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Pluto guardiano di avari e prodighi

di Diana Perego
  Pluto
Data di pubblicazione su web 06/06/2017  

È difficile mettere in scena Aristofane per vari motivi: il legame profondo con l’Atene del suo tempo, gli elementi metateatrali, il turpiloquio, le allusioni sessuali. Il rischio è duplice: rimanere troppo legati al testo perdendone il carattere universale o distaccarsene tralasciando il significato originario. La mediocritas tra conservatorismo e sperimentalismo è difficilmente praticabile.

Lo spettacolo Pluto, che ha debuttato il 22 maggio al Teatro alle Colonne di Milano, con la regia di Christian Poggioni e la direzione drammaturgica di Elisabetta Matelli (anche traduttrice del testo), si pone consapevolmente nel mezzo. Il testo aristofanesco è rispettato e nel contempo rivitalizzato. L’operazione maieutica volta a far emergere il senso primigenio e senza tempo della commedia è riuscita.

Pluto, messo in scena ad Atene nel 388 a.C., è l’ultima commedia del grande Aristofane (a questa altezza cronologica si è già avviati verso la “commedia nuova”). Nel dramma sono presenti riferimenti alla situazione sociale ateniese post guerra del Peloponneso; in particolare è focalizzato l’impoverimento dei piccoli proprietari terrieri con il conseguente aumento del divario tra ricchi e poveri.



Un momento dello spettacolo
© Maria Rosa Pellico 

La gravitas del problema etico, sociale e politico dell’ingiusta distribuzione delle ricchezze è affrontata con la levitas della commedia. Il tono dello spettacolo è agrodolce, la comicità leggera è limitata a poche scene e la tenerezza empatica più che il riso è il sentimento suscitato nel pubblico.

Lo spettacolo inizia con l’ingresso in scena del vecchio Crèmilo e del servo Carione, seguiti dal cieco Pluto, dio della ricchezza. In base a un topos aristofanesco, l’eroe comico Crèmilo espone nel prologo il piano attorno a cui ruoterà la vicenda: restituirà la vista a Pluto, così che questi non distribuirà più il denaro a caso. «È giusto che le persone oneste stiano economicamente bene, e che l’opposto accada invece ai malvagi e agli empi. […] Pluto si recherà dagli uomini onesti e non li lascerà più, mentre si terrà alla larga dai malvagi e miscredenti». Come nella tragedia, l’impresa è assunta con decisione cosciente.  

Fin dalle prime battute emerge il divertente rapporto dialettico servo-padrone; al bisogno di Carione di soddisfare il ventre si contrappone il citato pensiero utopico di Crèmilo, all’egoismo semplice l’altruismo benevolo, alla comicità bassa l’ironia pungente. Gli interpreti dei due personaggi esprimono con bravura questa polarità, l’uno soprattutto attraverso il corpo (Paolo Zunino ha una fisicità debordante), l’altro privilegiando la voce (incisiva la retorica di Marco Macedonio). Nell’intero spettacolo il servo è il motore della vis comica.  

Segue la parodo con l’ingresso impetuoso di dieci coreuti abbigliati e truccati da vecchi contadini che brandiscono attrezzi agricoli. I contadini ballano e festeggiano l’imminente fine della povertà. Le danze esprimono gioia, spensieratezza e una certa ingenuità infantile. Per gli altri intermezzi corali, indicati nella commedia solo dalla didascalia KOPOY, sono state utilizzate riscritture di canti popolari greci moderni, composti ed eseguiti dal musicista Adriano Sangineto.

Nell’agone si fronteggiano Penìa (povertà) e Crèmilo, realtà e utopia. È mantenuta la scansione “responsiva” della sizigia epirrematica, in cui i due personaggi si fronteggiano in un duello oratorio. Penìa (Francesca Beltrame), vestita e truccata di bianco, dal portamento austero, sostiene con fermezza la necessità della “povertà” (distinta dalla “miseria”) come motore non solo economico ma anche etico della società. «Se Pluto tornasse a vedere e distribuisse equamente sé stesso, nessun uomo praticherebbe più un mestiere né un’arte! […] La vita di chi è in miseria è un esistere senza niente. Invece il povero vive risparmiando e pensando al lavoro, sì, senza avere nulla di superfluo, ma comunque non privo del necessario. […] Tu non capisci che io rendo gli uomini migliori di quanto non faccia Pluto, nel pensiero e nella forma fisica. […] Con me abita la moderazione, mentre con Pluto l’eccesso».



Un momento dello spettacolo
© Maria Rosa Pellico 

Crèmilo rimane saldo nel suo proposito, ma non può che condividere il pensiero di Povertà sul comportamento dei politici: «quando sono poveri agiscono in modo onesto verso il popolo e la città, ma appena si arricchiscono a spese pubbliche, subito divengono disonesti, creano macchinazioni contro la massa, fanno guerra al popolo». La condanna della classe politica è leitmotiv delle commedie di Aristofane, che la espresse immutata per decenni, anche riferita a regimi diversi.  

L’agone si chiude con una clamorosa contradictio in abiecto. Crèmilo rinuncia a utilizzare lo strumento della ragione. «Ora va’ a fanculo! È meglio per me diventare ricco e lasciarti piangere mentre ti picchi il capo!».  

Segue il racconto dell’avvenuta guarigione di Pluto. Carione riferisce in modo comico – è la derisione della tragica rhesis angheliké – che Pluto è stato condotto nel santuario di Asclepio e che grazie all’intervento divino ha riacquistato la vista.

Riuscito lo scherno del rito dell’incubatio. Il servo si mostra più interessato alla polenta che ha “sbafato” nel santuario che al miracolo cui ha assistito. Il piacere gastronomico si conferma idolo aristofanesco.  

Non manca nello spettacolo l’abbattimento della quarta parete. «Non è una cosa conveniente che chi cura la messinscena faccia gettare fichi e frutta secca agli spettatori e che poi li costringa a ridere!» (Pluto). Gli attori gettano frutti al pubblico.

Seguono scene vivaci in cui vari tipi umani mostrano gli effetti della recuperata vista di Pluto. Solo l’uomo onesto esprime felicità per questo cambiamento, di cui invece si lamentano gli altri: il sicofante, la vecchia amante di un giovane mantenuto, il sacerdote di Zeus salvatore, lo stesso dio Hermes: «da quando Pluto ha cominciato a vedere di nuovo, nessuno offre più agli dèi incenso, alloro, una focaccia, un sacrificio animale, assolutamente più nulla!». Spinoso e attuale il rapporto tra ricchezza e apparato religioso.

Il sicofante, allegoria della corruzione stigmatizzata nella commedia antica, viene denudato in scena. Si alternano sapientemente toni comici e toni amari.

Emerge un quadro desolante dell’umanità. Un “ciclo dei vinti” in cui gli uomini sono chiusi nell’individualismo della loro misera vita.



Un momento dello spettacolo
© Maria Rosa Pellico

L’epilogo è brusco e problematico. Sono introdotti tuoni e lampi che annunciano la rabbia di Zeus per il sovvertimento dell’ordine della polis. Crèmilo sembra cambiare idea repentinamente: «collocheremo subito Pluto nel luogo in cui era collocato prima per sorvegliare sempre l’opistodomo, la cella sul retro del Partenone in cui si conserva il tesoro della città!». L’eroe comico decide di trasferire il dio nel tempio di Atena. La commedia si conclude con il corteo che lo accompagna nella sua nuova sede. In questa processione Pluto è, in modo originale, vestito da statua: da dio dispensatore di ricchezza nei confronti di singoli individui diviene custode del tesoro della città, bene comune della polis.  

«L’Esodo del Pluto sembra aprire una porta alla possibilità di un nuovo sogno per la città: l’utopia che sia possibile una equa distribuzione delle ricchezze tra gli individui ha rivelato le sue aporie ma alla fine il poeta decide che il dio Pluto, finalmente vedente e non cieco come era prima, venga ritualmente “ri-collocato” nel Partenone – a questo punto come statua – a proteggere il tesoro della città» (E. Matelli, dal libretto di sala).

La scenografia di Dino Serra è minimal: un proscenio a scala, una porta a delimitare spazio scenico e retroscenico. I costumi nelle diverse sfumature ocra, realizzati da Chiara Barlassina, richiamano la terra intesa sia in senso fisico, la cui distribuzione costituisce la quaestio, sia come luogo in cui vive la comunità. Bene privato e bene pubblico.

Lo spettacolo ha il merito di restituire il ridimensionamento del trionfalismo comico presente nel Pluto che si caratterizza per l’ironia rabbiosa verso le ingiustizie sociali più che per l’umorismo paradossale delle commedie aristofanesche precedenti. 



Pluto
cast cast & credits
 



Un momento dello spettacolo
di scena al Teatro alle Colonne di
S. Lorenzo, Milano
© Maria Rosa Pellico 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

 
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