vita, e a rendere credibile quella gentilezza che ne sancisce la “conversione” rispetto ai brutali integralismi giovanili. Una cifra a cui non può che contrapporsi l’interpretazione muscolare e volutamente monocorde di Adel Karam, la cui fissità ben si addice al suo immobilismo ideale e politico, ancora fermo agli inizi degli anni ’80 e ai discorsi falangisti di Bashir Gemayel che ascolta alla televisione e che, nella loro esplicita violenza, si rivelano paurosamente simili a quelli che oggi vengono fatti da troppi politici sparsi per il mondo.

The Insult è un film godibile, ben fatto, che mantiene una giusta tensione emotiva per le quasi due ore della sua durata, ma che, alla fine, non riesce a nascondere il suo aspetto smaccatamente didascalico. E questo, inevitabilmente, lascia un po’ di amaro in bocca.



The Insult
cast cast & credits
 

La locandina
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