Il Festival della Valle dItria 2016 ha
opportunamente scelto di celebrare Giovanni
Paisiello, nellanno del doppio centenario dalla scomparsa, rendendo
omaggio al compositore tarantino con una sua deliziosa opera buffa.
La
grotta di Trofonio
è una di quelle perle misteriosamente dimenticate dal repertorio, cosa accaduta
alla grande maggioranza dei suoi melodrammi, e non se ne vede la ragione. A
dire il vero, la figura del compositore, benché fondamentale nel passaggio
della musica colta europea dal Settecento allOttocento, gode di scarsa
considerazione nei teatri e nella musicologia, almeno dal punto di vista
quantitativo. È uno dei motivi per i quali uno degli studiosi “storici” di
Paisiello, Dino Foresio, ha appena
licenziato una corposa biografia (Bologna, Bongiovanni, 2016) che ricolloca il
personaggio e rilegge la sua storia personale e musicale in un quadro
decisamente ampio ed europeo.
La
grotta di Trofonio
è una sorta di quadratura del cerchio, fra le opere buffe di fine secolo (prima
rappresentazione a Napoli, Teatro dei Fiorentini, fine 1785). Vi si ritrova, ad
esempio, lumorismo non sempre raffinatissimo suscitato dallopposizione
colto/popolare – tassonomia per la quale non è sempre necessario scomodare Levy-Strauss –, di chiara appartenenza
partenopea e incarnato, in particolare, dal personaggio di Don Gasperone che
nella prima e terza edizione dellopera “parla” in napoletano. Una scena dello spettacolo © Fondazione Festival della Valle dItria 2016
Non solo. Assistiamo ad un vorticoso
valzer delle coppie, in unatmosfera sospesa nel tempo che, pochi anni dopo, Mozart e Da Ponte utilizzeranno ed esalteranno nel Così fan tutte ispirandosi anche, come Paisiello e il suo
librettista Giuseppe Palomba, allantecedente
Grotta di Trofonio scritta dallabate
Giovan Battista Casti e musicata da Antonio Salieri per il Burgtheater di
Vienna (nello stesso 1785).
Da Napoli a Vienna, passando per San
Pietroburgo, città da cui Paisiello era appena tornato, il “tragitto” fondativo
di questo lavoro prevede una sosta nella antica Grecia degli dèi, dei miti e
degli eroi, dove oracoli e sibille sono consultati perfino dai re. Trofonio è
un oracolo di ascendenza divina, anzi uno dei più importanti e autorevoli,
secondo Pausania che ne scrive nel
II secolo d.C., cioè sette secoli dopo le prime tracce rinvenibili di un antro trofonieo
a Lebadea, in Beozia. Il Periegeta descrive un luogo recondito e oscuro ove la
consultazione divinatoria non avviene senza un complesso e lungo rito di purificazione
e iniziazione che conduce a una sorta di trance
guaritiva mediante stati alterati di coscienza.
Il Trofonio dellopera paisielliana non
è che la riscrittura fantastica, probabilmente rinascimentale, del mito antico
tratteggiato da Pausania. Qui egli subisce una metamorfosi radicale: è una
specie di eremita filosofo, vestito di pelli dorso, che non disdegna la
compagnia femminile e il divertimento di scombinare e ricombinare i già citati
equilibri delle coppie: Artemidoro e Dori, la sorella di lei Eufelia e Don
Gasperone, Don Piastrone (padre delle donzelle) e la locandiera Rubinetta, fino
ad includere se stesso con la ballerina astuta Bartolina.
Sulla trama non cè molto da dire: le
due sorelle sono diverse, Dori allegra ed Eufelia votata alla letteratura, così
come i rispettivi cicisbei, il giovane e “posato” Artemidoro e il ricco e
caciarone mercante napoletano Gasparone. Una scena dello spettacolo © Fondazione Festival della Valle dItria 2016
Fra duelli e languori, Trofonio, sorta
di nascosto Mangiafuoco, si diverte a muovere i fili dei suoi burattini
spostando lasse di ogni rapporto amoroso grazie alla sua grotta: entrandovi si
cambia dumore e carattere (con conseguenze drammaturgicamente immaginabili) ma
uscendone dalla parte opposta si ritorna allo status precedente.
Situazioni comiche a iosa, in un gioco
di scatole cinesi in cui assumono un ruolo preminente Don Gasperone e le sue
intemperanze, fino allo scioglimento finale in cui, in una grotta diventata
magicamente reggia, i quattro matrimoni dovranno essere celebrati senza
alterare i rapporti preesistenti.
Ledizione martinese dellopera di
Paisiello gioca sulliconografia del Grand
Tour e dunque sui luoghi topici dellarte antica (Italia meridionale,
Grecia, Medio Oriente). Coerentemente, lefficace idea scenica di Dario Gessati prevede libri di enormi
dimensioni posti sul palcoscenico dai quali si alzano, in alternanza, immagini
di rovine greche. Attraversando queste si muovono, come in quinta, tutti i
personaggi.
Il regista (e cantante) Alfonso Antoniozzi gioca molto bene con
questi elementi scenici, conferendo ai vari “quadri” una notevole dinamicità
che ben si accorda con il ritmo un po confusionario, a tratti forsennato,
della musica e del libretto di Paisiello e Palomba. Mai fini a se stessi, i giochi e le tensioni che
Antoniozzi assegna ai personaggi sono divertenti e funzionali alla drammaturgia,
in un riuscito mélange che si esalta grazie
anche ai bei costumi di Gianluca
Falaschi e al disegno luci di Camilla
Piccioni.
Interessanti le voci femminili: Benedetta Mazzuccato (Dori) della
benemerita Accademia del Belcanto dedicata a Rodolfo Celletti e in residenza al Valle dItria; Angela Nisi (Eufelia), Caterina Di Tonno (Rubinetta) e la
bravissima Daniela Mazzuccato
(Madama Bartolina), a suo agio nei panni di una singolare ballerina classica.
Anche le voci maschili hanno ben figurato: Mattero
Mezzato (Artemidoro) e Giorgio
Caoduro (Don Piastrone). Una scena dello spettacolo © Fondazione Festival della Valle dItria 2016
I mattatori dello spettacolo, però, sono
i personaggi dalle voci nel registro più basso: Trofonio e Don Gasperone, rispettivamente
il trevigiano Roberto Scandiuzzi
(ammirato nel 2015, sempre a Martina Franca, in Le Braci di Marco Tutino)
e il barese Domenico Colaianni, del
quale non si possono enumerare le tante partecipazioni di grande successo al
Valle dItria. Dotato di sottile ironia, di physique
du rôle, di grande padronanza scenica, di una voce prodigiosa, Scandiuzzi
ha conquistato tanto il pubblico quanto la critica; con gli stessi esiti il
“folletto” Colaianni non ha lesinato il suo vasto repertorio di facce,
sberleffi, finte o vere “arrabbiature” di scena, sempre con garbo e
intelligenza, che lo confermano un beniamino di questo festival.
Attenta ai ritmi e ai timbri giusti e
intensa, la direzione della buona Orchestra Internazionale dItalia, a cura del
corretto e preciso Giuseppe Grazioli,
il quale ha curato particolarmente il suono degli archi, valorizzando il canto
nelle arie (solo cinque per ognuno dei due atti) come nei tanti pezzi dinsieme
e nei concertati, in modo da “liberare” la meravigliosa musica di Paisiello
nellatrio di Palazzo Ducale, per i fortunati che hanno potuto assistere a
questo spettacolo (meno da invidiare coloro che, nello stesso Festival, erano
presenti al Don Chisciotte, e non
certo per demerito della bellissima musica del grande compositore tarantino).
La grotta di Trofonio è stata co-prodotta
dalla Fondazione del Teatro di San Carlo di Napoli dove lopera sarà
prossimamente rappresentata, sempre nel quadro del Progetto Paisiello 1816-2016.
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