È fresco di Golden Globe il noir già premiato a Venezia di Martin McDonagh, inglese di origini
irlandesi, classe 1970, al suo terzo lungometraggio, dopo In Bruges – La coscienza dellassassino (2008) e 7 psicopatici (2012). Contraddistinti da
un umorismo perverso e un po “violento”, questi film hanno contribuito a
rendere seminoto il suo nome nella cerchia dei cinefili. Manca ancora la
consacrazione a regista “di culto”. Ma dopo Three
Billboards Outside Ebbing, Missouri, le cose sono destinate a cambiare.
Le
vicende narrate, ambientate in una provincia americana qualunque (Ebbing è un
luogo di fantasia), hanno per protagonista Mildred (Frances McDormand), madre in cerca di giustizia per lo stupro e
lassassinio della figlia, i cui colpevoli non sono mai stati accertati.
Accusando la polizia locale di incompetenza e di negligenza, la donna decide di
noleggiare tre cartelloni pubblicitari in una strada secondaria. Qui Mildred
appenderà tre manifesti con altrettante domande, per chiedere giustizia e interpella direttamente il capo della polizia William Willoughby
(Woody Harrelson). Lo sceriffo,
malato terminale di cancro, cercherà di placare la disperazione della madre sottolineando la oggettiva assenza di prove
incriminanti, ma invano. Al suo decesso, il suo
braccio destro, la “testa calda” Dixon (Sam
Rockwell), malmenerà lagente pubblicitario Red (Caleb Landry Jones), reo di aver concesso lo
spazio per i tre manifesti. È linizio di una vera e propria guerra destinata a
lacerare la pacifica comunità locale; a questa ne corrisponderà unaltra, più
intima: quella tra Mildred e lex marito Charlie (John Hawkes) sulla responsabilità della morte della figlia.
Una scena del film
Di
estrazione teatrale, McDonagh non è forse un personaggio particolarmente
simpatico, ma tra le sue virtù possiede una non comune sicurezza di sé e dei
propri mezzi espressivi. Ama il dettaglio. Il tema trattato offre numerosi
spunti per una riflessione socio-politica sullAmerica contemporanea: assenza
di punti di riferimento, mancanza di fiducia verso una giustizia che non sia
quella personale, precarietà dei legami familiari, etc.
Dai
film precedenti il regista riprende un certo gusto noir, se non addirittura pulp,
fatto di psicologie perverse, madri che istigano alla violenza, sorridenti
padri di famiglia che si suicidano, poliziotti razzisti, parcheggiatori nani
alcolisti, il tutto in un complesso reticolo di vendette, rivalse, desideri di
riscatto. Ma soprattutto cè tanta commedia, tanto strepitoso black humour.
McDonagh
punta tutto sulla performance degli
attori e sulla perfezione della sceneggiatura (probabilmente un retaggio del
suo background teatrale). Quasi tutto
il film si regge sulla performance,
potente ma mai eccessiva, di Frances McDormand. Dichiara lattrice: «per creare
Mildred mi sono ispirata a John Wayne, perché non cerano modelli femminili
analoghi su cui basarmi». Il suo è un personaggio inedito, complesso, disegnato
per sottrazione: una lottatrice dal volto coriaceo e dallapparente
insensibilità verso cause che non siano la propria.
Una scena del film
Tutti
i personaggi sono privi di psicologia, mere pedine al servizio dellazione; nei
loro confronti né la macchina da presa né lo spettatore possono provare
empatia. In base a una continua, elementare dialettica bene-male, con tutte le
intersezioni tipiche del pulp (il
male dentro il bene, il bene che sembra male, il male che ambisce a diventare
bene, etc.), i tre protagonisti, su cui ruota il sapiente gioco al massacro di
McDonagh (Mildred, Willoughby, Dixon), non hanno altra funzione che quella di
rilanciare continuamente il gioco, come in un dedalo di incastri in cui tutti i
pezzi sono necessari, e tutto è finalizzato allintrattenimento.
Three Billboards è un film
splendidamente “cinematografico”, finzionale, avulso da qualsiasi coordinata
spazio-temporale. Il pubblico, inevitabilmente, assocerà McDormand con il marito Joel Coen. Effettivamente la narrazione della pellicola sembra
svilupparsi sulla falsariga di quella di
Fargo (1996), film per il
quale la stessa McDormand è stata insignita di un Oscar come Migliore Attrice
Protagonista.
Una scena del film
Con questa
terza pellicola McDonagh marca il segno più ancora che nei precedenti, rappresentandone una
sorta di perfezionamento: Three
Billboards parte dal pretesto dellaffissione dei tre manifesti, vero e
proprio casus belli, hamartia di una tragedia di cui non
vediamo la fine, o quantomeno di una dinamica di eventi tale da minare lordine
costituito. Questa mattanza costantemente in
fieri, mai fine a sé stessa, genera un climax
destinato a durare potenzialmente allinfinito e che si protrae ben oltre i
titoli di coda (altro elemento tipicamente coeniano).
Nella
spirale di violenza la fine può esistere, ma può anche non esistere: tutto
dipende dalla volontà dei protagonisti di proseguire lazione. Non solo. Con Three Billboards ci si diverte, molto
più di quanto avremmo sperato. E si ride, di gusto, perché le battute sono
buone, i personaggi funzionano, e una buona dose di cinismo fa sempre bene.
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