È
difficile mettere in scena Aristofane
per vari motivi: il legame profondo con lAtene del suo tempo, gli elementi
metateatrali, il turpiloquio, le allusioni sessuali. Il rischio è duplice:
rimanere troppo legati al testo perdendone il carattere universale o distaccarsene
tralasciando il significato originario. La mediocritas
tra conservatorismo e sperimentalismo è difficilmente praticabile.
Lo
spettacolo Pluto, che ha debuttato il
22 maggio al Teatro alle Colonne di Milano, con la regia di Christian Poggioni e la direzione
drammaturgica di Elisabetta Matelli (anche
traduttrice del testo), si pone consapevolmente nel mezzo. Il testo
aristofanesco è rispettato e nel contempo rivitalizzato. Loperazione maieutica
volta a far emergere il senso primigenio e senza tempo della commedia è
riuscita.
Pluto, messo in scena
ad Atene nel 388 a.C., è lultima commedia del grande Aristofane (a questa
altezza cronologica si è già avviati verso la “commedia nuova”). Nel dramma
sono presenti riferimenti alla situazione sociale ateniese post guerra del
Peloponneso; in particolare è focalizzato limpoverimento dei piccoli
proprietari terrieri con il conseguente aumento del divario tra ricchi e
poveri.
Un momento dello spettacolo © Maria Rosa Pellico
La
gravitas del problema etico, sociale
e politico dellingiusta distribuzione delle ricchezze è affrontata con la levitas della commedia. Il tono dello
spettacolo è agrodolce, la comicità leggera è limitata a poche scene e la
tenerezza empatica più che il riso è il sentimento suscitato nel pubblico.
Lo
spettacolo inizia con lingresso in scena del vecchio Crèmilo e del servo
Carione, seguiti dal cieco Pluto, dio della ricchezza. In base a un topos aristofanesco, leroe comico
Crèmilo espone nel prologo il piano attorno a cui ruoterà la vicenda:
restituirà la vista a Pluto, così che questi non distribuirà più il denaro a
caso. «È giusto che le persone oneste stiano economicamente bene, e che
lopposto accada invece ai malvagi e agli empi. […] Pluto si recherà dagli
uomini onesti e non li lascerà più, mentre si terrà alla larga dai malvagi e
miscredenti». Come nella tragedia, limpresa è assunta con decisione cosciente.
Fin
dalle prime battute emerge il divertente rapporto dialettico servo-padrone; al
bisogno di Carione di soddisfare il ventre si contrappone il citato pensiero
utopico di Crèmilo, allegoismo semplice laltruismo benevolo, alla comicità
bassa lironia pungente. Gli interpreti dei due personaggi esprimono con
bravura questa polarità, luno soprattutto attraverso il corpo (Paolo Zunino ha una fisicità debordante),
laltro privilegiando la voce (incisiva la retorica di Marco Macedonio).
Nellintero spettacolo il servo è il motore della vis comica.
Segue la parodo con lingresso impetuoso di dieci coreuti abbigliati e
truccati da vecchi contadini che brandiscono attrezzi agricoli. I contadini ballano e festeggiano limminente
fine della povertà. Le danze esprimono gioia, spensieratezza e una certa
ingenuità infantile. Per
gli altri intermezzi corali, indicati nella commedia solo dalla didascalia KOPOY,
sono state utilizzate
riscritture di canti popolari greci moderni, composti ed eseguiti dal musicista
Adriano Sangineto.
Nellagone
si fronteggiano Penìa (povertà) e Crèmilo, realtà e utopia. È mantenuta la
scansione “responsiva” della sizigia
epirrematica, in cui i due
personaggi si fronteggiano in un duello oratorio. Penìa (Francesca Beltrame), vestita e truccata di bianco, dal portamento
austero, sostiene con fermezza la necessità della “povertà” (distinta dalla
“miseria”) come motore non solo economico ma anche etico della società. «Se
Pluto tornasse a vedere e distribuisse equamente sé stesso, nessun uomo
praticherebbe più un mestiere né unarte! […] La vita di chi è in miseria è un
esistere senza niente. Invece il povero vive risparmiando e pensando al lavoro,
sì, senza avere nulla di superfluo, ma comunque non privo del necessario. […] Tu non capisci che io rendo gli uomini
migliori di quanto non faccia Pluto, nel pensiero e nella forma fisica. […] Con me abita la moderazione, mentre con
Pluto leccesso».
Un momento dello spettacolo © Maria Rosa Pellico
Crèmilo
rimane saldo nel suo proposito, ma non può che condividere il pensiero di
Povertà sul comportamento dei politici: «quando sono poveri agiscono in modo
onesto verso il popolo e la città, ma appena si arricchiscono a spese
pubbliche, subito divengono disonesti, creano macchinazioni contro la massa,
fanno guerra al popolo». La condanna della classe politica è leitmotiv delle commedie di Aristofane, che
la espresse immutata per decenni, anche riferita a regimi diversi.
Lagone
si chiude con una clamorosa contradictio
in abiecto. Crèmilo rinuncia a utilizzare lo strumento della ragione. «Ora
va a fanculo! È meglio per me diventare ricco e lasciarti piangere mentre ti
picchi il capo!».
Segue
il racconto dellavvenuta guarigione di Pluto. Carione riferisce in modo comico
– è la derisione della tragica rhesis
angheliké – che Pluto è stato condotto nel santuario di Asclepio e che
grazie allintervento divino ha riacquistato la vista.
Riuscito
lo scherno del rito dellincubatio.
Il servo si mostra più interessato alla polenta che ha “sbafato” nel santuario
che al miracolo cui ha assistito. Il piacere gastronomico si conferma idolo
aristofanesco.
Non
manca nello spettacolo labbattimento della
quarta parete. «Non è una cosa conveniente che chi cura la messinscena faccia
gettare fichi e frutta secca agli spettatori e che poi li costringa a ridere!»
(Pluto). Gli attori gettano frutti al pubblico.
Seguono
scene vivaci in cui vari tipi umani mostrano gli effetti della recuperata vista
di Pluto. Solo luomo onesto esprime felicità per questo cambiamento, di cui invece
si lamentano gli altri: il sicofante, la vecchia
amante di un giovane mantenuto, il sacerdote di Zeus salvatore, lo stesso dio
Hermes: «da quando Pluto ha cominciato a vedere di nuovo, nessuno offre più
agli dèi incenso, alloro, una focaccia, un sacrificio animale, assolutamente più
nulla!». Spinoso e attuale il rapporto tra ricchezza e apparato religioso.
Il
sicofante, allegoria della corruzione stigmatizzata nella commedia antica,
viene denudato in scena. Si alternano sapientemente toni comici e toni amari.
Emerge
un quadro desolante dellumanità. Un “ciclo dei vinti” in cui gli uomini sono
chiusi nellindividualismo della loro misera vita.
Un momento dello spettacolo © Maria Rosa Pellico Lepilogo
è brusco e problematico. Sono introdotti tuoni e lampi che annunciano la rabbia
di Zeus per il sovvertimento dellordine della polis. Crèmilo sembra cambiare idea repentinamente: «collocheremo
subito Pluto nel luogo in cui era collocato prima per sorvegliare sempre
lopistodomo, la cella sul retro del Partenone in cui si conserva il tesoro
della città!». Leroe comico decide di trasferire il dio nel tempio di Atena. La
commedia si conclude con il corteo che lo accompagna nella sua nuova sede. In
questa processione Pluto è, in modo originale, vestito da statua: da dio
dispensatore di ricchezza nei confronti di singoli individui diviene custode
del tesoro della città, bene comune della polis.
«LEsodo del
Pluto sembra aprire una porta alla possibilità di un nuovo sogno per la città:
lutopia che sia possibile una equa distribuzione delle ricchezze tra gli
individui ha rivelato le sue aporie ma alla fine il poeta decide che il dio
Pluto, finalmente vedente e non cieco come era prima, venga ritualmente
“ri-collocato” nel Partenone – a questo punto come statua – a proteggere il
tesoro della città» (E. Matelli, dal libretto di sala).
La
scenografia di Dino Serra è minimal:
un proscenio a scala, una porta a delimitare spazio scenico e retroscenico. I
costumi nelle diverse sfumature ocra, realizzati da Chiara Barlassina, richiamano la terra intesa sia in senso fisico,
la cui distribuzione costituisce la quaestio,
sia come luogo in cui vive la comunità. Bene privato e bene pubblico.
Lo
spettacolo ha il merito di restituire il ridimensionamento del trionfalismo
comico presente nel Pluto che si
caratterizza per lironia rabbiosa verso le ingiustizie sociali più che per lumorismo
paradossale delle commedie aristofanesche precedenti.
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