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Psicologia e fantasia, nel gioco dei ruoli

di Gianni Poli
  L'isola degli schiavi
Data di pubblicazione su web 04/04/2017  


Irina Brook aveva allestito l’atto unico di Marivaux nel 2005 a Parigi. Ora, direttrice del Théātre National de Nice, collabora con il Teatro Stabile di Genova alla sua produzione italiana, una versione ludica e fantasiosa, frutto d’un adattamento che ambienta la vicenda nell’attualità.

 

Lo spettacolo inizia con un Prologo inventato, molto mimato e ritmato da canzoni sudamericane, che sostituisce il naufragio, raccontato nel testo originale, con un incidente aereo, a seguito del quale i sopravvissuti si ritrovano su un’isola immaginaria della Grecia. Vige colà un regno, fondato da una colonia di schiavi rivoltosi e il cui governo impone ai cittadini lo scambio dei ruoli fra servo e padrone. I malcapitati, i signori Ificrate ed Eufrosina, accompagnati dai servi Arlecchino e Cleante, debbono quindi scambiarsi abiti e nomi, per sperimentare a proprie spese lo strano regime, gestito dal governatore Trivellino con saggezza inflessibile e calma impassibile. Sarà un esercizio rieducativo, un iter di “redenzione”, affinché i privilegiati, superbi e prepotenti, riconoscano gli eccessi e i subalterni si liberino dagli stereotipi e dai rancori di vittime.

 

Il programma pedagogico è svolto con immagini e relazioni dalla teatralità vivace e divertente. Forse ne risente il discorrere raffinato e acuto dei personaggi di Marivaux, in perenne tenzone verbale, mentre prevalgono individui d’una fisicità immediata e coinvolgente. La regista ha intonato le situazioni drammatiche alle doti degli interpreti, così da incarnarle in azioni forti e precise. Il risultato dimostra un allenamento integrale sia all’azione parlata sia all’espressione mimica e corporea. 


Un momento dello spettacolo © Calori
Un momento dello spettacolo 
© Caroli

Nello spazio scenico aperto e libero, una spiaggia arretra dal proscenio verso un fondale azzurrato. Al centro, l’architrave che regge una tenda è un resto d’architettura antica. Dai bagagli sparsi saltan fuori i costumi e altri oggetti di recupero, quali una radio, un salvagente, dei bastoni da sci. Gli abiti sono vivaci e ordinari, per i poveri; d’eleganza vistosa, per i ricchi.

 

Il giovane attore nero Martin Chishimba interpreta Arlecchino ed è più facile ottenere la coincidenza fra il rango inferiore e il tipo esotico e selvaggio. La sua recitazione che sfoggia agilità e disinvoltura, unite all’autoironia sprizzante dalla dizione nitida e sciolta, è simpaticamente irresistibile. Della “maschera” tradizionale conserva ormai soltanto la consapevolezza d’una funzione di contrasto, di demistificazione delle idee correnti; rende immediato l’elemento d’alterità perturbante nel confronto con figure di radicato conformismo.

 

Trivellino ha in Andrea Di Casa un autorevole tessitore di mozioni al vivere civile. In forma di consigli, dà voce a comandi d’un moralismo bonario e rigoroso, motivando a livello profondo le ragioni d’una “conversione”, in visione utopica, ma necessaria, a un più elevato umanesimo. Funge pure da “regista” degli incontri pedagogici, che scandisce con un gong, quasi fossero le riprese di un match. Duilio Paciello è un Ificrate disorientato e imbranato negli insoliti panni servili. Non rassegnato, velleitario nella prospettiva del recupero del proprio stato, arreso all’evidenza dimostrata delle sue debolezze e dei suoi vizi.


Un momento dello spettacolo © Calori
Un momento dello spettacolo 
© Caroli

 

Le protagoniste offrono due facce convincenti e complementari della femminilità messa a nudo. Cleante ha in Marisa Grimaldo vigore ed entusiasmo: passionale, spontanea, controllata nella facile tentazione verso una vendetta crudele. Descrive i comportamenti della rivale con un  crescendo di energia, finezza e verve comunicativa. Elena Gigliotti, con una grazia un po’ esibizionista, mai leziosa, è duttile e sensibile nel rendere Eufrosina un modello di signora, bersagliata e svelata fino all’intimità, ma degna d’una classe, anche morale, da riconquistare con sopportazione.


La prima metamorfosi istiga la lotta fra Arlecchino padrone e Ificrate servitore, sfogata in una schermaglia a colpi di racchette puntute. Allora, lo sdegno di Ificrate spodestato e insultato scatena una rissa che rispecchia quelle fra italiani ed extracomunitari. Il duello fra le donne è teso e sospeso, durante il ritratto psicologico che Cleante traccia della sua padrona, in sua presenza. La sequenza, che nel testo costituisce il clou nel processo sperimentale di rieducazione, pare qui scorciata e ha momenti giustamente anacronistici, frutto di fantasia e stato d’animo sovraeccitato, quali il déshabillé e la discesa in piscina di Eufrosina, dove rischia d’essere affogata dalla vendicativa Cleante. Sono invenzioni in clima onirico, del resto derivanti dall’impulso immaginario dell’autore sui sentimenti tradotti in azione, suggeriti come “sogno” dei protagonisti.

 

L’analogo confronto fra uomini, nel quale Arlecchino dipinge i difetti del padrone, si conclude con l’attrazione sessuale scoccata fra travestiti: Arlecchino diventa una maliarda adescatrice, a cui Ificrate cede, fino a un approccio che il gong interrompe all’apice grottesco. Poi ci sono scherzi e dichiarazioni d’amore, riportati al clima sentimentale giocoso caro a Marivaux. Gioco arduo e pericoloso, se non perverso, eccitato dagli scambi.


Un momento dello spettacolo © Calori
Un momento dello spettacolo 
© Caroli

 

La vicenda si svolge dunque canonica, per scontri e digressioni scherzose di coppia. Ma il finale offre una notevole variante a sorpresa quando, tutti assolti e liberati dalla prova che rappacifica e rende pari, si scopre la novità della coppia formatasi tra Ificrate che sceglie Cleante quale sua compagna nuova. Non so valutare quanto la traduzione di Carlo Repetti sia corresponsabile dello scarto linguistico dal testo originale, comunque sulla scena sostanzioso e condizionato dall’attualizzazione. Anche le musiche, non originali e di matrice contemporanea anglosassone e sudamericana, assicurano lo sfasamento dal clima d’epoca.

 

A volte, se lo stile, la scrittura marivaudiani appaiono filologicamente strapazzati, l’esattezza della sua visione critica sui rapporti di classe e sui sentimenti individuali interviene a contrappeso. Lo spettacolo è sintesi intelligente di sollecitazioni antiche d’uno spirito raffinato e di evidenti, forse a volte cattivanti, ma non banali, corrispettivi comportamentali del presente. La creazione del 1725 fu interpretata a Parigi dalla troupe degli Italiani e oggi piace riassaporarne in fantasia il gusto dell’improvvisazione, il disegno dei contrasti sapientemente convenzionali, nella gioia d’un azzardo giocato con i sentimenti e con il caso, quand’anche si tratti di civiltà e di morale.     




L'isola degli schiavi
cast cast & credits
 


Martin Chishimba e Elena Gigliotti nello spettacolo visto al Teatro Duse di Genova il 21 marzo 2017
© Caroli



 
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