Un tripudio. Venti minuti di applausi ininterrotti e ripetute
chiamate. Questa in sintesi lovazione tributata dal pubblico del Teatro alla
Scala di Milano a Progetto Händel, la
creazione firmata da Mauro Bigonzetti con Svetlana Zakharova, Roberto Bolle e il Corpo di Ballo
milanese.
Un felice, anzi felicissimo debutto in prima assoluta che ricuce i
rapporti tra Bigonzetti e il Teatro milanese, dopo le sue dimissioni da
direttore della Compagnia di Ballo nel 2016, e saluta il ritorno ufficiale di Frédéric Olivieri alla guida dellorganico
tersicoreo. Una nomina avvenuta il 5 maggio e seguita il 24 dalla presentazione
della nuova stagione di balletto in concomitanza con le repliche di Progetto Händel, andato in scena dal 20 maggio al 1° giugno. Insomma una serie di
favorevoli coincidenze che fanno grande la Scala, chi ci lavora in pianta
stabile e chi viene chiamato ad esprimervi il proprio talento.
Sì perché quello di Bigonzetti, giunto alla sua settima committenza
scaligera, è proprio un talento, un ingenium
ascrivibile a una poetica postclassica che diventa
neoclassico-contemporanea per il suo essere accademicamente anticlassica o
classicamente antiaccademica a seconda dei punti di vista.
Un momento dello spettacolo © Marco Brescia & Rudy Amisano Un ossimoro che riflette loriginale creatività del coreografo romano,
figlio di “padri spirituali” come Balanchine,
Forsythe, Tetley, Cunningham, il
quale ha dimostrato da tempo di aver raggiunto una peculiare e riconoscibile
cifra espressiva e di saperla declinare. Un fare danza con cui egli recupera,
manipola, fonde propri stilemi, senza mai cadere nellautoreferenzialità o nellautocitazionismo,
individuando nella scelta musicale il modo di rendere più incisivo il suo
pensare “coreologico”.
Un pensare che si nutre di echi e reminiscenze delle coreografie
ideate per il Balletto di Toscana, fra cui Mediterranea
– riallestita dal Corpo di Ballo della Scala –; nonché di quelle, numerose, per
lAterballetto e per grandi formazioni internazionali, quali ad esempio Caravaggio per il Balletto dellOpera di
Berlino del 2008, Cinderella per la
Scala del 2015 e Deep per lAlvin
Ailey American Dance Company del 2016.
Alla base di questa nuova creazione cè una progettualità ben precisa
che si sviluppa nella prima parte su quindici brevi Suite di Händel eseguite
al pianoforte da James Vaughan, e nella seconda su nove Sonate con una Suite a opera del gruppo cameristico composto dal violino di Francesco de Angelis, loboe di Fabien Thouand, il flauto di Andrea Manco, il violoncello di Massimo Polidori, il clavicembalo di James Vaughan.
Una restituzione coreografica della musica barocca che se da un lato
esalta il disegno melodico di
Händel con le sue impetuose linee intime, dallaltra ne coglie la
teatralità musicale con il suo afflato mondano e grandioso.
Un momento dello spettacolo © Marco Brescia & Rudy Amisano Bigonzetti non è nuovo a interfacciarsi con il “caro sassone”. È già
successo con InCanto del 2007 e con Come un respiro del 2009 creati per lAterballetto,
e con Festa Barocca del 2008 firmato
per lAlvin Ailey American Dance Theater. Ora torna a incontrare Händel per
realizzare una partitura coreografica astratta in cui paradossalmente a “narrarsi”
è proprio il movimento che riflette e dà corpo alla musica, coinvolgendo lo
spettatore.
Uno spettatore trascinato dal turbinio di emozioni che sprigionano le
note musicali restituite da una danza dinamica, vibratile, lirica, furiosa,
giocosa, frenetica, sensuale, atletica, che non concede spazio al décor se non nel caldo riverbero delle
luci di Carlo Cerri (scena in bianco
e nero nella prima parte e cromatica nella seconda), e negli stupendi e
geometrici costumi cangianti di Helena
de Medeiros.
Progetto Händel è un
balletto concertante che si appropria delle forme classiche degli assoli, dei
passi a due, delle scene corali, per dare libero sfogo a unurgenza compositiva
contemporanea. E lo fa attraverso “mosse” contrappuntistiche, estremizzati off-balance, inaspettati release, giochi di teste, braccia e gambe in
gara con la velocità o il lirismo della musica fino allinvenzione di prese
originalissime. Prese che, ispirate a quelle del grand pas classique, diventano
nuove per la prorompente fisicità e lattorcigliata plasticità delle
figurazioni.
Figurazioni realizzate grazie a corpi – come dice Bigonzetti – “alfabetizzati”
e capaci di profonde vibrazioni, di eccentrici legati, di linee contratte,
ellittiche, implosive ed esplosive che creano una sorta di vertigine cinetica
spudoratamente antiaccademica nelleseguire développés
e développés penchés oltre i 180°, attitudes, salti e
batterie fuori asse, e anticlassica nelluso sfacciato delle punte.
Un momento dello spettacolo © Marco Brescia & Rudy Amisano Non costrittive scarpette ma strumenti per oltrepassare i limiti
fisici, sorprendere, stupire con la bellezza di gambe “appuntite” o “puntute”
in grado di disegnare nello spazio la partitura musicale. E lo stesso dicasi
per il modo virile di esaltare il corpo maschile in cui, sempre
paradossalmente, la forza deve andare di pari passo con la leggerezza in un
antitetico eppure eloquente connubio.
Un neoclassicismo-contemporaneo che permea di sé tutta lopera e tocca
lapice quando nella seconda parte si allude al pas de deux del Cigno nero del Lago
dei Cigni con un piglio improvviso e una resa spiazzante.
E se straordinari sono i ventidue ballerini della Scala, strepitosi
risultano Roberto Bolle e Svetlana Zacharova accomunati dalla
curiosità di misurarsi con lincontenibile estro di Bigonzetti. La Zacharova,
indiscussa icona della ballerina classica per fisico e tecnica, si cimenta con
grande successo nello stile “bigonzettiano” riuscendo a coglierne le asprezze e
le morbidezze e regalando unimmagine di sé inaspettata e affascinante.
Bolle, letteralmente “nelle mani” del coreografo, al di là della
scontata bravura mostra fin dove possano arrivare la maturità coreutica, lintelligenza
e la sensibilità di colui che chiamasi artista.
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